«Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano». Queste le parole della celebre scrittrice Margaret Atwood a proposito della violenza sulle donne. A partire anche da queste suggestioni nasce il libro curato da Anna Esposito, docente di Storia medievale all’Università Sapienza di Roma, e da Franco Franceschini e Gabriella Piccinni, entrambi docenti di Storia medievale all’Università di Siena. I quindici saggi che costituiscono il volume si pongono l’obiettivo di offrire una chiave di lettura di alcuni fenomeni contemporanei a partire dall’analisi del passato. Il passato rappresenta, quindi, un terreno di confronto necessario per poter interpretare in maniera concreta quella che è l’attualità. I tre curatori specificano infatti come il medioevo, l’epoca presa in esame, non sia poi così lontano e diverso dal mondo di oggi, come testimonia il fatto che nel paese in cui viviamo molte delle leggi ereditate da quel tempo sono state riviste solo nella metà del XX secolo. Il tema principale del volume è la figura della donna in età medievale e la violenza che subisce dall’uomo e dalla società medievale in generale. All’analisi della violenza fisica si accompagna quella riguardante gli aspetti economici, psicologici e religiosi. Nello specifico, non vengono riscontrate troppe differenze tra le tre religioni monoteiste, ma piuttosto viene indicato il diverso modo di punire la donna quando si rende colpevole di un reato. Vi è una premessa, breve ma significativa, che delinea distintamente i temi presi in esame dal volume. In questo itinerario viene messo l’accento su ciò che le donne subivano nel medioevo semplicemente perché nate donne. Il volume, attraverso i suoi saggi, viene suddiviso in tre sezioni: Tipologie fa riferimento ad alcuni contesti in cui si esplica la violenza, Storie prende in esame alcuni casi di studio ed infine Confronti, dedicato all’approccio comparativo.
La prima parte raccoglie i contributi di studiosi e studiose (Ermanno Orlando, Tiziana Lazzari, Luca Mola’, Maria Serena Mazzi, Maria Grazia Nico Ottaviani, Sergio Raveggi) che affrontano il tema della violenza partendo dalla definizione medioevale dell’uomo come rex in domo propria dove la violenza, di cui si avvaleva su chiunque facesse parte della propria famiglia, viene definita come diritto esercitabile teso alla correzione degli atteggiamenti altrui (E. Orlando). Si tratta di un terreno di confronto immediato con il recente passato. Solo nel 1956, infatti, la Corte di Cassazione ha eliminato il potere educativo e correttivo del pater familias: «solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha deciso che al marito non spettava nei confronti della moglie e dei figli lo ius corrigendi (articolo 571 del codice penale), ossia il potere educativo e correttivo del pater familias, che comprendeva anche la coazione fisica» (p. 7). A seguire, la violenza sulle donne viene letta dal punto di vista economico: la donna è priva di garanzie e di possibilità ereditarie, a meno che sia parte della comunità longobarda o entri nei monasteri femminili, dove la dote anche se in quota minore viene tutelata e non tolta a favore degli altri ereditieri maschi. Il tema economico riguarda anche il lavoro. In questo caso le donne non hanno grandi vantaggi, né in tema di guadagni, né in tema di mansioni. Si tratta di un altro terreno di confronto con l’attualità perché il mondo del lavoro è ancora timido nel permettere al genere femminile di ottenere i risultati e i riconoscimenti che meriterebbe. Infatti, tutt’oggi la discriminazione di genere non permette, seppur le leggi tutelino in misura maggiore il genere femminile rispetto al passato, un’eguaglianza effettiva e in qualsiasi sfera sociale. Basti pensare che molti dei ruoli dirigenziali nel nostro paese sono a maggioranza maschile, con una bassa percentuale femminile. Gli ultimi saggi di questa prima parte concentrano l’attenzione sugli statuti elaborati per tutelare le donne e per giudicarle in caso di reato, come in situazione di adulterio o di fuga da casa del marito; l’altro punto analizzato riguarda la violenza del lessico che coinvolge i temi della sessualità, della stregoneria e dell’aspetto fisico (S. Raveggi). Sono spunti interessanti, che potrebbero indurre a interrogarsi circa la persistenza di ciò che oggi viene definito cat-calling.
Nella seconda sezione (Gabriella Piccinni, Ludwig Schmugge, Anna Esposito, Marina Gazzini, Federico Cantini e Serena Viva) il tema prevalente è quello delle suppliche che vengono riportate al Papa o, nel caso del ducato di Milano, direttamente al principe (L. Schmugge). Tali suppliche riguardano diverse tematiche: i matrimoni forzati, la violenza entro le mura domestiche, i maltrattamenti, la prostituzione. Le donne chiedono aiuto per poter uscire da una situazione che le priva di qualsiasi diritto umano e legislativo, vivono in uno stato di paura che le porta talvolta ad agire contro i propri interessi, come alla perdita della dote pur di liberarsi da una situazione insostenibile. Le fonti che riportano alle suppliche sono redatte in larga maggioranza dagli uomini, elemento che non permette di ottenere la testimonianza diretta delle donne attraverso cui, probabilmente, sarebbe stato più facile interpretarne lo stato d’animo. Quello che emerge dai saggi è lo stato di subordinazione delle donne e la loro considerazione di inferiorità mentale, fisica e morale da parte della società medioevale.
L’ultima sezione (con i saggi di Miriam Davide, Amedeo Feniello, Isabella Gagliardi, Marina Montesano) confronta il mondo cristiano con il mondo ebraico e musulmano, sottolineando similitudini e divergenze tra le varie culture. Cristianesimo ed ebraismo, per quanto religiosamente differenti, permettono una chiave di lettura in un certo senso simile fondata sulla sottomissione totale della donna all’uomo: «il fenomeno della violenza tra coniugi non doveva essere raro nel mondo ebraico italiano, caratterizzato dalla sottomissione dell’elemento femminile a quello maschile, così come non lo era nel contemporaneo mondo cristiano» (p. 285). Ciò che maggiormente accomuna il mondo cristiano ed ebraico, secondo Miriam Davide nel saggio La violenza sulle donne nel mondo ebraico, è la possibilità di perseguire il marito per violenza esclusivamente nel caso in cui questa minava l’integrità fisica della donna. In caso contrario, l’uomo non subiva alcuna pena. Anche dal punto di vista economico la donna era soggetta all’uomo e, per esempio, era costretta a seguire il marito nei suoi spostamenti (difficilmente accadeva il contrario). Ciò rendeva la donna più mobile dell’uomo. Ci furono, tuttavia, casi nei quali la donna rifiutava il matrimonio fuggendo dalla casa del marito. Per quanto riguarda il mondo musulmano, il confronto è determinato dalle violenze inflitte alle donne, in particolare durante le guerre con stupri e rapimenti. Il mondo cristiano, inoltre, invitava l’uomo a ripudiare la donna nel caso in cui si convertisse alla religione musulmana (Vittime collaterali nel conflitto tra cristiani e musulmani di Amedeo Feniello).
«Abbiamo raccolto una serie di specialisti della storia del Medioevo italiano intorno al tema della violenza sulle donne. Non si tratta di compiere un’azione arbitraria di attualizzazione del passato. Sappiamo bene che ogni società ha avuto una propria visione del mondo e che in ognuna le categorie politico-economiche, quelle morali, il modo di intendere la ricchezza, il lavoro, il sesso la famiglia e altri aspetti fondamentali della vita personale, sociale e di relazione si sono trasformati nel tempo. Ma pensiamo che nella storia profonda del nostro paese siano scritti i suoi sogni, i suoi successi, le sue creazioni e sperimentazioni, e anche i suoi nodi irrisolti, le crisi e i fallimenti; e che la mancanza di una piena percezione diacronica renda fragile e astratto ogni dibattito e debole ogni azione di contrasto» (p. 8). Il messaggio lanciato dai tre curatori nella loro premessa è molto chiaro: il passato è necessario per interpretare quello che accade nel presente. Spesso il passato è utilizzato come ancora e salvagente, quasi come se si cercasse un modo per giustificare la violenza, come a dire che il fenomeno in questione ha basi solide e per cui non c’è modo di estirparla. In realtà la chiave di lettura è del tutto diversa: appunto perché la violenza ha basi solide offre diverse strade per poterla combattere servendosi di leggi ed esempi passati, che devono essere colti come spunto di riflessione per non sbagliare più. In conclusione, quindi, questo volume risulta uno stimolante contributo che aiuta a comprendere la violenza di genere nella storia. Dalla lettura di questo libro si può comprendere il viaggio interminabile che ha portato ad istituire il 26 novembre come giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
«Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all’uomo, tanto più l’uomo reagisce in modo violento.» F. Caramagna
Matteo Pistillo