Nell’ambito del corso di storia della stampa a dell’editoria della professoressa Marazzi, l’11 aprile 2024, si è tenuta la lezione del dottor Pierfilippo Saviotti dal titolo Tra libri e caratteri, l’attività tipografica di Giambattista Bodoni (1740-1813). Nel corso delle due ore è stata analizzata e presentata agli studenti la figura del celeberrimo stampatore parmense sotto molteplici aspetti, da una panoramica biografica a una presentazione delle tipologie documentarie attualmente in uso presso i ricercatori.
Prendendo le mosse dalla propria tesi di dottorato, Saviotti ha sottolinetato come Bodoni, sin dalla nascita (avvenuta nel 1740), fosse inserito in un contesto tipografico. A Saluzzo, suo paese natale, la famiglia Bodoni possedeva una stamperia al servizio del comune, ove il giovane stampatore poté svolgere un preliminare apprendistato, imparando soprattutto a stampare mediante caretteri in legno usati per le intestazioni. A seguito di una carriera letteraria fallita mentre intraprendeva gli studi collegiali, si trasferì a Roma e riuscì, con l’influenza dell’Abate Ruggeri e del Cardinale Spinelli, suoi protettori, ad entrare nella stamperia legata alla Congregatio de Propaganda Fide. Questa esperienza, sottolinea Saviotti, influenzò profondamente la produzione dello stampatore: a Roma egli apprese lingue e caratteri orientali e ancor più si specializzò nell’incisione di quest’ultimi, tanto che gli venne affidato il compito di riorganizzarne le polizze, ossia mettere in ordine il complesso di caratteri a disposizione presso la stemperia. Emblematica di questa fase è una fonte presentata dal relatore, ovvero una prova di stampa in alfabeto copto, che reca anche il nome dello stesso Bodoni.
Come è noto, la fortuna dello stampatore ruotò tuttavia attorno alla città di Parma, cui egli approdò in seguito a un fallito viaggio a Londra. Fu chiamato nel 1768 dal bibliotecario ducale Paciaudi, poiché il Duca Ferdinando desiderava un rinnovamento culturale del Ducato, che doveva passare anche dalle caratteristiche materiali dei libri pubblicati; Bodoni fu dunque impiegato alla stamperia reale. La mansione principale di Bodoni era quella di stmpare quanto richiesto dal Ducato, ma questo non lo distolse dal voler pubblicare manuali tipografici, ovvero campionari di caratteri da lui elaborati. Pertanto, il filo conduttore della produzione dello stampatore sino alla sua scomparsa nel 1813, sottolinea Saviotti, fu sempre quello di pensare al libro come un mezzo per mostrare le proprie capacità incisorie e di produzione dei caratteri, compiendo, nel contempo, una rielaborazione grafica del supporto fisico dei testi. Bodoni fu artefice del passaggio dalla composizione tipicamente barocca allora in voga (con illustrazioni e una parca presenza degli spazi bianchi) ad una neoclassica (ovvero con un generoso utilizzo delle parti bianche della pagina e l’eliminazione delle illustrazioni) di cui valido esempio sono i frontespizi bodoniani.
Nel contesto politico e culturale dell’epoca le capacità di Bodoni sono sempre più richieste da potenziali committenti, per far fronte a tale situazione nel 1790 il Duca avrebbe concesso allo stampatore l’autorizzazione ad aprire una propria stamperia negli stessi luoghi di quella reale. In questa fase il piemontese rimase al servizio del Ducato, e parallelamente continuò la sperimentazione della stampa con caratteri orientali, assimilati dall’esperienza romana – peraltro già presente nella fase precedente, come dimostrano l’ Ara amicitiae, in occasione dell’arrivo di Giuseppe II a Parma nel 1769 e l’ Epithalamia exocticis linguis reddita del 1775 (una raccolta di 25 città subalpine con descrizione in 25 alfabeti orientali differenti). La sua produzione non deve però essere limitata a questa tipologia di stampati: Bodoni fu infatti artefice di una vasta produzione di testi classici, occasione di elaborazione della “pagina bodoniana”, come l’Anacreaonte del 1784 (testo classico davvero in voga all’epoca), Gli amoori pastorali di Dafni e Cloe del 1786 (celebre opera di Longo Sofista e prototipo del romanzo alessandrino), oltre alle edizioni degli anni seguenti di Orazio, Virgilio, Catullo, Tibullo e Properzio. La produzione non vide trascurati i classici italiani, fra i quali si annovera l’Aminta di Tasso, edita nel 1789 e testi contemporanei (tale produzione fu anche dovuta al fausto rapporto con l’accademia dell’Arcadia di Roma), fra cui l’Aristodemo dell’abate Vincenzo Monti del 1786.
Fra le tante pubblicazioni dello stampatore parmense, Saviotti evidenzia come siano di fondamentale importanza, a livello di fonte per gli storici, i cataloghi, di vendita e retrospettivi, in particolare quello del 1787 (unico per la stamperia reale), quelli successivi al 1790 e quello compilato nel 1816 da Giuseppe De Lama del 1816, amico e biografo di Bodoni che fornì interessanti informazioni sulla genesi delle edizioni del tipografo. La presenza di più cataloghi, infatti, ne permette la comparazione, favorendo un’analisi delle tipologie di produzione, dei gusti editoriali del tempo, ma anche di quelli dei collezionisti, oltre che un confronto dei prezzi. Nell’accurata creazione di un regime documentario da parte del relatore è da annoverare un ampio ventaglio di fonti. Di particolare importanza è l’epistolario dello stampatore (con più di 1200 missive), catalogato dallo studioso Antonio Boselli nel 1913 e ora oggetto del progetto di digitalizzazione Biblioteca Bodoni dell’Università di Salamanca
( https://bibliotecabodoni.usal.es/it/ ). Questa fonte pertanto permette di comprendere i rapporti politici, clientelari e editoriali che intercorrevano fra lo stampatore e altri soggetti. Non di minore rilievo sono le biblioteche private dei collezionisti e i loro cataloghi, che possono contenere edizioni bodoniane, e le collezioni pubbliche, come quella della Biblioteca Angelica di Roma e della Biblioteca Braidense di Milano, nel fondo Mortara Spinelli.
La grande fortuna di Bodoni si può ricostruire non solo mediante la sua produzione, ma anche grazie al valore documentario di fonti materiali, giacché la creazione, negli anni Sessanta dello scorso secolo, del Museo Bodoniano a Parma favorisce l’approccio diretto a punzoni e caratteri, conservatisi grazie al protrarsi dell’attività della stamperia sotto la guida della moglie, Margherita dall’Aglio. Il primo museo dedicato a una singola tipografia d’Antico Regime è dunque un luogo cruciale per studiare e comprendere lo stampatore, come del resto lo sono i lavori dei suoi collaboratori Campanini (padre e figlio) per comprendere l’arte della stampa da un punto di vista interno, sia di amministrazione, sia di lavoro pratico (come dimostra il testo di Zefirino Campanini Istruzioni pratiche ad un novello capo-stampa, edite solo nel 1998).
Attraverso dunque una filogenesi biografica e un attento sguardo ad un vasto corpus documentario, composto da fonti manoscritte (la corriposndenza), a stampa, (cataloghi e manuali tipografici oltre alle stesse edizioni), e da fonti materiali nel senso più stretto (punzoni e caratteri conservati) Saviotti restituisce la figura di Bodoni stimolando molte suggestioni e facendo risaltare l’artista, l’incisore di caratteri, dietro lo stampatore: l’inventore di un modo pulito, classico e raffinato di concepire il libro, modello cui ancora oggi aderiamo.
Flavio Luigi Fortese