“Tra Anni Sessanta e Settanta: Piazza Fontana e lo Stragismo”: incontro con Massimo Pisa (5 dicembre 2024)

Nel quadro del corso di Storia Contemporanea tenuto dalla prof.ssa Daniela Saresella presso l’Università degli Studi di Milano, si è svolto l’intervento di Massimo Pisa, giornalista de “la Repubblica”specializzato nello studio degli anni di piombo in Italia e nel resto dell’Occidente. Tra le sue pubblicazioni Lo Stato della strage (Clueb, 2020) e Il bombarolo. La strage dimenticata di via Fatebenefratelli (Feltrinelli, 2024).

Dapprima il relatore ha voluto sottolineare l’attualità del tema dello stragismo tra anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, dati i processi ancora in corso sulla strage di piazza della Loggia e su quella alla stazione di Bologna. Secondo Pisa si può affermare che è per motivi non solo storici, ma anche giuridici e politici, che siamo chiamati a confrontarci con questa tragica parte di storia italiana. Date queste premesse, si è fornita una definizione di stragismo, un unicum a livello globale, per efferatezza e numero degli attentati. Di qui si sono passate in rassegna le principali stragi, individuando in piazza Fontana (12 dicembre 1969) l’inizio e nella strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980) il epilogo tragico, sottolineando come il complesso avesse generato un clima di costante paura e insicurezza. Il relatore è passato poi all’analisi del contesto politico internazionale (con particolare attenzione ai condizionamenti imposti dalla guerra fredda) e dell’Italia. Rispetto a quest’ultima ci si è soffermato in particolar modo sulla radicalizzazione della sinistra comunista e la rinascita, emulando movimenti analoghi francesi, della destra neofascista nel più generale fenomeno della contestazione del Sessantotto studentesco ed operaio (1967-1969).

Il relatore ha messo in relazione la contestazione sessantottina con i primi “microattentati” a Pisa, Livorno, Roma, eseguiti con l’intento di manifestare contro uno Stato, una società in cui non ci si riconosceva più. A Milano questi microattenati, per lo più a rivendicazione anarchica, toccarono cifre considerevoli, e furono rivolti contro i simboli del mondo economico e conservatore (basti pensare alle due bombe piazzate nella Rinascente, in piazza Duomo). Nel 1969, lo stato di tensione diventò permanente e ancor più violento: alla contestazione giovanile si saldò infatti quella operaia (mossa da istanze riguardanti il rinnovo dei contratti) e per la prima volta anche quella impiegatizia. Il 25 aprile 1969 esplosero a Milano le prime bombe in luoghi di grande frequentazione, una nel Padiglione FIAT della Fiera Campionaria e altre due nella Banca di Cambio della Stazione Centrale, che causarono numerosi feriti. Secondo gli studi di Pisa è possibile ricondurre già a questo periodo i primi sospetti su un’organizzazione sistematica dietro agli attentati: la Questura di Milano incriminò i membri di un gruppo anarchico legato a Giangiacomo Feltrinelli (il celebre “miliardario rosso”). Interessante notare la precoce fortuna della pista anarchica e, più in generale, della individuazione di matrici legate alla sinistra extraparlamentare. 

Nonostante le indagini di Milano, le bombe continuarono ad esplodere lungo tutta la penisola, da quelle piazzate nei tribunali di Torino, Milano e Roma, fino a quelle dell’8 e del 9 agosto 1969 volte a colpire i rientri dalle vacanze via treno dal Nord al Sud. Inoltre, presso Gorizia e Trieste, altri ordigni rivendicati dai neofascisti causarono vittime tra le minoranze slave della regione. Il clima nel Paese risultava sempre più pesante e nell’“Autunno Caldo” del 1969 la contestazione operaia era agguerrita, tanto che si ottennero cospicui aumenti di stipendi, miglioramenti dei contratti nazionali e delle condizioni di lavoro. L’apice della violenza e dello scandalo si ebbe però nel novembre 1969, quando, durante uno sciopero generale, a Milano venne ucciso un poliziotto; il giorno seguente il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat al telegiornale denunciò il fatto come un omicidio perpetrato da militanti della sinistra. 

Tuttavia questo è definibile solo il preludio dello stragismo, dal momento che il 12 dicembre 1969 venne posizionata una bomba al centro della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano in piazza Fontana: i morti furono 17, 88 i feriti, rendendo così chiaro quali fossero gli obiettivi degli attentatori. Tante furono in quei giorni le proposte definibili come antidemocratiche (come la chiusura delle sedi delle forze extraparlamentari): tuttavia, afferma lo stesso Pisa, bisogna rendere onore alla classe politica del tempo poiché si oppose e mai mise in dubbio la democrazia italiana. 

In questo clima le indagini portarono, il 15 dicembre, al fermo a Roma di Pietro Valpreda e a Milano di Giuseppe Pinelli, ferroviere vicino al mondo anarchico. Quest’ultimo, in particolar modo, a seguito di un duro interrogatorio, fu accusato dei fatti di piazza Fontana e delle bombe estive di quell’anno. A mezzanotte poi, Pinelli, trattenuto illecitamente in questura, precipitò giù dalla finestra. Il fatto venne subito definito come suicidio, poiché Pinelli non poteva sopportare di essere stato scoperto: si cercò così di chiudere rapidamente il caso, presentando il pericolo del “mostro anarchico” come sventato. Tuttavia grazie all’impegno di alcuni magistrati, le sentenze di quei fatti vennero messe in dubbio e la mistificazione fu presto rivelata, facendo nascere una storia giudiziaria che non si concluderà fino al 2005. 

I processi si dimostrarono, nonostante ciò, fondamentali perché permisero di individuare una matrice alternativa della strage, delle bombe del 25 aprile e di quelle estive: vennero accusati difatti Freda e Ventura, due militanti vicini all’organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo. Si sarebbe così svelato il tentativo delle destre eversive, che da tempo agitavano l’opinione pubblica contro le forze di sinistra attribuendo loro la responsabilità degli attentati, mantenendo al contempo intonsa l’immagine dello Stato e, secondo taluni, del governo complice: nacque così il termine “strategia della tensione” per definire questa linea politica. 

I fatti del 12 dicembre 1969 diedero inizio a una lunga serie di attentati atroci e assassinii di matrice neofascista che si perpetrarono per tutti gli anni Settanta. Tali eventi culminarono, infine, il 2 agosto 1980 nella tragica strage alla stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti) definita da Pisa “un frutto maturato tardivamente”, in quanto inaspettata, perché atti di questo tipo sembravano essere terminati. Ad oggi i fatti di Bologna restano senza un vero e proprio colpevole, nonostante con il tempo siano emersi legami e responsabilità connessi con le attività della Loggia Massonica P2.                                                                        

Il relatore ha concluso affrontando l’aspetto metodologico dei propri studi sullo stragismo e gli anni di piombo. I libri e le pubblicazioni al riguardo, a suo parere, spesso utilizzano poche e parziali fonti. Dunque il modo corretto per affrontare il tema è condurre una minuziosa ricerca: i documenti sono tantissimi ma incrociando atti giudiziari, sentenze, atti governativi e documenti desecretati dei servizi segreti, spesso si riescono a chiarire alcuni tratti profondi di quegli anni. Il relatore ha poi invitato ad approfondire gli studi di questo periodo per smontare vari luoghi comuni: sono infatti in molti a credere che lo Stato e il governo di quel tempo abbiano usato le persone come pedine su una scacchiera. Invece, sottolinea Pisa, bisogna sempre ricordarsi che nonostante quegli anni siano caratterizzati da tratti oscuri e giochi a volte sotterranei, la storia rimane sempre un luogo di uomini, di azioni che vanno in un modo non previsto, di singole responsabilità e di scelte individuali.

Luigi Biondini