Nel più ampio contesto della Milano Digital Week 2023, tenutasi dal 5 al 9 ottobre, ha avuto luogo un panel, sotto forma di webinar, dal titolo Oltre i limiti. Digital Humanities e sviluppo di città e territori, volto a presentare tre progetti elaborati nelle passate edizioni del master di II livello in Digital Humanities, promosso dall’Università Statale di Milano in collaborazione con il Comune di Milano e organizzato congiuntamente dai dipartimenti di Studi storici e di Informatica. Ad accomunare la Milano Digital Week e il master in Digital Humanities è lo “sviluppo dei limiti”, tema dell’edizione 2023 della prima e uno dei principali obiettivi del secondo, il quale si propone appunto di superare i limiti materiali, culturali e tecnologici nell’ambito degli studi umanistici. L’incontro è stato organizzato e coordinato dalle professoresse Marta Luigina Mangini, Blythe Alice Raviola, Simona Turbanti e dal professor Fabio Venuda, coordinatore del master.
Dopo i saluti iniziali della professoressa Mangini, che ha sottolineato come il master ha lo scopo di realizzare studi innovativi facendo interagire e integrare tra loro le conoscenze umanistiche e quelle informatiche a fini professionali, a prendere la parola è la professoressa Silvana Castano, la direttrice del dipartimento di Informatica, la quale mette in luce come i tre progetti che verranno presentati rappresentano la perfetta sintonia tra l’intreccio dei saperi e le competenze fornite agli studenti e tra le due discipline della storia e dell’informatica. Sulla stessa linea, il professor Andrea Gamberini, direttore del dipartimento di Studi storici, si sofferma sull’importanza per gli stessi studi storici, talvolta visti come qualcosa di “vecchio e polveroso”, di essere invece al “passo coi tempi”, opportunità offerta proprio dal master, che mostra la capacità degli studi umanistici di offrire qualcosa di nuovo alla società e, ancor più importante, dialogare proficuamente con essa. È poi il turno del professor Venuda che esprime quello che, a suo parere, è il più grande successo del master, giunto ormai alla quarta edizione: il forte interesse mostrato dalle aziende e dal mondo del lavoro per i corsisti, che alle volte continuano il rapporto lavorativo, causando così un’importante ricaduta sulla vita stessa sia delle aziende che dei partecipanti al master. Infine, la professoressa Raviola, al termine della presentazione del panel, torna sul tema e il titolo dell’incontro: Oltre i limiti, che i tre progetti applicano coerentemente al soggetto “città”, attraverso una “città immaginata”, una “città ricostruita” e una “città organizzata”.
Umberto Sacchi, “Oltre il tempo. Renaissance GO: una proposta di videogioco sul Rinascimento milanese”
Il primo a presentare il proprio progetto, dal titolo Oltre il tempo. Renaissance GO: una proposta di videogioco sul Rinascimento milanese, è il dottor. Umberto Sacchi, già laureato in Scienze storiche presso la Statale. Il progetto di Sacchi è l’ideazione di una proposta di videogioco, da chiamarsi Renaissance GO, incentrato sul Rinascimento milanese, che ha tre obiettivi: unire l’aspetto ludico a quello storico, essere uno strumento divulgativo e didattico, in modo da valorizzare il patrimonio culturale di un ente o di un territorio.
Il punto di partenza di Sacchi è l’analisi dello “stato dell’arte”, per comprendere da dove si è partiti nello sviluppo di videogiochi a tema storico e dove si è giunti. I primissimi videogiochi a tema storico nacquero negli anni Sessanta negli Stati Uniti, erano incentrati fortemente sulla didattica e creati da insegnanti a scopi didattici, tuttavia, necessitavano di potenti e costosi computer, ancora scarsamente diffusi nella popolazione, cosicché ebbero scarso successo. Con la diffusione delle prime console domestiche, dagli anni Ottanta, ci fu un’esplosione del mercato videoludico e il medium divenne transmediale, coinvolgendo romanzi, fumetti, film e serie tv. Per i videogiochi a tema storico, Sacchi porta due esempi di serie fortunate: Civilization, un gioco strategico, e Assassin’s Creed, un gioco d’azione. Considerando il secondo, esso presenta alcuni pregi, quali, ad esempio, l’ambientazione ben riscostruita o il database interno che permette di accedere a svariate informazioni storiche; ma che ha anche dei difetti, tra i quali l’alterazione di avvenimenti storici per esigenze di storytelling e di gameplay e il fatto che le informazioni storiche fornite dal database non siano necessarie per portare a termine il gioco.
Da qui nasce l’idea di Sacchi volta a creare un videogioco in cui la storia sia la protagonista, senza, per questo, tralasciare l’aspetto ludico dell’esperienza. In particolare, il videogioco deve avere le seguenti caratteristiche: essere per dispositivi mobili, avere una struttura free to play (non necessita quindi di un pagamento per essere scaricato o giocato), utilizzare la realtà aumentata con GPS, essere disponibile per iOS e Android e, infine, avere un’ambientazione storico-geografica ben definita, nel caso specifico, la Milano rinascimentale, a partire dalla metà del XV secolo.
Sacchi passa poi a descrivere il gameplay vero e proprio, dunque, l’esperienza effettiva offerta dal videogioco ai giocatori. Il sistema GPS permette all’utente, spostandosi fisicamente all’interno della città, di spostare contemporaneamente il proprio avatar all’interno del gioco, fino a raggiungere, in corrispondenza di luoghi storici, dei punti interattivi. Il giocatore entra così in contatto con alcuni “elementi informativi”, da visualizzare sul proprio dispositivo, che trasmettono un sapere storico legato a quel contesto cittadino: eventi, personaggi, opere d’arte, architettura, allo scopo di ricostruire l’ambientazione storica. Per rendere più accattivanti queste informazioni è possibile implementarle con elementi audio e/o video. A questo punto, il giocatore sblocca gli “elementi interattivi”, consistenti in alcuni minigiochi basati sulle schede informative precedenti. I minigiochi possono essere diversi: classici quiz a risposta multipla, vero o falso, caccia al tesoro o trova l’intruso (individuare in un’immagine, creata ad hoc o estrapolata da opere d’arte particolari, oggetti che non c’entrano con l’epoca storica rappresentata), trova le differenze. In caso di successo, il giocatore sblocca delle ricompense, come aiuti per superare agevolmente i minigiochi futuri, nuovi punti informativi sulla mappa, oppure i sempre apprezzati item estetici per l’avatar e vari oggetti virtuali collezionabili.
Viene riconosciuto da Sacchi che un videogioco basato sul mondo reale può presentare delle criticità; ad esempio, dei luoghi di grande interesse storico-culturale spesso sono distanti tra di loro o dal centro cittadino. Per ovviare, Sacchi propone di adattare alcuni punti, sia informativi che interattivi, presso luoghi “fittizi” che rimandano però a luoghi di interesse, in modo da sbloccare gli elementi bonus senza con ciò inficiare lo sviluppo della narrazione storica.
Il videogioco, nelle intenzioni di Sacchi, deve poter essere eseguito anche su versioni di iOS e Android più datate, ma è sempre necessaria, per forza di cose, la connessione a internet e la localizzazione GPS. Allo scopo di non appesantire le prestazioni del gioco, la grafica deve avere uno stile minimal, con una mappa 2D e il 3D utilizzato solamente per elementi fondamentali quali i punti informativi e interattivi, nonché l’avatar del giocatore.
Sacchi mostra quindi un esempio concreto del funzionamento del videogioco, ipotizzando dei punti di interesse posti intorno al Castello Sforzesco, con le schede informative in giallo e le schede interattive in rosso. Una scheda informativa potrebbe riguardare la Dama con l’ermellino, capolavoro di Leonardo da Vinci fondamentale per il periodo sforzesco, mostrando così come sia possibile contestualizzare nella città di Milano anche un dipinto conservato all’estero (si trova al Museo Czartoryski di Cracovia). Per quanto riguarda i minigiochi, essi devono essere di difficoltà crescente e non afferire solamente alle schede informative da poco consultate dal giocatore, ma anche a quelle passate, con l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione e, quindi, favorire l’apprendimento.
Sacchi sottolinea la possibilità di declinare la struttura del videogioco mobile a un utilizzo su computer, in modo da poter usufruire del gioco stesso e di scoprire la città di Milano, esplorabile, con mouse e testiera o controller, attraverso la creazione di un ambiente digitale; in questo caso, si potrebbero introdurre più elementi 3D (es. monumenti) data la maggiore capacità di calcolo. Ma non solo; il progetto di Sacchi si presta ad essere declinato anche in altri contesti cittadini e persino nei musei, dove specifici percorsi didattico-ludici possono far scoprire all’utenza opere d’arte solitamente trascurate in favore di quelle più “famose” (si pensi alla Gioconda al Louvre, che attrae l’attenzione della maggior parte dei visitatori, alle volte troppo concentrati su essa o altre opere note al grande pubblico per dedicarsi a qualcosa di “nuovo”). Internamente ai musei, appositi codici QR adiacenti ai quadri permetterebbero un’esperienza ancor più interattiva.
Nelle considerazioni finali, Sacchi sottolinea come l’attendibilità storica verrebbe raggiunta grazie alla mancanza della necessità di uno storytelling alternativo e come il videogioco si rivolga principalmente non agli storici di professione ma agli appassionati e spinga il giocatore a incamminarsi per la città, valorizzando elementi noti e scoprendo scorci nascosti, spesso trascurati. Renaissance Go non è qualcosa di statico, si può evolvere con l’introduzione di nuovi elementi per approfondire quell’epoca storica, oppure implementando altre epoche, potendo adattare la struttura a qualsiasi città (e museo) presente nel mondo.
Erica Castelli, “Oltre i limiti del visibile: ricostruire il passato di Palazzo Reina mediante la modellazione 3D”
La dottoressa Erica Castelli, laureata anch’essa in Scienze storiche presso la Statale, presenta il secondo progetto, da lei realizzato e dal titolo Oltre i limiti del visibile: ricostruire il passato di Palazzo Reina mediante la modellazione 3D. Il protagonista del progetto è Palazzo Reina, imponente immobile di cinquemila metri quadrati situato vicino al Duomo di Milano, precisamente, in via Bagutta 12, in pieno Quadrilatero della Moda. In tempi recenti, il Palazzo è stato al centro dell’attenzione grazie ai lavori di restauro realizzati negli ultimi dieci anni dai nuovi proprietari che, avendolo acquisito in uno stato non ottimale dal Comune, lo hanno riportato agli antichi splendori. Tuttavia, se è facile ricostruire la storia contemporanea del Palazzo, più difficile è conoscerne la storia remota.
Un primo indizio è un numero inciso sulla chiave di volta dell’arco del portone di ingresso: 840, l’antico numero civico. Esso è traccia di un passato che può essere scoperto grazie a una pratica d’archivio riguardante il Palazzo e che ha come punto di partenza cronologico il 1538. La pratica è conservata presso la Cittadella degli Archivi del Comune (partner del master), polo archivistico meccanizzato tra i più grandi in Europa e situato in zona Niguarda, ed è del marchese Gaetano Litta Modignani, ultimo proprietario dell’immobile prima della vendita al Comune nel 1921. Come prima informazione, otteniamo quella che il dominio della casa, già di un Oratorio di giuspatronato della nobile famiglia milanese dei Fagnani, passò ai coniugi Pellizzoni nel 1538. Da qui, partono quattrocento anni di eventi che hanno interessato il fabbricato attraverso i contratti dei coinquilini, varie sentenze giuridiche, gli accordi che gli inquilini prendevano con i vicini riguardo a modifiche da apportare e così via. Leggendo la pratica, si nota come nell’immobile convivano due anime: una statica, data dalla natura stessa di un immobile, e una dinamica, data dai cambiamenti estetici, di utilizzo e di restaurazione operati nel corso dei secoli.
Dal 1538 alla fine del XVIII secolo possiamo seguire, grazie ai documenti, l’avvicendarsi di varie nobili famiglie nella proprietà del Palazzo, ma non ci sono modifiche strutturali. La situazione cambia quando il complesso viene acquistato nel 1797 da Francesco Reina, che lo terrà fino al 1834, quando lo cederà non prima di aver eseguito importanti lavori di restauro. I Reina acquistano l’utile della casa n. 840 nel 1797, dopo due anni acquisiscono la n. 841 e, infine, nel 1827 comprano la n. 842, con l’obiettivo di riedificare i tre caseggiati distinti e costruire un unico palazzo, che appunto prenderà poi il nome di Palazzo Reina. Le operazioni e la fabbrica possono considerarsi concluse nel 1830, quando una testimonianza ci informa che «le suddette tre case sono ora unite, confuse e formanti un sol corpo di casa».
Lo scopo principale che Castelli si pone è quello di integrare la ricerca storica con la ricostruzione tridimensionale per far emergere il Palazzo così com’era prima degli imponenti lavori della famiglia Reina. Negli ultimi decenni, la modellazione 3D è stata utilizzata con successo in svariati ambiti: media, didattica, creazione di ambienti virtuali, architettura, ma anche nella ricerca storica, allo scopo di facilitare il processo interpretativo degli studiosi. I modelli 3D, sia che raffigurino edifici storici, statue o manufatti, offrono non pochi vantaggi: sono facilmente fruibili e condivisibili, possono essere visualizzati su diversi dispositivi contemporaneamente e utilizzati anche a chilometri di distanza rispetto al luogo d’origine, permettono di vedere da vicino, senza danneggiarlo, qualsiasi bene culturale. Tuttavia, per poter disporre di modelli 3D scientificamente accurati è necessario che il processo di modellazione segua diverse fasi.
Una prima fase è quella della raccolta di informazioni, in questo caso, la lettura degli atti della pratica, che ha permesso a Castelli di recuperare due planimetrie del caseggiato n. 840 risalenti al 1783, una sintetica descrizione del 1799 degli ambienti interni del n. 841 e una planimetria del n. 842 realizzata nel 1827. Quindi, tutto materiale precedente al 1830, anno del termine dei lavori. Lo step successivo riguarda la creazione di una base bidimensionale sulla quale fondare la ricostruzione 3D; per questo passaggio, Castelli si è avvalsa dell’aiuto di un architetto specializzato. Confrontando, tramite georeferenziazione, le planimetrie del 1783, 1827 e 1964 si nota che, tra il periodo precedente al 1827 e quello successivo, ci sono sia elementi di continuità sia di discontinuità. Alcune stanze, scale e bagni presentano le stesse caratteristiche, ma la corrispondenza non è perfetta, dal momento che la precisione delle planimetrie sette e ottocentesche differisce da quella delle planimetrie odierne o novecentesche. Per avere una base il più vicina possibile a quella antecedente al 1827, Castelli ha corretto, grazie a Photoshop, i disallineamenti, facendo traslare o ruotare (mai toccando le dimensioni) le varie sezioni interessate, giungendo così a corrispondenza con le planimetrie recenti.
Castelli ha quindi sviluppato la modellazione 3D effettiva avvalendosi del software di progettazione 3D SkecthUp. Oltre alla base 2D creata precedentemente, sono state utilizzate le planimetrie dei caseggiati n. 840 e n. 842 e le ragionevoli ipotesi emerse dalla lettura dei documenti relativi alla forma e disposizioni del caseggiato n. 841. La ricostruzione è stata possibile solo in parte per motivi di tempo e Castelli ha scelto di privilegiare il piano terra della casa n. 840, dal momento che è corpo di fabbrica principale e ad essa è riferita la descrizione più dettagliata interna alla pratica. Per completare il tutto si è fatto riferimento finanche ad architetture simili dello stesso periodo.
Il risultato finale è un modello 3D che permette di avere maggiore consapevolezza delle dimensioni e degli spazi rispetto alle planimetrie. Immediatamente, osservando il modello 3D, saltano all’occhio le tavole in legno presenti nella parte esterna dei locali che affacciano su via Bagutta; ma si notano subito anche una prima grande corte, una piccola selleria vicino al pozzo, un portico, una cucina, un locale per accedere ai piani superiori, una piccola dispensa, una seconda corte e una latrina.
In conclusione, grazie all’iniziale ipotesi ricostruttiva virtuale di un palazzo profondamente modificatesi e al successivo modello 3D, Castelli ha attribuito una forma e reso concrete le parole degli atti, riuscendo a visualizzare un palazzo che ora, con queste fattezze, non esiste più.
Federica Nardiello, “Ai confini del metaverso: uno sguardo al futuro dei sistemi bibliotecari”
L’ultimo progetto, intitolato Ai confini del metaverso: uno sguardo al futuro dei sistemi bibliotecari, è presentato dalla dottoressa Federica Nardiello, laureata a La Sapienza di Roma in Informazione e sistemi editoriali. L’obiettivo che Nardiello si prefigge è scoprire il potenziale e i possibili sviluppi di sistemi bibliotecari (virtual libraries) all’interno del metaverso, partendo proprio dalla definizione di quest’ultimo, per passare poi alla sua evoluzione e all’analisi dei vantaggi e degli svantaggi.
Si parte citando una ricerca condotta nel 2022, che ha mostrato come l’evoluzione del web e dei sistemi bibliotecari abbiano conosciuto uno sviluppo che è andato quasi di pari passo, per poi passare a delineare le differenze tra realtà aumentata, virtuale e mista. La realtà aumentata si presenta quando inseriamo delle informazioni digitali in tempo reale nell’ambiente in cui un utente si trova. Al contrario, la realtà virtuale è una realtà simulata nella quale l’utente si “immerge” con l’utilizzo di appositi visori. Per ultima, la realtà mista è una unione delle due: l’utente non si distacca dall’ambiente circostante, ma necessita lo stesso di visori specifici. Più complessa la definizione di metaverso: da un lato, i businessmen definiscono il metaverso come un loro prodotto, dall’altro, gli esperti della comunità tecnologica continuano a interrogarsi su quali siano gli elementi caratterizzanti del metaverso. Secondo Matthew Ball, autore di un fortunato libro dal titolo The Metaverse. And How It Will Revolutionize Everything (New York 2022) esisterebbe un solo metaverso.
Al fine di comprendere le potenzialità del metaverso è possibile compiere un excursus storico, a partire dagli anni Settanta, quando venne creato il MUD (Multi-User Dungeons), che digitalizzava il famoso gioco di ruolo da tavolo Dungeons & Dragons, divenuto ben presto MUSH (Multi-User Shared Hallucinations) o MUX (Multi-User Experience). Un passo in avanti si ebbe nel 1986, con il lancio di un vero e proprio cyberspace sotto forma di gioco virtuale multigiocatore: Habitat. La svolta è tuttavia rappresentata da Second Life, un mondo virtuale che contempla la prospettiva di un’esistenza alternativa, piattaforma di Linden Lap rilasciata il 23 giugno 2003.
Nel solo primo anno di vita, Second Life attirò più di un milione di utenti, conseguentemente, anche diverse società si stabilirono al suo interno per promuovere il loro business, tra cui Adidas, BBC e Wells Fargo. A cogliere l’opportunità furono anche associazioni no-profit, come l’American Cancer Society e Save the Children, o l’università, compresa Harvard, la quale realizzò persino dei corsi di giurisprudenza esclusivi della piattaforma. Second Life, tuttora attivo,è più di un semplice gioco, testimoniato anche dal fatto che gli utenti vengono chiamati “residenti” e possono: esprimere la loro creatività (arte, musica, fotografia), socializzare (chat o voice chat), esplorare, partecipare ad attività individuali o di gruppo (feste, concerti, mostre, corsi), creare e scambiare beni e servizi, infine, utilizzare i Linden Dollar, moneta virtuale spendibile all’interno della piattaforma, ma che può essere acquistata e convertita in dollari statunitensi, andando a creare una sorta di economia “reale” interna a Second Life che interagisce con l’economia “esterna”.
Anche il famosissimo videogioco Minecraft presenta degli aspetti afferenti al metaverso. Al suo interno è stato possibile ricevere ed effettuare videochiamate dal mondo reale e creare intere città in scala. Esemplificativo delle potenzialità di Minecraft è stata, nel febbraio 2020 a seguito della diffusione del Covid-19, la ricreazione, da parte di una comunità di giocatori cinesi, delle strutture ospedaliere di Wuhan, come una sorta di tributo ai lavoratori e medici. A un mese di distanza, Reporters Sans Frontières ha commissionato la costruzione di The Uncensored Library, una grandissima biblioteca digitale interna al videogioco contro la censura digitale.
Per quanto riguarda Second Life, la biblioteca, conosciuta come Info Arcipelago, dal 2006-2007 ha sede in quaranta isole della piattaforma, nella quale un importante ruolo è svolto da CVL, la Community Virtual Library, nata nel 2007, con lo scopo di creare una community dedita alla divulgazione scientifica ma non solo. La CVL si impegna nella ricerca di nuovi mondi virtuali e nella creazione di un catalogo online, globale e gratuito che possa andare al di là del metaverso per mettere in contatto gli individui in base ai loro interessi. Inoltre, la CVL ha ideato Hypergrid Resource Center, dove i residenti trovano le istruzioni per accedere ad altri mondi. Un esempio è Kitely, una piattaforma che permette si esplorare e creare appunto nuovi mondi, istruirsi, partecipare a conferenze e molte altre cose. Per quanto riguarda il mondo bibliotecario, Metaverse Libraries mette in comunicazione bibliotecari, educatori e curatori all’interno del metaverso attraverso due tipologie di eventi: tour di biblioteche e musei e Metaliteracy workshop. STEM4GIRL, invece, è un’isola dedita a introdurre docenti e insegnati ai problemi riguardanti l’interesse femminile per le STEM (discipline scientifico-tecnologiche), con al suo interno una biblioteca specializzata in tal senso. Un altro esempio ancora è Spatial, piattaforma nella quale è possibile creare e organizzare eventi, mostre d’arte, ritrovi e collaborazioni, dove è presente anche l’italiana Giunti al Punto, che espone il proprio catalogo in una mostra virtuale suddivisa in generi, visitabili anch’essi.
Nardiello illustra quindi i vantaggi emersi dalla sua ricerca intorno al metaverso in relazione ai sistemi bibliotecari: senso di presenza sociale, maggior appagamento, sviluppo professionale internazionale, sostenibilità ambientale ed economica, accessibilità culturale, diverse esperienze che nel mondo reale non possono essere vissute. Tuttavia, non mancano gli svantaggi: morte e modifica degli oggetti digitali che stride con l’archiviazione e la conservazione, leggi rigide, in special modo in Italia, e incapaci di stare al passo con l’innovazione, difficoltà nell’ottenere permessi dai detentori di proprietà intellettuali.
Nelle sue conclusioni, Nardiello sostiene la necessità di rendere il metaverso aperto e basato sull’interoperabilità, requisiti indispensabili affinché le biblioteche entrino a farne parte in “pianta stabile”. Si allinea perciò al parare di Peter Fernandez che, in un paper pubblicato nel maggio 2022 sulla rivista Library Hi-Tech News, ipotizza come le biblioteche entreranno a far parte del metevarso solo quando il concetto di “proprietà intellettuale” raggiungerà il suo massimo grado di sviluppo.
Conclusioni
Al termine della presentazione dei tre progetti, la professoressa Turbanti sottolinea come le relazioni dei corsisti abbiano toccato il cuore dello scopo del master in Digital Humanities. Il primo progetto, Renaissance GO del dottor Sacchi, ha mostrato come sia possibile una valorizzazione del territorio attraverso l’utilizzo reale del videogioco, un modo diverso per narrare e rileggere gli eventi storici, dimostrando come l’uso didattico dello stesso videogioco sia possibile e come esso possa nondimeno dare visibilità alle istituzioni culturali cittadine. La dottoressa Castelli, grazie al progetto della modellazione 3D di Palazzo Reina, offre ottimi spunti per le proficue ricadute in ambito educativo, museale e storico che questo tipo di ricostruzioni possono e devono avere, permettendo peraltro a storici e architetti di avere una consapevolezza più profonda in merito agli spazi. Per ultima, la dottoressa Nardiello illustra la complessità del metaverso, facendo riflettere sulla complementarità che le biblioteche virtuali possono avere in relazione a quelle reali; tuttavia, a fronte di una maggiore accessibilità delle informazioni, si trovano criticità come problemi giuridici e possibili barriere tecnologiche. Dai progetti tutti emerge la potenzialità racchiusa nell’intreccio di saperi e discipline diverse, spendibile poi in diversi ambiti. In questo senso, il master ha saputo superare con profitto le divisioni disciplinari.
I ringraziamenti finali sono affidati al coordinatore del master in Digital Humanities, il professor Venuda, che mette in evidenza la capacità dei corsisti di immaginare progetti nell’ambito del digitale, acquisendo quindi competenze informatiche, che però non sarebbero stati possibili senza le necessarie conoscenze umanistiche.
Michele Brusadelli