Il saggio oggetto di analisi è Le scritture delle donne in Europa. Pratiche quotidiane e ambizioni letterarie (secoli XIII-XX). L’autrice, la storica Tiziana Plebani, si occupa di storia del libro, della lettura e della scrittura, di storia dei sentimenti e di sociabilità. Aveva già esaminato la pratica della lettura in precedenti lavori (tra i quali “Il genere dei libri” pubblicato da FrancoAngeli nel 2001).
Il testo, pubblicato da Carocci nel 2019, pone l’accento non tanto sulla pratica della lettura quanto su quella della scrittura, esaminata in un’ottica di genere. Le scritture delle donne non è un’analisi della presenza femminile nelle letterature europee, né tantomeno una risolutiva disamina sulla questione della scrittura “in rosa”, ovvero una raccolta antologica, ma piuttosto un percorso dettagliato di approfondimento sulle donne quali artefici di produzione culturale non scevra da velleità letterarie, sebbene espressa prevalentemente in contesti privati. Il volume si articola in un’ampia introduzione seguita da cinque capitoli con una conclusione che pone l’inevitabile interrogativo se sia mai esistita una scrittura femminile. Lettrici e scrittrici, soprattutto dalla tarda modernità, si sono guardate, riconosciute e hanno stretto un patto che ha premiato entrambe. Molte di queste scrittrici erano all’epoca conosciute e solo in seguito sono state sommerse da un oblio che non è privo di colpe: è bastato non citarle, non tradurle, non recensirle, evitare di inserirle in biografie, repertori, antologie, et voilà, la nebbia le ha inghiottite. Ci sono stati scrittori mediocri di ambo i sessi, ma la mediocrità per una donna era fonte di ridicolo mentre il talento la esponeva al rischio di rimanere consegnata al limbo dell’eccezionalità o dello scandalo. Le donne hanno scritto di tutto e su tutto, hanno imbracciato i generi e le forme espressive più vari radicandosi nella storia, nella storia letteraria e nelle tradizioni culturali dei diversi paesi, talvolta con soluzioni piuttosto divergenti, e in connessione alla trasformazione dei mezzi di comunicazione.
Il corpus di lettere di Margherita Bandini Datini (1360-1401) al marito, il mercante pratese Francesco, è una delle più cospicue testimonianze di scrittura femminile scaturite dal “tempo dei mercanti”, a cui le donne erano chiamate a collaborare, come ben dimostra un interessante passaggio di una lettera a lei rivolta dal coniuge, il 23 febbraio 1385. Nelle raccomandazioni che le indirizzava, Francesco ribadiva che doveva di ben lungi preferire «avere chura di tutto ed avere l’animo alla chasa ed alla familglia» piuttosto che dedicarsi «alla roccha o a l’ agho» (p.40). In questa “cura di tutto”, anche la penna aveva il suo ruolo e la parabola dell’esperienza di Margherita è del resto molto significativa: da analfabeta che dettava le lettere allo scrivano, prese gradualmente confidenza con l’alfabeto sino al conseguimento dell’autonomia epistolografica. Con buona probabilità le facilitò l’apprendimento proprio la contiguità con lo scrivano e l’aver a portata di mano esempi di scritture. Oltre a Margherita il volume prende in considerazione diverse altre figure. La senese Caterina Benincasa (1347-1380, proclamata santa nel 1461, dottore della Chiesa nel 1970) costituisce l’apice della potenza della scrittura femminile che si originò dalla piena integrazione con la voce della città che Caterina assumeva su di sé, esprimendo i bisogni della comunità e dei ceti più deboli, in uno straordinario incrocio tra spiritualità e politica. Christine de Pizan (1365-1430), invece, rappresenta la più grande scrittrice europea dell’Umanesimo, che anticipò temi ed esperienze del pieno Rinascimento. Tra i suoi scritti si possono ricordare in questa sede le Complaintes Amoureuses, dedicato alla difesa delle donne dalle accuse mosse dal poemetto morale e allegorico Espistre au dieu d’amours: «Diffamare le donne è un vizio villano, io le difendo dall’uomo tanto quanto l’amo» (pp. 49-50). Con Le livre de la Citè des dames siamo al cospetto della prima costruzione strutturata ed elaborata di una visione femminile delle fondamenta etiche della vita (capitolo 1).
Un’altra voce presa in considerazione da Plebani è quella della letterata Marie Le Jars de Gournay (1565-1645) alla quale si deve l’edizione più conosciuta degli Essais di Montaigne, uscita nel 1595 (capitolo 2). Negli Annali storici dell’edificazione, erezione e datazione del serenissimo Monastero di S. Salvatore e S. Giulia, pubblicati poco dopo la sua morte nel 1657, Angelica Baitelli, (1588-1657) ricercava l’attendibilità dei documenti, selezionava le informazioni, presentava e trascriveva fonti (capitolo 3). Paolina Secco Suardo Grismondi (1746-1801) colta salonnière e poetessa bergamasca, ebbe modo di incontrare a Parigi Voltaire, Diderot, Carlo Goldoni. Carolina Airenti Lattanzi (1771-1818) fu autrice de La schiavitù delle donne, un discorso pronunciato il primo luglio 1797 all’Accademia di Pubblica Istruzione di Mantova, e pubblicato poco dopo. Fondò anche con il marito nel 1804 il fortunato settimanale “Corriere delle Dame” (capitolo 4). Tra le figure prese in esame tra Otto e Novecento, infine, Plebani prende in esame Eleanor Marx (1855-1898), la figlia di Marx che, oltre a essere un’attivista socialista, si mantenne come redattrice letteraria e traduttrice, in particolare di Ibsen, amato per la sensibilità nei confronti delle figure femminili. Cristina Trivulzio di Belgioioso (1808-1871), già esule a Parigi per la sua adesione alla Carboneria, ritornò in Italia per sostenere i moti del Quarantotto. Chiusasi l’esperienza milanese e ancora in vita quella più duratura di Venezia, Cristina scrisse la storia di entrambe le rivoluzioni. Non era nuova a imprese di penna: aveva pubblicato vari saggi, tradotto Vico, diretto giornali, collaborato a riviste prestigiose, imponendosi come un’intellettuale a tutti gli effetti, contraddistinta da uno stile personale e diretto. Anna Kuliscioff (1854-1925) era nata in Crimea e per proseguire gli studi dovette trasferirsi a Zurigo dove frequentò il Politecnico, seguendo i corsi di filosofia. La sua attività di militante socialista le impedì in un primo momento di conseguire il diploma: ricominciò a Berna iscrivendosi alla Facoltà di Medicina per poi laurearsi nel 1886 a Napoli. Giuseppina Croci (1863-1948 ca.), infine, a 27 anni e da sola, era partita dalla provincia di Milano per la Cina, dove l’attendeva, in una filanda di proprietà del suo datore di lavoro, il compito di insegnare alle operaie cinesi a produrre la seta, pur non conoscendo la lingua né altro di quel paese (capitolo 5).
Molte studiose, e ora anche studiosi, hanno raccolto indizi, realizzato le antologie, i repertori, le biografie che ancora mancavano; i gender studies hanno seminato e arricchito l’orizzonte di presenze e di interpretazioni. Sono nate case editrici gestite da donne con lo scopo di riscoprire letterate e rispondere alle lettrici, riservando comunque un’attenzione particolare per il pubblico femminile. Ma c’è ancora molto da fare e soprattutto è giunta l’ora di non tenere chiusa in un cassetto questa storia così ricca, di non lasciarla ai margini, negli interstizi, perché appartiene pienamente al cammino della scrittura, del grande mezzo di comunicazione, di espressione, di creatività degli individui.
Marco Bagatti