Leonty Soloweitschik, Un proletariato negato. Studio sulla situazione sociale ed economica degli operai ebrei, a cura di Maria Grazia Meriggi, Biblion, Milano, 2020.
La tesi di dottorato di Leonty Soloweitschik, pubblicata nel 1898 a Bruxelles, unita alla ricca e fitta rete di collegamenti orchestrati nella sua curatela da Maria Grazia Meriggi, storica dei movimenti sociali e delle culture politiche dei mondi del lavoro in Europa nei secoli XIX e XX, risponde a una serie di domande difficili, una tra le più importanti è: «gli ebrei hanno avuto effettivamente un ruolo di protagonisti nello sviluppo del capitalismo?» La risposta è affermativa ma, a differenza della convinzione giudeofobica generale che vedeva negli ebrei il Mangiafuoco sfruttatore della forza proletaria, nei processi di sviluppo industriale il popolo del Libro è stato una delle maggiori vittime. Le dimensioni imponenti di un proletariato ebraico, e di un sottoproletariato si potrebbe affermare, sarebbero dovute apparire evidenti alle soglie del XX secolo. L’esistenza o meno di una classe operaia ebraica fu invece al centro di un’animata discussione nel movimento operaio e socialista in Occidente, come sottolinea Maria Grazia Meriggi, a partire dal caso Dreyfus e in particolar modo nelle sinistre francese e belga. Un indizio di tale sordità è insito nel titolo del volume: la parola “proletariato” pone l’interdipendenza tra i diversi gruppi socioprofessionali, etnici e identitari dentro un unico insieme; la qualità di “negato” indica il falso presupposto che fra gli ebrei non esistessero proletari ma solo Ministri del Culto della Finanza, pregiudizio che impediva di conoscere una vasta realtà sociale.
Attraverso un elegante uso degli strumenti forniti dalle Scienze sociali, la tesi di dottorato di Leonty Soloweitschik si presenta come un lavoro pioneristico, ricco di dati, fonti inedite e osservazioni dirette. A tratti può apparire dispersivo ma solo perché Soloweitschik cercò di tenere in considerazione molteplici elementi per ricondurli a una coerenza descrittiva e analitica, mantenendo il centro dell’analisi sulle condizioni di vita dei lavoratori ebrei. Lo studio intreccia gli sguardi sulle differenze tra le classi proletarie del mondo occidentale, mediterraneo e orientale, offrendo uno sguardo d’insieme sul popolo proletario ebraico, senza via di fuga dalla propria condizione di profonda miseria, di sfruttato e senza patria, presente ovunque e ovunque disprezzato.
Leonty Soloweitschik, nato a Vilnius, conosceva bene il sostrato sociale ed economico che diede forma al proletariato ebraico e alle prime organizzazioni sindacali nate intorno agli anni ’80 del XIX secolo, come l’Unione sindacale americana capitanata da Samuel Gompers, ebreo originario di Vilnius ed ex operaio del tabacco. Come ricorda Meriggi nella sua curatela, «molti sindacalisti di origine ebraica dell’Europa orientale hanno svolto un ruolo essenziale nel passaggio dal sindacalismo di mestiere al sindacalismo industriale» come David Dubinsky e Sidney Hillman, ex membri del Bund. «L’esistenza di una vera e propria classe operaia, le cui risorse derivavano esclusivamente dal lavoro salariato, emerge nell’Europa occidentale e negli USA con l’emigrazione di massa dai territori russo-polacchi dell’Impero russo, protagonisti di una creativa pluralità di esperienze organizzative sindacali e politiche». La forza del lavoro Soloweitschik è insita anche nella descrizione della composizione di classe e dei mondi del lavoro ebraici. L’autore, inoltre, ha famigliarità con il mondo dell’emigrazione che coinvolse una larghissima parte di proletari ebrei, evidenziando come la loro fuga da Oriente a Occidente non rappresentava una soluzione definitiva poiché nella maggior parte dei casi la loro condizione di sfruttati, sotto il sistema “globalizzato” dello sweating system, mutava semplicemente coordinate geografiche. Nel corso del testo l’autore affronta anche il problema della duplice origine degli operai salariati alle origini del capitalismo – «essi o sono espulsi dalle campagne e hanno quindi un’origine contadina o sono ex artigiani e lavoratori a domicilio costretti a entrare in fabbrica» – entrambi luoghi sovraffollati e insalubri. Leonty Soloweitschik scrive in un periodo in cui inizia a emergere il problema della fatica, dell’usura del lavoro e delle malattie professionali. Secondo l’autore i lavoratori ebrei avrebbero supplito alla mancanza di forza fisica con una maggiore forza nervosa, ponendo a rischio anche la loro salute mentale.
Meriggi analizza due aspetti. Il primo è la maggiore o minore intensità dell’interesse suscitato dal testo di Leonty Soloweitschik nei diversi Paesi occidentali e dunque la necessaria riflessione sullo scarso interesse dell’Italia per i temi dell’antisemitismo, almeno fino agli anni ’20 del XX secolo. L’eccezione in Italia è rappresentata dagli ambienti cattolico-intransigenti che, tuttavia, non si erano ancora innestati sull’antisemitismo “sociale” a differenza dalla Francia di cui il caso del quotidiano “La Croix” è esemplificativo. Il secondo aspetto preso in analisi è l’esistenza di rapide trasformazioni economiche fomentatrici non solo di pregiudizi antisemiti, espressione di settori economici agrari “parassitari”, ma anche di stratificazioni sociali delle comunità ebraiche, percepite come legate da una solidarietà occulta al loro interno. Come rilevò Michel Dreyfus nella sua ricerca sull’antisemitismo di sinistra, quest’ultimo rivelò sempre un deficit di analisi rigorosa dei rapporti economici e sociali trascurando l’osservatorio russo, cioè quello dei movimenti socialisti russi, e ignorando di conseguenza la stratificazione sociale dei mondi ebraici che spinse Leonty Soloweitschik alla sua ricerca. Allargando lo sguardo agli anni ’70 e ’80 del XIX secolo si evince che la presenza proletaria e operaia ebraica era una evidenza per i marxisti e i socialisti russi, e che le capacità organizzative e di lotta di questi lavoratori si erano imposte presto al rispetto e all’attenzione dei socialisti e dove, ad esempio a Vilna, i lavoratori ebrei rappresentavano l’elemento dominante del proletariato locale.
Maria Grazia Meriggi, analizzando la ricezione in Europa della tesi di Soloweitschik, ha rilevato che quella più attenta si verificò nei Paesi francofoni e in Germania. In Italia, sulla Riforma sociale, solo nel 1904 fu pubblicato un brano del volume di Soloweitschik inerente all’emigrazione ebraica operaia nel Regno Unito. Fra la pubblicazione della tesi e il 1904 sono soprattutto gli organi democratici progressisti, e non socialisti, tramite degli articoli a interessarsi di pauperismo e un esordio di welfare, come ricorda Maria Grazia Meriggi la stampa sindacale avrebbe avuto molto da dire sulle forme dello sweating system e delle difficoltà nell’organizzare i lavoratori migranti, soprattutto a partire dagli anni Dieci. Henri Dagan, nel saggio Le prolétariat juif mondiale, considerato da Maria Grazia Meriggi come una risposta alla sollecitazione del Prolétariat meconnu, sottolinea come le condizioni degli ebrei artigiani impoveriti, dei salariati e degli agricoltori era critica e complessa dato che la loro emigrazione intersecava cause economiche, politiche e istituzionali; la consistente presenza di molti lavoratori ebrei in Europa occidentale, soprattutto a partire dagli anni Dieci, come ricorda anche Soloweitschik, aveva posto le condizioni «per la nascita di sindacati combattivi e gruppi politici di orientamento socialista».
La curatrice Maria Grazia Meriggi ha rilevato alcuni elementi fondamentali: il primo è che «la conclusione dell’affare Dreyfus aveva comportato l’attenuarsi dell’uso dell’antisemitismo come strumento di lotta anticapitalista»; il secondo aspetto è che «l’antisemitismo nella stampa socialista italiana, a dispetto che in Francia, non era considerato un problema specifico del nostro Paese». In Italia «la partecipazione di molti ebrei delle esigue comunità degli antichi Stati al movimento risorgimentale e la partecipazione di molti di loro al movimento socialista sembravano garantire un’integrazione dimostrata dalla distribuzione degli ebrei stessi in tutto l’arco delle possibili scelte politiche». La storia del proletariato ebraico e l’evoluzione delle lotte sindacali non sono asettici e indipendenti dalla storia dei movimenti sindacali “nazionali” ma i due elementi sono inestricabilmente intrecciati a dimostrazione di come la storia degli ebrei sia la nostra storia.
Nikita Benedusi