Tesi magistrale in Scienze Storiche, a. a. 2023-24, relatrice prof.ssa Laura Mecella, correlatore prof. Alessandro Cavagna.
Con l’espressione “fine della Britannia romana” si intende il termine ultimo che una parte della storiografia ha deciso di assegnare al dominio di Roma sulla più grande delle isole britanniche. Si tratta di uno dei tanti problemi che si inseriscono all’interno della tarda Antichità, in quella fase di transizione tra l’Impero romano e le formazioni politiche che l’avrebbero seguito.
Il modello tradizionale di “caduta” o di rottura molto netta è stato per lo più abbandonato, favorendone uno differente che sia in grado di mettere in risalto la continuità, gli elementi comuni tra le rovine di Roma e i cosiddetti “regni romano barbarici”.
Nello schema interpretativo classico la Britannia rappresenta però un’eccezione, in quanto è ancora in uso, nella grande maggioranza delle pubblicazioni più recenti, un discorso basato sull’idea di una cesura ben delineata tra il mondo romano e la sua fine. Il momento di svolta si sarebbe verificato nel 410 d.C., quando l’usurpatore Costantino III raccolse un numeroso esercito sull’isola e la lasciò per il continente senza fare mai più ritorno. Questo evento è stato riconosciuto come la celeberrima “fine della Britannia romana”, poiché i Romani non sarebbero più riusciti a ritornare e anzi, in accordo con lo storico Zosimo, anche la restante componente di funzionari amministrativi dell’impero sarebbe stata espulsa da lì a poco a causa di una rivolta promossa dalle città britanniche. Quella appena delineata è la teoria più accreditata e tuttora vigente.
L’obbiettivo e l’ambizione di questa ricerca risiede nell’indagare a fondo ogni tipologia di fonte disponibile. Senza dubbio un ruolo privilegiato è stato ricoperto dagli autori antichi, partendo da Zosimo ma senza dimenticare altri, i quali, anche con brevi scorci e citazioni, risultano importanti pezzi di un mosaico complesso. È stato adottato un attento atteggiamento critico nei confronti di quelle fonti che la storiografia ha spesso elevato al di sopra delle altre, ovvero le opere redatte in contesto isolano a partire dal primo Medioevo: i lavori di Gildas, Beda il Venerabile e Nennio. Per lungo tempo si è creduto, e taluni ne sono ancora convinti, che la produzione “autoctona” di questi testi sia un elemento decisivo nella veridicità delle informazioni ivi contenute. Uno dei punti fermi di questa tesi è la convinzione profonda che le fonti medievali ricoprono un ruolo fondamentale nella ricerca, ma sono avvolte da un’irrimediabile ambiguità. Ritengo che per colmare i vuoti sia necessario considerare in modo approfondito quelle opere prodotte fuori dal contesto isolano, ma molto più vicine all’anno 410. Queste sono in grado di fornire un’immagine di una Britannia ancora integrata al continente, nonché parte del mondo romano anche dopo la sua tradizionale “fine”.
In secondo luogo, a sostegno della letteratura, è stato attuato uno sforzo per non trascurare fonti più complesse quali la Notitia Dignitatum, su cui al contrario il ragionamento di questo studio si è fondato. La Notitia è un prodotto di alta fattura emesso dalla cancelleria imperiale a cavallo tra IV e V secolo. Per la sua difficoltà interpretativa è stata spesso accantonata senza considerazione, tuttavia, consapevoli della preziosità di questo documento e della carenza generale di fonti, non ci è concesso il lusso di scegliere quali adoperare.
In ultima istanza ho cercato in ogni modo di intrecciare un dialogo tra gli studi più recenti in campo letterario con i corrispettivi relativi alla cultura materiale. La volontà non è mai stata quella di creare un compromesso, ma di ricercare il punto d’incontro tra due modelli solo apparentemente paralleli. Le difficoltà tra discipline diverse, ma complementari, di confrontarsi risulta ancora un ostacolo non indifferente all’interno degli studi storici.
In particolare, ho insistito sull’apporto più recente della numismatica, poiché è stata (e continua a essere) proprio la scienza monetale a rappresentare il baluardo più resistente a sostegno della cesura netta tra un prima e un dopo 410 d.C.
In conclusione, ritengo di poter affermare che non sia corretto parlare di “fine della Britannia romana” nei termini finora elencati, ma che si debba inserire la storia dell’isola all’interno di quel paradigma di trasformazione che contraddistinse tutto l’impero. Questo non significa negare i caratteri peculiari di cui il panorama oltre Manica ha goduto, nonché i tempi più ristretti nella transizione.
L’elemento più difficile da accettare all’interno di molteplici visioni storiografiche risulta essere il punto di vista adottato dagli studiosi, in molti casi tendenzioso in partenza. Il problema risulta essere in verità già presente nella storia: nel corso del tempo sembra infatti che due differenti visioni sulla conclusione della Britannia romana abbiano trovato sostegno. Da un lato, alcuni storici antichi insistettero sul legame di continuità sociopolitica che l’isola mantenne nel corso del V secolo, dall’altro i cronisti medievali vollero sottolineare il distacco da Roma e quindi l’inizio di una nuova storia.
La storiografia contemporanea riflette ancora questo duplice schema, combattuta tra il voler ricercare il fil rouge della storia britannica e al contempo di individuare l’inizio della storia della moderna Inghilterra. La suddetta pratica comporta delle contradditorie, talvolta persino aprioristiche, prese di posizione.
Certamente la Britannia di inizio V secolo non era quella diocesi dinamica e popolosa che era stata tra III e IV, ma così era per il resto dell’impero in disfacimento. La “fine della Britannia romana” non si può stabilire, probabilmente perché nemmeno nella percezione di chi la abitava avvenne in un momento preciso. A comunicarci l’idea di rottura sono autori che scrissero in un tempo in cui la Britannia romana era già finita da tempo. Anche i manufatti, se isolati, portano a questo tipo di pensiero, e così la lettura della Notitia Dignitatum può essere duplice: secondo alcuni è stata considerata come il capriccio di una corte che non voleva accettare la perdita della Britannia e continuava a inserirla come parte regolare dell’impero nei documenti ufficiali.
La lettura che invece condivido, già paventata da altri brillanti studiosi, insiste invece sul punto opposto: proprio perché la corte considera ancora l’isola un territorio imperiale, non può nemmeno concepire che il dominio romano sia ivi terminato. Se davvero Costantino III aveva perso il controllo dell’isola, se questa era in balia di una rivolta o nelle mani di popolazioni barbare, questo non significa che venne persa per sempre al mondo romano. Continuamente le province più periferiche venivano perdute per essere riprese: la Britannia ne è un esempio lampante, riconquistata per ben tre volte tra la fine del III e l’inizio del V secolo. La Notitia Dignitatum sembra volerci comunicare la ferma volontà di considerare l’isola all’interno dell’impero, forse in attesa di un nuovo intervento delle legioni. Il relativo vuoto documentario di cui purtroppo soffre il V secolo non ci permette poter affermare con sicurezza che esso sia avvenuto, ma porta a concludere che sia l’ipotesi più probabile.