I “600 giorni” sono un’espressione ricorrente in diversi lavori che analizzano il periodo della Repubblica Sociale Italiana, ma in questo ultimo lavoro dello storico Marco Cuzzi possiamo cogliere già nel sottotitolo un primo elemento meno comune che accompagna il lettore lungo tutte le pagine del libro: lo scorrere della vita quotidiana dei milanesi tra le maglie della grande storia.
Marco Cuzzi è professore associato di storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano. I suoi principali campi di interesse abbracciano le vicende del confine orientale, la storia dei Balcani, la storia della massoneria e molto spazio ha dedicato allo studio del fascismo. Non è la prima volta che l’autore si occupa della vita di tutti i giorni ai tempi di Salò, come dimostra il volume Vivere al tempo della Repubblica Sociale Italiana, edito nel 2007 da Massetti Rodella Editori. Ora invece torna sull’argomento con un saggio pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza e si concentra sulla città di Milano e sugli eventi che la travolgono dopo la caduta del fascismo fino alla liberazione. Un lungo periodo cadenzato dall’orrore dei tragici eventi della Seconda guerra mondiale, presi in esame in otto capitoli densi di avvenimenti e figure, mentre alla fine troviamo un epilogo dedicato alla sola giornata del 25 aprile. Nessuna premessa, nessuna postfazione o altre considerazioni dell’autore di contorno al testo. Il lettore viene messo subito a contatto con le vicende di quei giorni.
Sin dalle prime pagine si ha la sensazione di avere aperto una finestra su una città distrutta dai bombardamenti, quelli dell’agosto 1943, dove immediatamente sono i famosi versi di Salvatore Quasimodo a calarci emotivamente nella tragedia che si è abbattuta sulla città e sui milanesi. Le bombe degli anglo-americani hanno quindi messo presto fine all’euforia sprigionatasi dopo la notizia della caduta del fascismo il 25 luglio, causando masse di sfollati. La nascita della RSI dopo l’8 settembre non fa che peggiorare le cose. I tedeschi occupano la città e i fascisti, dileguatisi per alcune settimane, riappaiono sulla scena e le lancette dell’orologio sembrano riportare i milanesi indietro nel tempo. Si rifanno vivi soprattutto molti vecchi arnesi dello squadrismo. I nemici ora non sono più solo gli antifascisti, ma anche i monarchici e insieme a loro tutti i “traditori”. Il clima si fa sempre più rovente, la città non è caduta solo sotto l’occupazione dell’esercito straniero di Hitler, perché dal cielo è braccata da un altro straniero che non si fa remore di mostrare la propria potenza d’urto. E mentre il fascismo repubblicano tenta a fatica di riorganizzarsi, la Resistenza prende forma per dare avvio alla propria guerra, seminando il panico tra repubblichini e tedeschi.
In mezzo al susseguirsi degli avvenimenti militari l’autore cerca a più riprese ampi spazi per mostrarci la vita dei milanesi che devono fare i conti con la miseria, il forte rincaro dei prezzi, gli approfittatori della borsa nera e, durante l’inverno, con l’assenza del riscaldamento. Ma tutto procede comunque, perché Milano non si ferma e trova anche il tempo per gli svaghi. Così ci viene mostrata una città viva, dove la gente continua a lavorare, che deve sì fare i conti con la difficoltà degli approvvigionamenti, ma concedendosi anche la possibilità di gestirsi il tempo libero ritagliandosi dei momenti di spensieratezza, per quanto questo sia possibile. Così, di tanto in tanto, irrompe tra le pagine la descrizione delle programmazioni nei cinema e nei teatri, dove talvolta i titoli permettono all’autore l’ardire di creare un collegamento con la situazione del momento.
La vita in città però è dura per tutti, anche per gli alleati dell’Asse, che devono cercare di stare in equilibrio su un filo tenuto in tensione dalle coraggiose operazioni dei Gap e dai bombardamenti degli anglo-americani. A emergere con evidenza tra le pagine sono le difficoltà di comunicazione tra le diverse componenti del fascismo, quelle più intransigenti spesso legate a sentimenti sansepolcristi, tra le cui fila sembra già intravedersi quello spirito nostalgico che serpeggerà dopo la fine della guerra tra gli sconfitti, e quelle più moderate, che vorrebbero evitare di spaventare ulteriormente i milanesi, che ormai guardano i fascisti con diffidenza, come le esultanze successive al 25 luglio hanno già dimostrato.
Grande fiducia nei fascisti della Repubblica Sociale Italiana sembra non averne nemmeno l’occupante tedesco, il quale si appoggia ai repubblichini quando gli tornano utili, senza però lasciar loro troppa libertà decisionale. Non può sfuggire infatti che i tedeschi, sebbene non sempre in primo piano nelle pagine del libro, sono i veri padroni di Milano, sfruttatori rapaci delle risorse della città e del territorio circostante e capillarmente presenti ovunque con i loro uffici, espressione dei molti organismi di cui si compone l’apparato militare tedesco, il cui interesse è rivolto alle fabbriche che producono le armi per il Reich. La Milano nazista però non è fatta solo di apparati militari e di polizia, ma di una vera e propria società parallela che si dipana tra le maglie di una rete fatta di soli tedeschi, i quali vivono una loro quotidianità, non certo integrati con i fascisti, figurarsi con il resto della popolazione. Una “città nella città” la definisce Marco Cuzzi. Intanto i fascisti si muovono negli spazi di manovra che vengono loro concessi dagli uomini di Hitler, dove cercano, spesso confusamente, di essere protagonisti della realizzazione di una repubblica che resterà realizzata solo nel nome, divenendo più che altro l’ultimo “contenitore” di un fascismo ormai lanciato a gran velocità verso la disfatta.
Il dramma e la tragedia si intensificano pagina per pagina, raggiungendo l’acme durante l’estate del 1944. Un’estate di sangue, segnata dall’intensificarsi della violenza, in città come in provincia, ben rappresentata dall’eccidio per rappresaglia di quindici antifascisti, i cui cadaveri sono lasciati esposti a Piazzale Loreto. Sono anche i mesi della banda Koch e delle torture a Villa Triste, edificio simbolo di violenza insieme al carcere di San Vittore e all’albergo Regina. L’incalzare degli eventi sembra però subire una battuta d’arresto di fronte all’orrore che emerge dalle pagine che descrivono la grave tragedia del bombardamento della scuola elementare di Gorla, alla quale è dedicato un intero paragrafo. Un approfondimento speciale è dedicato anche alla questione ebraica, in cui protagonista assoluto è quel tristemente famoso Binario 21, dove i tedeschi caricano per mesi, nascosti dal buio della notte, i convogli diretti ai campi della morte.
L’autore attinge da un’ampia bibliografia sui diversi temi trattati, da alcune testimonianze di chi quelle vicende le ha vissute sulla propria pelle e da una ricca ricerca d’archivio. Il saggio di Cuzzi si rivela così un lavoro ben documentato e ben dettagliato, che va ad arricchire la letteratura storica della Milano di quei giorni, forse ancora scarsa, vista l’importanza della città e non solo per la storia del fascismo, che qui ha la sua culla, ma anche per la centralità che la città meneghina riveste nella storia della RSI. Perché non è Salò la nuova Roma dello Stato repubblicano, ma Milano. Ed è in questa città, infatti, che Mussolini si convince di spostare a un certo punto il centro del governo, durante quelli che poi si rivelano gli ultimi giorni di un uomo che ormai non convince più le masse, ma solo i fascisti più ostinati, magari non proprio pochi, i quali non perdono fede nelle parole del capo, soprattutto quando promette loro a più riprese l’imminente arrivo delle armi segrete di Hitler, la cui attesa si rivela però vana.
Pubblicato nella primavera del 2022, il saggio di Marco Cuzzi ha ottenuto finora diversi apprezzamenti, come possono dimostrare le diverse recensioni e presentazioni del libro reperibili anche in rete. Un pregio che preme infine sottolineare è anche quello di offrire un’accurata descrizione dei luoghi protagonisti anch’essi di quei seicento giorni milanesi, offrendo al lettore la possibilità di costruirsi un itinerario per un’immersione ancora più profonda dentro la storia di Milano durante gli ultimi momenti della Seconda guerra mondiale.
Fabio Brambilla Pisoni