Giulia Lami: introduzione alla società post eroica nell’Europa Orientale
Si è svolta presso l’Università degli Studi di Milano, in data 5 aprile 2024, la Lectio Magistralis Constructing post-heroic society – the shifting narratives of our past del professore Markus Hermann Meckl, frutto della collaborazione tra il progetto CLEO (Cultural memory, making and identity in the 21st century) e il Dipartimento di Studi Storici. A introdurre il progetto CLEO e presentare il professor Meckl è Giulia Lami, professoressa dell’Università degli Studi di Milano e coordinatrice scientifica del Centro per gli Studi di Politica Estera e Opinione Pubblica (CESPEOP). Markus Hermann Meckl si è laureato in Storia e Filosofia a Berlino, nel 1999 ha conseguito il PhD con il titolo Heroes and Martyrs. The Memory of the Warsaw Ghetto Uprising presso il Centro di ricerca sull’Antisemitismo all’Università Tecnica di Berlino. Dal 2004 insegna all’Università di Akureyri in Islanda. Al momento è coordinatore del progetto CLEO Erasmus+ Cultural memory, making and identity in the 21st century. CLEO è un progetto Erasmus+ che ha come obiettivo indagare e analizzare le trasformazioni avvenute nella costruzione della memoria europea tra XX e XXI secolo. Oggetti di ricerca del progetto sono, in particolare, i cambiamenti percettivi e culturali che hanno portato all’abbandono di una narrazione sociale eroica per lasciare spazio a una più orientata su quella della vittima, nonché i loro sviluppi e le loro conseguenze nello spazio del presente.
Per categorizzare queste nuove narrazioni la storiografia più recente ha coniato l’espressione «post-heroic society», che ha condotto a una riflessione estremamente attuale sul futuro della memoria, non solo nel processo di integrazione europea, ma anche in una scala globale. Il riconoscimento pubblico non è più plasmato dagli atti eroici compiuti dalle comunità o dai singoli individui che si ergono a modelli irraggiungibili, piuttosto dalle sofferenze subite dalle vittime di guerre e conflitti. Il discorso è ribaltato: gli eroi di un tempo sono oggi individui sofferenti e impotenti. La professoressa Lami ricorda come nei suoi studi sull’Europa orientale, che intercorrono dai Balcani allo spazio post-sovietico, si sia dovuta confrontare con memorie opposte tra loro, dove gli eroi di ieri sono oggi, spesso, dei meri esecutori di ordini.
La questione tocca anche i luoghi dediti all’impegno nel testimoniare il passato e la memoria. Troviamo musei sull’Olocausto vicini ad altri musei sull’oppressione sovietica, edifici usati segretamente dalla polizia adibiti ora a luoghi di testimonianza della dissidenza. Vi sono, poi, statue e monumenti che vengono eretti, altri ancora sono distrutti o rimossi. Tra i tanti episodi di questo tipo stupisce la rimozione a Odessa del monumento dedicato all’imperatrice Caterina II, figura protagonista nella fondazione della città. E tuttavia, il monumento, compreso il suo portato simbolico valoriale, non è più considerato ammissibile. Senza ombra di dubbio lo smantellamento rientra nel più grande processo di “derussificazione” che lo stato ucraino ha cominciato più di trent’anni fa e che ha subito una vertiginosa impennata dopo l’aggressione russa. Molti osservatori hanno criticato questi comportamenti, giudicati colpevoli di ravvivare un pericoloso nazionalismo ucraino, senza considerare come questi fossero una risposta alle pressioni russe già esistenti prima dello scoppio della guerra.
Storiograficamente il mondo est europeo è multiculturale, multietnico e multireligioso. Questa pluralità ha sempre un senso positivo, ma per essere mantenuta vi è bisogno di un salto di qualità nel riconoscimento reciproco di esistenza e di coesistenza, nonché di uno spazio comune: su queste linee di proiezione, insiste Lami, si concentrano gli sforzi di integrazione dell’Unione Europea. È, quindi, necessario comprendere le diverse realtà che ogni nazione offre, intrecciarle e promuoverle al fine di riconsegnare un quadro certamente complesso, ma che tiene conto di tutti gli elementi che lo compongono, persino quelli che possono risultare divisivi. I monumenti civili e religiosi marcano la presenza sul territorio di una comunità, che ad essi affida il ruolo di depositari dell’eredità collettiva. Lami insiste sulle vicende storiche che hanno segnato l’area balcanica ed est europea nel XX secolo (soprattutto al periodo post-sovietico); quanti monumenti protetti sono stati distrutti nel corso del secolo? Si tratta sempre, a prescindere dalle ragioni presentate, di un impoverimento del patrimonio culturale dell’umanità: un accordo comune in Europa sulla preservazione dei monumenti diviene ora essenziale più che mai. Riflettere sul patrimonio culturale da tutelare, nell’ossequio di ogni componente delle realtà plurali di cui facciamo parte, è cruciale per stabilire un concetto più ampio di civiltà comune.
Markus Meckl: cambiamenti di narrazione nella costruzione di una memoria post eroica
Il professore ha aperto il suo intervento sottolineando l’importanza della narrativa storica per l’identità di una comunità. Essa «ci orienta in questo mondo esattamente come le memorie formano un bambino». Le storie dei bambini sono piene di eroi per ispirare. Negli anni recenti, però, il modo in cui creiamo narrative è cambiato ed è ora definito come “post-eroico”, per indicare che il riconoscimento di una comunità non è più ricondotto a un atto eroico ma all’essere vittima. Questo cambiamento è il fulcro centrale attorno al quale si sviluppa la tesi del professore.
Quando avviene questo slittamento e cosa comporta? Il cambio di paradigma da eroe a vittima è analizzato e analizzabile sotto la lente di molte discipline. Persino lo studio dell’urbanistica, concentrandosi sui monumenti, lo attesta. Si rivela infatti un cambio di sensibilità tra i monumenti di una volta, chiaramente pensati per commemorare individui e atti eroici (basti pensare alla classica statua in bronzo ottocentesca con il monarca sul cavallo rampante), e quelli realizzati a partire dagli anni ‘90, che commemorano molto più frequentemente le vittime. Dagli anni ‘80 persino le malattie, tramite rispettivi monumenti che le consegnano alla memoria storica, sono usate come catalizzatori della coscienza collettiva. Se infatti è difficile trovare elementi commemorativi della febbre spagnola del 1919, oggi non troviamo bizzarro o fuori luogo un monumento che ricorda la crisi pandemica da Covid 19. Esistono, è vero, monumenti che ricordano la Peste, che sembrerebbero smentire questo recente cambio di paradigma, ci si accorge però che ad essere celebrate, in quel caso, non sono le sue vittime, rimangono quindi delle differenze rispetto a questo tipo di narrativa moderna. Questa tendenza è promossa con sempre più frequenza sin dal 1993, quando viene istituita la giornata per la memoria delle vittime stradali. Uno studio dimostra la crescita, nel numero, dei monumenti alle vittime anche di eventi precedenti al cambio di paradigma narrativo, come per le vittime delle violenze sovietiche o della repressione della chiesa cattolica. Nel nuovo millennio, dopo gli attentati alle Torri Gemelle e quelli di Madrid del 2004, si ricordano le vittime degli attacchi terroristici. Anche la memoria e la dialettica politica si sono spostate sulla narrativa della vittima, quando non proprio sul vittimismo.
Nei discorsi politici degli ultimi dieci anni, dice il professore, la parola “vittima” è più presente di “eroe”. La nozione di vittima era usata perlopiù in contesto religioso e solo negli anni ‘80 fa il salto che le permette di affermarsi in altre dialettiche. La rottura con la precedente narrazione è abbastanza netta non solo nei suoi personaggi e soggetti, ma anche nel messaggio che vuole convogliare. Il ciclo dell’eroe è chiaro a tutti e se anche si conclude con la morte dello stesso, sono le azioni da lui compiute a dargli “valore” e riconoscimento presso la comunità. La ricerca di riconoscimento è certamente presente anche oggi, ma è cambiata la sensibilità che determina cosa sia degno di riconoscimento e cosa no. La presentazione del sé davanti al mondo come vittima è una dinamica del tutto nuova, che tra XIX e XX secolo sarebbe stata impensabile. Le suffragette, che avrebbero avuto, ai nostri occhi, tutte le ragioni per definirsi vittime di un sistema ingiusto, non si rifanno mai a questa nozione, come rileviamo dai loro proclami e discorsi. Non fanno mai parallelismi tra la loro condizione e, per esempio, quella dei nativi americani schiacciati dai conquistadores. I loro discorsi esaltano la lotta politica, quindi l’azione attiva, il concetto di diritto e di “giustizia”, altro rimando all’eroe. Non si rifanno alla nozione di vittima perché questa era avvertita, allora, come fonte di compassione, dispiacere, ma non di riconoscimento pubblico o fattore di vicinanza. Oggi invece, durante la crisi pandemica, i no-vax si definivano vittime della globalizzazione e sfilavano con stelle di Davide cucite sui loro abiti per richiamare le vittime dell’Olocausto, le vittime per antonomasia (questo non vuol dire che suffragette e no-vax siano comparabili per condizione o convinzioni). Anche nei discorsi politici possiamo avvertire questa modifica analizzando i registri utilizzati. Nel suo discorso di dimissioni, Nixon non fa uso del concetto di vittima di un sistema ingiusto per creare empatia, mentre oggi è impensabile un discorso di Trump senza questo elemento.
L’Olocausto, o per meglio dire la memoria dell’Olocausto, ha un ruolo fondamentale in questo cambiamento, ed è al contempo sottoposta a questo cambiamento, dimostrando di nuovo come affrontare questo tema ponga un serio tema di metodo. È interpretato come simbolo di sofferenza e portatore di un obbligo che le generazioni future devono conoscere per non ripetere gli stessi errori. Eppure, anche questa narrativa si è sviluppata solo negli ultimi venti anni, ed è ben diversa da quella che si promuoveva nel 1945. Subito dopo la guerra, quando la cosa non voleva essere nascosta del tutto perché la sensibilità non dava valore alle vittime, si optava ad una memoria potremmo dire più classica, che quindi decideva di mettere in risalto gli aspetti più eroici dell’Olocausto e della resistenza ebraica al genocidio. Venivano ricercati quegli eventi storici che si potevano analizzare, leggere e promuovere attraverso la dimensione eroica. Da questa volontà deriva la commemorazione dell’insurrezione del ghetto di Varsavia. Nel ‘45 manca ancora il linguaggio narrativo per commemorare la vittima.
Meckl ha poi evidenziato le molte difficoltà che si incontrano nell’approcciare questi studi da un punto di vista storiografico. Questo prevalentemente perché, la narrativa storica della vittima, mette in risalto una non-azione. La vittima non compie un’azione che la contraddistingue rispetto agli altri (come accade per l’eroe), anzi nella maggior parte dei casi mantiene un atteggiamento passivo. Questa passività è difficile da studiare scientificamente sia che si voglia confermare o sfatare. A ciò poi si aggiunge la difficoltà di criticare la vittima che è vista come massima innocente, a differenza dell’eroe che, pur con difficoltà perché difeso dalla sua comunità, può essere criticato per le sue visioni e per le sue azioni. È una narrativa molto diffusa che difficilmente si riesce a incanalare in quadri stabili a causa della complessità nello studio e per questo si è diffusa in maniera indiscriminata. Questa tendenza pone grandi complicanze ai moderni ambiti di costruzione di narrativa storica. Meckl, infine, sottolinea come le nostre riflessioni dovrebbero essere orientate verso la costruzione di una narrativa europea unita (e non delle singole narrative nazionali) che possano ricordare e rafforzare il processo di affermazione della democrazia e della pace, una costruzione difficile da promuovere tramite la narrativa della vittima. Una narrativa quindi che possa superare gli orrori commessi nella prima metà del XX secolo dietro la narrativa eroica, affermando una nuova narrativa moderna.
Gabriele Bossi – Alberto Girardi Migliorisi