Una storia sociale dei cavalli nell’età Comunale

Nell’aula seminari “Elena Brambilla” dell’Università degli Studi di Milano, il 14 e il 15 dicembre 2023 si è tenuto il seminario “Una storia sociale dei cavalli nell’età comunale” nell’ambito del programma della didattica di formazione dottorale. È stato organizzato da Paolo Grillo, dell’Università degli Studi di Milano, e hanno partecipato anche Riccardo Rao, dell’Università di Bergamo, e Elisabetta Scarton, dell’Università di Udine.

Nelle due giornate di incontro è stato presentato il progetto, finanziato su fondi PRIN, “La storia sociale dei cavalli in età comunale” che i tre docenti e le rispettive équipe hanno appena avviato, illustrandone i fondamenti teorici, gli obbiettivi e le metodologie. L’animal history rappresenta un campo di ricerca ancora relativamente nuovo per il panorama storiografico italiano e talvolta suscita qualche perplessità; il fine di questa presentazione è stato quello di fornire coordinate storiografiche ed esempi concreti a chi volesse approfondire questo campo di studio.

Il primo intervento è stato tenuto da Paolo Grillo, docente di Storia medievale, che ha scelto di introdurre il tema ripercorrendo come egli stesso, da esperto di storia militare e politica dell’età comunale, sia arrivato ad interessarsi alla storia dei cavalli. L’obbiettivo era quello di dimostrare come lo studio di questo argomento, e più in generale tutto il campo di indagine dell’animal history, vada a colmare alcune lacune storiografiche.

In primo luogo, è stato specificato quale sia nel dettaglio l’oggetto della ricerca, ovvero tutti gli equini, dunque i cavalli, a loro volta suddivisi in destrieri, palafreni e ronzini, ma anche asini e muli. È stata poi motivata la ragione di tale scelta, ovvero l’onnipresenza e la centralità di questi animali nelle società basso medievali, basti pensare al fatto che questi rappresentavano il principale mezzo di trasporto, umano e non, sia in pace sia in guerra, esemplificativo di ciò è il numero elevato di cavalli e muli presente nel noto affresco di Ambrogio Lorenzetti dedicato al Buon governo, che decora il Palazzo Pubblico di Siena.

L’intervento è proseguito ricostruendo quali sono stati, nei decenni passati, gli approcci storiografici che si sono avvicinati, da prospettive diverse, alla storia dei cavalli e che possono rappresentare punti di partenza per le future ricerche sul tema. Approfondire la storia di questo animale infatti può essere anche una chiave per comprendere gli aspetti economici, sociali e politici della società comunale. Si tratta in particolare dei filoni di storia militare, storia socio – economica e storia culturale e delle mentalità.

Gli studiosi che si sono occupati della cavalleria medievale si sono concentrati principalmente sull’uomo, sul suo ruolo sociale, sull’ethos cavalleresco o sulla strategia bellica, ma hanno sostanzialmente sempre trascurato il ruolo degli animali. Alcuni studi però hanno indagato le strategie attuate dai Comuni per garantirsi sufficienti cavalli per le proprie imprese belliche, come quelli di Andrea Castagnetti nel caso dei “feudi da cavallo” del Veneto[1] e di Aldo A. Settia nel caso di Pavia[2], i quali hanno fatto emergere in particolare le difficoltà e i costi di mantenimento. È stata poi analizzata la funzione simbolica dell’animale come possibile marcatore di status, elemento di distinzione cetuale, necessario seppur non sufficiente per migliorare le proprie condizioni. A tal proposito sono stati menzionati gli studi di François Menant sugli scudieri[3] e di Jean Claude Maire Vigueur[4], sulla distinzione sociale tra milites e pedites.

La storia culturale e delle mentalità è quella che più si è interessata al cavallo e si tratta l’approccio tutt’ora più diffuso in Europa[5]. Per l’Italia sono stati menzionati gli studi di Franco Cardini e in particolare il convegno da lui organizzato nel 2010 a Certaldo, intitolato Cavalli e cavalieri, Guerra, gioco, finzione che aveva il dichiarato obbiettivo di dare inizio a studi che si occupassero specificatamente dell’animale in quanto importante in sé, anche se non ebbe il seguito auspicato. Una storia dei cavalli nell’età comunale resta ancora da fare ed è quello che si propone il gruppo di ricerca.

Grillo ha quindi terminato il proprio intervento con una serie di esempi pratici su come si possa condurre una storia dei cavalli e con quali fonti: possono essere adoperati registri, statuti, documentazione normativa, ma anche documentazione giuridica, come inchieste e stime per i rimborsi, al fine di ricavare informazioni sulle caratteristiche fisiche, le malattie e i bisogni dei cavalli. Tali dati saranno poi integrati con le informazioni raccolte dagli archeologi dell’Università di Bergamo, per ricostruire la vita di questi animali, intorno ai quali ruotava tutta una società.

Come secondo oratore è intervenuto Riccardo Rao, docente di Storia medievale e Storia dell’Ambiente e degli Animali all’Università di Bergamo. L’obbiettivo della presentazione è stato quello di fornire le basi teoriche e storiografiche dell’animal history, entro cui si inserisce il progetto di ricerca, al fine di chiarire cosa sia la storia dell’ambiente, cosa la storia ambientale e cosa ancora la storia degli animali nonché i legami tra esse.

La storia ambientale indaga le interazioni tra uomo e ambiente, del quale si riconosce un impatto determinante sul corso della storia, la storia dell’ambiente invece accantona la storia umana per concentrarsi unicamente sull’indagine dei cambiamenti verificatisi nell’ambiente e nel clima nel corso dei secoli, infine la storia degli animali mira a ricostruire le caratteristiche e il ruolo degli animali.

Le origini della storia ambientale possono essere rintracciate negli studi del chimico tedesco Justus von Liebig, il quale a metà Ottocento, intuì l’impatto che i problemi relativi alla concimazione avrebbero potutoavere nella storia delle civiltà umane. Studi sul rapporto tra uomo e ambiente si diffusero verso fine secolo anche negli Stati Uniti, come quelli di Frederick Jackson Turner[6] e di Ellsworth Huntington[7], che rifletté sui cambiamenti climatici, e nel Regno Unito, come quelli di W. H. S. Jones e Ronald Ross sull’impatto delle epidemie, soprattutto della malaria, sulle civiltà antiche[8].

L’antenata della storia ambientale è però soprattutto la storia del paesaggio, introdotta da Marc Bloch e sviluppata nella scuola delle Annales. Ne è un esempio il lavoro di Fernand Braudel[9] che pose al centro della propria opera un elemento geografico, il mare, e dedicò ampio spazio alla trattazione dell’ambiente e del clima. Il suo approccio però restava sostanzialmente antropocentrico, dal momento che concepiva l’ambiente come lo sfondo entro cui collocare l’azione umana e dalla sua trattazione non emergeva una consapevolezza della variabilità climatica e ambientale (eccetto un breve passo, fortemente criticato, in cui sembra che l’autore abbia intuito l’esistenza della Piccola Era Glaciale).  

Il primo vero e proprio articolo di storia dell’ambiente comparve su «Science», nel 1967[10]: l’autore, Lynn White Jr., medievista, legava alla diffusione e all’affermazione del cristianesimo nell’Europa occidentale lo sviluppo di una storia contraddistinta dalla volontà di sopraffazione dell’uomo sul resto del mondo naturale.  

Nello stesso anno, Emmanuel Le Roy Ladurie decise di porre il clima come protagonista del proprio studio[11], realizzandone una vera e propria storia, condotta con il metodo e gli strumenti dello storico, ovvero fonti prevalentemente, ma non solo, umane, per trattare di un soggetto non umano. In questo modo andava di fatto a contestare la definizione antropocentrica di storico come orco in cerca di carne umana[12].  

Da questo sintetico panorama sulla nascita della storia ambientale e dell’ambiente emerge la completa assenza di riflessioni sugli animali: fu solo negli anni ’80 del XX secolo che si iniziò a riflettere su questo tema, soprattutto in un’ottica culturale, con i lavori di Kit Thomas[13] e Robert Delort[14]. In Italia però si registrò una “scarsa recettività” in questo campo, forse a causa di una serie di “occasioni mancate”. L’unico ad occuparsi di animali fu Gherardo Ortalli, nei primi anni ’70, ma ebbe poco seguito tra gli storici: a trattare del mondo animale infatti furono soprattutto biologici e zoologi, come Luigi Boitani, con Dalla parte del Lupo, Fulcro Pratesi e Aldo Oriani, i cui lavori risentivano dei limiti metodologici di non professionisti della storia nell’adoperare fonti storiche.

Negli ultimi decenni sono emerse, su sollecitazione anche del dibattito contemporaneo sul tema della sostenibilità del mondo animale, dello sfruttamento e dell’estinzione, nuove istanze che mirano ad un ripensamento complessivo del ruolo umano nel mondo e del ruolo degli storici del dibattito scientifico. Si è dunque fatto riferimento all’animal turn, al riconoscimento della centralità degli animali e agli studi che cercano di ricostruire il punto di vista dall’animale[15] e la sua agency nella storia. Per approdare ad una storia che includa tutti gli attori, la storia con gli animali, umani e non umani, delle loro interazioni come collettività; in particolare per il panorama italiano si è fatto riferimento agli articoli di Raggio e Mannucci[16].

In generale, fare storia degli animali implica inserirsi in un dibattito che non è animato solo dagli storici, ma è estremamente interdisciplinare e sfaccettato. Per concludere, non si tratta di abbandonare la specificità degli storici, ovvero l’utilizzo di fonti prevalentemente umane e di un metodo, ma di interrogarsi su quanto ancora si possa e si debba dire, restando recettivi alle sollecitazioni dell’oggi e permeabili agli sguardi che offrono altre discipline, sia umanistiche, come la filosofia, sia più prettamente scientifiche, come la biologia.

L’intervento si è concluso con la presentazione di un caso studio, quello della Valtellina basso medioevale, esemplificativo dei propositi del progetto in quanto condotto a partire da documentazione d’archivio, prevalentemente delibere del Comune di Bormio, ma in dialogo con zoologi e archeologi, al fine di ricostruire la popolazione animale dell’area.

La terza presentazione è stata tenuta da Elisabetta Scarton, docente di Storia Medievale all’Università di Udine, la quale ha presentato il caso studio su cui sta lavorando la sua équipe a proposito dei cavalli nel Friuli basso medioevale.

Tale intervento è stato preceduto da un breve cappello introduttivo sulla storia del patriarcato di Aquileia, per motivare la scelta di includere, in una ricerca incentrata sui cavalli in età comunale, una regione che conobbe uno sviluppo politico differente rispetto all’Italia comunale e dove i quadri tradizionali del potere pubblico ebbero una più solida tenuta rispetto al resto dell’Italia centro – settentrionale.

L’intervenuto è proseguito con la presentazione del materiale che si prevede di analizzare. Nonostante l’originario patrimonio documentario del patriarcato di Aquileia sia andato disperso, si è conservata, presso gli archivi di Udine e Cividale, la documentazione delle comunità, particolarmente utile in quanto spesso seriale e di stampo economico.

A titolo esemplificativo è stata illustrata la documentazione che era stata prodotta in occasione della visita a Udine dell’imperatore Carlo IV e di tutto il suo seguito nel 1368. Per questa occasione, vennero nominati ufficiali affinché compissero delle ispezioni in tutti i quartieri della città e identificassero le zone dove avrebbero potuto essere alloggiati i cavalli dell’imperatore e del suo seguito, che si è stimato ammontasse ad oltre 200 persone. In totale vennero identificati oltre 1000 possibili alloggi tra strutture stabili ed altre temporanee, un numero sbalorditivo per la piccola cittadina di Udine.

Oltre all’alloggio, era necessario predisporre anche alla cura degli animali, andando ad alimentare un indotto consistente. La rilevanza economica degli equini nel Friuli basso medioevale emerge anche dalla documentazione prodotta a Venzone e Gemona del Friuli, due centri che sorgono sul fiume Tagliamento, verso il confine nord – est del Friuli, lungo le vie di transito che collegavano la laguna veneta e tutta l’Italia centro settentrionale con il centro e nord Europa. La grandezza delle cattedrali di questi due paesi, fuori scala rispetto alla loro densità demografica, è indice della ricchezza che doveva provenire da questi traffici e dall’indotto che alimentavano, ad esempio tramite l’obbligo di cambiare mezzo di trasporto (da carri più grandi a carri più piccoli se si intendeva proseguire verso nord, o viceversa se invece si era diretti verso sud) a Gemona.

Purtroppo le fonti che si sono conservate sono molto frammentarie e permettono di illustrare solo brevi periodi, di un semestre o poco più, ma in maniera molto dettagliata; i registri infatti riportano chi transitava, con quali mezzi, di che tipologie e dimensioni, cosa trasportava, a chi era destinato il carico. Tramite questa documentazione è possibile indagare il volume dei transiti, il bacino di provenienza dei commerciati e delle merci, le tipologie di merci, i mezzi utilizzati ma soprattutto gli animali di passaggio. È emerso ad esempio che diversi animali venivano venduti, maiali, buoi e agnelli, ma mai cavalli, i quali compaiono ben 617 volte, ma solo come trasportatori, non vengono però forniti altri dettagli sul loro aspetto e caratteristiche.

Gli archivi friulani consentono anche di indagare l’apporto dei cavalli non solo in ambito economico ma anche in campo diplomatico e bellico, ad esempio attraverso le stime e assignationes dei cavalli per le spedizioni del patriarca e le ambascerie. Anche a Udine infatti erano previsti commissioni e ufficiali appositi per stimare il valore dei cavalli da guerra in previsione di eventuali rimborsi per animali persi, feriti o rubati e talvolta era previsto anche un indennizzo per le cure prestate ad un animale infermo. Naturalmente le spese per queste indagini e verifiche si andavano ad assommare a quelle belliche tout court e gravavano sulla fiscalità comunale, per questo motivo ogni città declinò a proprio modo questo sistema: a Ravenna i cavalli da guerra venivano risarciti a prescindere da come morissero, a Perugia, Volterra, Bologna, Verona e Ferrara invece veniva operata una distinzione tra la morte in tempo di pace (che prevedeva un risarcimento solo per il 50%) e la morte in guerra, che prevedeva invece il risarcimento totale. Talvolta, come è testimoniato anche a Udine, il risarcimento poteva essere rateizzato, altre volte, invece, come nel caso di Treviso, si nota una sistematica stima al ribasso da parte degli estimatori comunali.

L’intervento si è concluso con una serie di domande aperte, alle quali il gruppo di ricerca, che si occuperà anche gli archivi di Siena e San Giminiano, si augura di poter dare risposta al termine del progetto.

In conclusione, l’obbiettivo del seminario è stato quello di illustrare da un punto di vista tecnico, fornendo coordinate storiografiche, e pratico, con esempi concreti tratti dalle ricerche in corso, come sia possibile condurre una ricerca di animal history in età basso medievale e perché sia importante farlo.

Elena Pogliani


[1] A. Castagnetti, Gian Maria Varanini, Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, Verona 1991.

[2] A. A. Settia, Tecniche e spazi della guerra medievale, Roma 2006.

[3] F. Menant, Lombardia feudale. Studi sull’aristocrazia padana nei secoli X – XIII, Milano 1991.

[4] J. – C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini: guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna 2004.

[5] A. Ropa e T. Dawson, a cura di, The Horse in Premodern European Culture, Berlin 2020, K. L. Smithies, Introducing the Medieval Ass, Cardiff 2020.

[6] F. Jackson Turner, Significance of the Frontier in American History, New York 1920.

[7] E. Huntington, Changes of Climate and History, in«The American Historical Review», Vol. 18, No. 2 (Jan., 1913), pp. 213-232.

[8] W. H. S. Jones e R. Ross, Malaria: A Neglected Factor in the History of Greece and Rome, London 1907.

[9] F. Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris 1949.

[10] L. White, Jr., The Historical Roots of Our Ecologic Crisis, In «Science», 155, 1967.

[11] E. Le Roy Ladurie, Histoire du climat depuis l’an mil, Paris 1967.

[12] M. Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Paris 1949.

[13] K. Thomas, Man and the natural world, London 1983.

[14] R. Delort, Les animaux ont une histoire, Paris 1984.

[15] É. Baratay, Le point de vue animal. Une autre version de l’histoire, Paris 2012.

[16] Forum: Storici e animali, O. Raggio, Storia delle bestie e postumanesimo; E. J. Mannucci, «Il leone non è re». Che cosa chiedere alla storia degli animali, in«Quaderni storici», fascicolo 3 (dic. 2016), pp. 869-891.