Sarah Rey, Le lacrime di Roma. Il potere del pianto nel mondo antico, Einaudi, Torino, 2020.
Numerosi studi hanno visto protagonista la storia di Roma antica nelle sue varie sfaccettature. L’uomo romano, dal semplice cittadino all’imperatore, è stato oggetto di analisi approfondita. Tuttavia, alcuni avvenimenti a noi contemporanei hanno suscitato nuovi interrogativi che coinvolgono indirettamente anche il mondo antico. L’evento in questione riguarda il pianto dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama. Le sue lacrime inaspettate e per certi versi nuove al pubblico hanno dato avvio a una riflessione sul significato del pianto. È all’interno di questo innovativo campo di ricerca, alimentato da un interesse generale verso lo studio delle emozioni, che si inserisce l’originale lavoro di Sarah Rey. Docente di Storia antica all’Università di Valenciennes e membro del comitato editoriale della rivista «Anabases. Traditions et réceptions de l’Antiquité», si interessa per l’appunto di storia religiosa e sociale di Roma, oltre che di storiografia antica e moderna.
L’autrice, partendo dalla novità del pianto di Obama e dallo stupore generato, vuole evidenziare come le lacrime pubbliche non siano nella realtà niente di nuovo, considerando l’abbondanza e la pervasività del pianto nel passato, soprattutto nel mondo antico. In particolare, Sarah Rey analizza la funzione e il potere del pianto all’interno della società romana nel suo evolversi. L’arco cronologico preso in esame è, infatti, molto ampio: dal periodo repubblicano, con accenni all’età più antica, fino alla nascita e alla diffusione del cristianesimo nell’impero. L’analisi parte dal presupposto che le lacrime a Roma scorrevano in abbondanza. Per i Romani, però, piangere non era un’azione casuale e sempre spontanea, poiché aveva un proprio ruolo all’interno di usanze e pratiche, prescritte e regolamentate, che coinvolgevano la vita pubblica e privata. La scelta di strutturare il volume in sei capitoli nasce dall’esigenza di mostrare, per ogni particolare ambito, le peculiarità del pianto. Quest’ultimo viene analizzato nel suo rapporto con le cerimonie funebri, con la religione pagana, con la politica, con l’arte oratoria, con la filosofia e, infine, con il cristianesimo. Sarah Rey illustra come le lacrime, in base alle diverse circostanze, avevano una funzione definita e un preciso significato.
Il lavoro si apre appunto con l’analisi dei funerali nell’antica Roma, in quanto erano il luogo in cui il pianto era protagonista. La morte di un cittadino, soprattutto se politicamente e socialmente impegnato, coinvolgeva l’intera comunità che, riunita attorno alla famiglia, piangeva abbondantemente i defunti. L’autrice pone in evidenza come le cerimonie funebri, fin dall’antichità, seguissero determinate prescrizioni e anche il pianto e le dimostrazioni pubbliche di dolore fossero regolamentate e inserite all’interno di rituali. In particolare, con l’avvento del principato, a partire da Augusto, si assiste a una vera e propria manipolazione del lutto, orchestrata politicamente dagli imperatori, al fine di trasformare i lutti privati della famiglia imperiale in lutti pubblici, coinvolgendo così tutto l’impero. Le lacrime, inoltre, vengono analizzate nella loro funzione in ambito religioso. Partendo dal presupposto che il pianto nell’antica Roma era considerato un segno funesto all’interno del rapporto con gli Dei che necessitava di serenità, nel secondo capitolo viene messo in mostra come esso era eccezionalmente ammesso in occasione di specifiche preghiere, destinate alla salvezza dell’impero. Tra queste, le supplicationes, cioè le suppliche rivolte agli Dei, rivestivano particolare importanza ed erano caratterizzate da abbondanti pianti e lamenti che coinvolgevano soprattutto le donne.
Altro ambito preso in considerazione nello studio, in cui le lacrime svolgevano funzioni ben precise, era la vita pubblica. La ricerca pone in evidenza come il pianto fosse veicolo ed espressione di legami e messaggi politici. In virtù della pietas, valore fondamentale per gli antichi romani, i membri di una stessa famiglia mostravano coesione e lealtà tra di loro piangendo reciprocamente non soltanto in occasione di lutti, ma soprattutto in casi di necessità, come ad esempio durante processi, condanne o suppliche. Nell’analisi, il ruolo politico del pianto emerge dalla funzione delle lacrime nei discorsi e nelle trattative, anche in politica estera, di imperatori, comandanti e ambasciatori. Nello studio delle fonti antiche piangere non era giudicato un segno di debolezza, ma al contrario mostrava la sincerità dei sentimenti e la clemenza di coloro che detenevano il potere. Come evidenziato nel quarto capitolo, l’utilizzo delle lacrime divenne sempre più efficace grazie all’insegnamento della retorica. L’eloquenza, infatti, permise ai Romani di mettere in scena l’emotività e di utilizzare al meglio il ruolo delle lacrime, non solo durante i processi, ma anche nei discorsi politici tenuti dinnanzi alle assemblee del popolo o all’esercito.
Tuttavia, di fronte a una tale presenza forte, generalizzata e condivisa del pianto, viene accuratamente contrapposta e messa in luce l’emergere di un’avversione verso il significato e il ruolo delle lacrime. L’autrice attribuisce tale astio ai filosofi, i quali iniziarono per l’appunto a denunciare l’eccessiva messa in mostra delle emozioni da parte della collettività e a professare la necessità per il saggio di distinguersi dalle stereotipate reazioni del popolo. Nell’analisi emerge come il vero filosofo si differenziasse dall’uomo comune per la sua capacità di sopportazione e per la sua capacità di sapersi commuovere, in maniera sobria, soltanto in determinate circostanze. Proprio per tale compostezza, nel sesto capitolo si sottolinea come la figura del saggio pagano fu ripresa dai primi Cristiani, i quali, volendo chiudere definitivamente con il passato, denunciavano il sentimentalismo e il modo di piangere proprio dei pagani. In particolare, i Cristiani criticavano aspramente le usanze tipiche dei romani e la loro eccessiva emotività, mostrando come, al contrario, le loro lacrime fossero sempre opportune e veritiere.
Tuttavia, Sarah Rey coglie una particolare chiave di lettura all’interno della transizione tra mondo pagano e mondo cristiano, cogliendo in essa una contraddizione di fondo. A suo parere, i Cristiani prendono sì le distanze dai rituali e dalle usanze dei Romani, ma nella realtà dei fatti le riproducono, dando loro un significato nuovo e diverso. Come ribadito anche nella parte conclusiva, tale affermazione tende a dimostrare come le lacrime, codificate e regolamentate tramite pratiche e consuetudini, abbiano attraversato con continuità i secoli della repubblica e dell’impero romano, per poi essere riprese e rimodellate dai Cristiani con nuove funzioni e significati. Il volume si chiude poi con una ricca bibliografia: l’ampia base di studio comprende, oltre a studi recenti, fonti epigrafiche e opere di autori antichi. Questo lavoro molto originale potrebbe fungere da stimolo per ulteriori approfondimenti in merito ai diversi significati delle lacrime e a tutti i pianti analizzati nel volume, non soltanto all’interno del mondo romano.
Vanessa Benvenuti