Meloni, abstract tesi Nella provincia selvaggia

Iara Meloni, Nella provincia selvaggia. Reggio Emilia alla fine della Seconda guerra mondiale, Dottorato di ricerca in Studi Storici (XXXV ciclo), tutors proff. Barbara Bracco e Marco Cuzzi.

Lo studio delle Corti di assise straordinarie (Cas), i tribunali speciali istituiti all’indomani della Liberazione per giudicare i crimini di collaborazionismo, ha conosciuto nell’ultimo decennio un nuovo slancio. Un rinnovato interesse che è stato reso possibile dalla recente messa a disposizione di diversi fonti archivistiche: quelle prodotte dalle stesse Cas, ma anche quelle dall’Allied Commission alleata. Si tratta di una grande mole di documentazione di indubbio valore storico. In mancanza di una “Norimberga italiana”, le Cas sono state infatti l’unico strumento numericamente rilevante con cui l’Italia ha fatto i conti con il fascismo e la guerra civile. Altrettanto importante è stato l’inserimento dello studio delle Cas nel più ampio filone della Transitional Justice, lo studio dei meccanismi di giustizia e delle strategie di riconciliazione con cui società colpite da profondi traumi ‒ come genocidi, dittature e totalitarismi ‒ cercano di assicurare la giustizia e allo stesso tempo mantenere la pace e la coesione sociale.

All’interno di questo quadro la tesi si è occupata del caso di studio di Reggio Emilia, una provincia in cui la transizione post-bellica è stata particolarmente dura e violenta. Per la prima volta, si sono analizzati oltre 300 processi per collaborazionismo celebrati nella provincia tra il giugno 1945 e il dicembre 1947, leggendoli in un costante confronto tra ciò che accade nell’aula di tribunale e ciò che accade fuori. Uno sguardo che ha permesso di andare oltre la visione veicolata soprattutto dalla memorialistica e dai protagonisti di quella stagione di una “epurazione mancata”, per restituire invece il grande lavorio di tutti i soggetti coinvolti che si trovano a fare i conti con violente spinte alla giustizia sommaria prima e con inesorabili pressioni normalizzatrici poi, alla difficile ricerca di una giusta misura.

Nella prima parte del lavoro si sono messe a fuoco alcune specificità della resa dei conti in Emilia, dove il dopoguerra particolarmente sanguinoso viene condensato già negli anni ’50 nella virale formula giornalistica del ‘triangolo rosso’. Una definizione che finisce per appiattire una situazione complessa, dove la politica è una, ma non la sola direttrice della violenza. La sfida di riportare alla normalità una provincia caotica e violenta ‒ una provincia selvaggia appunto ‒ viene raccolta da diversi attori, a partire dagli uomini e dalle donne della Resistenza.

Nella seconda parte si è messo in luce l’andamento diacronico della parabola epurativo-sanzionatoria, che ha un andamento peculiare e quasi schizofrenico. Nell’estate del 1945 vengono comminate infatti pene severe, grazie all’accordo di tutte le forze politiche in campo. Questa convergenza iniziale si incrina tuttavia all’inizio del 1946, in corrispondenza delle elezioni amministrative, quando la parola d’ordine iniziale e condivisa di giustizia viene presto sovrastata ‒ soprattutto grazie alla forte mobilitazione cattolica ‒ dal perdono.

Nella terza parte si ricostruiscono, in chiave prosopografica, decine di biografie degli attori che animano la transizione. I giudici popolari, espressione del movimento resistenziale nelle sue diverse forme; i giudici togati, in diversi casi esponenti di quell’antifascismo giuridico che in Emilia Romagna si era alimentato di tradizioni risorgimentali e mazziniane, degli ideali del socialismo riformatore di Prampolini e Zibordi, di sacche di resistenza organizzate all’interno delle comunità ebraiche; o anche le vittime testimoni che con la loro tenacia riescono a fissare alcuni punti fermi relativi al reato di tortura. Un grande spazio è stato dedicato al ruolo degli Alleati, attori a torto dimenticati della transizione. Pur in un quadro costellato di incomprensioni e paternalismi, i Civil Affairs Officer (Cao) dell’Allied Commission giocano un ruolo importante nella fase di avvio delle Cas, che supervisionano costantemente e sulle quali esprimono in conclusione giudizi positivi. Altrettanta attenzione è stata dedicata agli imputati, i piccoli perpetratori di provincia, che spesso solo nelle aule di tribunale hanno raccontato le proprie visioni e motivazioni. Sono per la stragrande maggioranza appartenenti ai corpi armati della RSI, ma anche civili accusati di delazione, giudici di tribunali speciali e giornalisti di regime, oltre che funzionari politici e amministrativi di Salò.

La quarta parte si concentra invece sulla memoria che i processi contribuiscono in maniera determinante a costruire, alla loro fondamentale funzione mitopoietica. Nelle aule delle Cas si costruiscono anche miti positivi che aiutano le comunità a ricompattarsi e alimentano identità e appartenenze, come quello dei fratelli Cervi, vero e proprio topos dell’identità emiliana. Vengono per la prima volta ricostruiti i processi ai responsabili della morte dei sette fratelli e di Quarto Camurri, e i primi passi della costruzione della loro memoria.

In conclusione, la visione della vita quotidiana di una Corte di provincia, letta in chiave microstorica, permette di superare alcune visioni troppo semplicistiche del dopoguerra italiano. Le Corti di assise straordinarie non sono bestiali tribunali dei vincitori, né aule nelle quali va in scena una soluzione di massa e indiscriminata dei criminali fascisti, ma il tassello importante di un più ampio processo con il quale l’Europa tutta fa i conti con nazismo, fascismo e guerra mondiale e nel corso del quale, all’interno delle singole comunità, centinaia di migliaia di individui vengono per la prima volta chiamati a rispondere dei propri comportamenti.

Per il suo valore innovativo e per il significativo contributo dato alla ricerca storica sulla Resistenza, sulle culture dell’antifascismo e sul dopoguerra il lavoro è stato giudicato vincitore ex aequo della terza edizione del premio “Claudio Pavone”, indetto dall’Istituto nazionale Parri ed è in corso di pubblicazione per i tipi di Viella.

The collaborationism trials conducted across Europe at the end of the Second World War are the subject of a growing multidisciplinary interest, which – through the category of transitional justice – seeks to analyse the coexistence of forms of legal justice and extrajudicial violence. In Italy, transition from fascism to democracy has been the object of constant scrutiny and enquiry over the course of the year. The debate has been polarised between inflexible and irreconcilable positions. Many have pointed out that the post-war period was characterised by a failed purge and by a high degree of continuity. Others have observed that in some areas of northern Italy the reckoning with the fascists and the collaborators of the Repubblica Sociale Italiana was particularly violent. According to this interpretation, at the end of the war Emilia-Romagna would have been the epicentre of a “triangle of death”, where members of the partisan brigades carried out an indiscriminate and radical purge. Through a critical reading of a provincial case, this thesis aims to offer a more balanced view of the Italian transition. This analysis focuses not only on episodes of summary violence, but also examines efforts to restore legality to overcome the vengeances and the resentment that had matured during the years of fascism and civil war. Through the prosopographical study of the biographies of dozens of perpetrators, this study attempts to focus on a case study of Italian collaborationism. Moreover, the post-war trials are also assessed in respect to the public memory of fascism and anti-fascism that emerged after 1945, in order to identify elements of longue durée that have influenced the representation of Italian collaborationism and of the Resistance.