Insegnare storia con le nuove tecnologie. Didattica aumentata per bambini e adolescenti è un libro piccolo e agile, ma che si pone davvero come un utile strumento per chiunque sia interessato a svecchiare le proprie metodologie di insegnamento. Terzo volume della collana “Insegnare storia” della Carocci, condivide con gli altri (“Fare storia con gli oggetti” e “Giochi per imparare la storia”) l’impostazione di fondo ma con il pregio supplementare di essere un testo per insegnanti scritto da insegnanti. Di vario ordine e grado, come raccontano le loro biografie: Lucia Boschetti (dottoranda in didattica della storia e insegnante di storia e filosofia); Silvia Ditrani (scuola secondaria di primo grado); Raffaele Guazzone (Istituto Professionale per i servizi). In una nota all’inizio, gli autori si assumono la responsabilità per le rispettive parti ma, al tempo stesso, sottolineano come il testo sia un progetto condiviso e discusso collettivamente, come risulta evidente a chiunque osservi con attenzione. Ad eccezione della parte prima (frutto prevalente del lavoro della Boschetti) i singoli contributi, infatti, sono così strettamente intrecciati da rendere una netta divisione un esercizio fine a sé stesso.
In ogni caso, anche se può sembrare strano, la cosa migliore è forse partire dalla fine. Nella parte della conclusione viene in pochissime parole sintetizzato lo spirito del libro e, dettaglio non indifferente, le caratteristiche del momento storico in cui viene scritto. Dopo aver riconosciuto il loro debito di riconoscenza verso Antonio Brusa (veterano della didattica della storia, tra i massimi esperti in materia e direttore della collana “Insegnare storia” con Walter Panciera) gli autori, infatti, ricordano come la pandemia abbia segnato un cambio di passo nella scuola, che si è ritrovata ad acquisire (per forza più che per amore) un patrimonio di competenze che sarebbe un peccato disperdere. Anziché tornare indietro, quindi, la speranza è di andare avanti, con la creazione di lezioni di storia in cui l’innovazione non sia solo tecnologica ma metodologica, selezioni e utilizzi gli strumenti con l’obiettivo di sviluppare la capacità di pensare storicamente (di nuovo: poche parole, ma che conducono estremamente lontano da ogni ombra di nozionismo).
Procedendo con ordine, vediamo che dopo una breve prima parte in cui si chiarisce il contesto metodologico, il testo analizza i principali strumenti a disposizione degli insegnanti interessati a integrare la didattica tradizionale con gli strumenti messi a disposizione con la tecnologia, distinguendo sempre tra le tecnologie che permettono agli insegnanti di costruire percorsi didattici e quelle che, invece, permettono agli studenti di costruire il proprio racconto storico. Tra gli elementi di questa prima parte quello che conviene sempre ricordare sono due semplici dettagli: 1) non basta introdurre le nuove tecnologie in classe per ottenere buoni risultati; 2) quello delle nuove tecnologie è un settore in costante e continua evoluzione. Se si tengono a mente questi due presupposti, il resto del libro diventa davvero una cassetta degli attrezzi in cui trovare gli strumenti da provare perché quello che quello che colpisce di questo volume non è di certo questa prima parte, ma il fatto che questa stessa parte iniziale viene poi declinata in maniera molto concreta, con un gran numero di suggerimenti operativi.
Già nella seconda parte (“Come scegliere gli strumenti”) vediamo all’opera questo approccio concreto, che parte dal presupposto che il lettore abbia almeno un minimo di alfabetizzazione digitale (per l’appunto, tutt’altro che impossibile in un’epoca come la nostra) ma decide di tarare i consigli prevedendo differenti gradi di difficoltà, partendo davvero dal livello base: per capirlo basta guardare i riferimenti a strumenti come google immagini (e lens) utilizzati, in questo caso, per appurare la veridicità di una fonte. Oppure agli archivi online, sia per quanto riguarda la ricerca sia la possibilità di attingere a programmi e lezioni già predisposti (Il caso citato è quello di “world history for all”) ma, di nuovo, lo fa venendo incontro a una prevedibile difficoltà come la barriera linguistica: le risorse in italiano, infatti, sono una quantità minima, praticamente residuale all’interno della rete. Ecco allora che imparare a usare strumenti di traduzione automatica può schiudere una gamma molto più ampia di possibilità, allargando (e non di poco) gli orizzonti operativi. Man mano che le pagine procedono, si osserva (come già ricordato) l’alternanza di strumenti utili per far lavorare gli studenti e di strumenti utili per passargli contenuti (un’alternanza che, in fondo, riflette i diversi momenti che dovrebbero contrassegnare la vita scolastica) e in cui compaiono termini e nozioni che fanno parte già da anni della didattica della storia, come la gamification. Se il concetto del game based learning non è in fondo una particolare novità (per quanto le piattaforme e i software continuino la loro evoluzione) basta continuare a leggere per imbattersi in qualcosa di molto più particolare, ossia un approccio che spinge a uscire dalla dimensione narrativa che spesso caratterizza l’insegnamento della storia per rivendicarne invece l’estrema concretezza (fatta di fonti e di dati). Lo storytelling ha spesso oscurato questa concretezza, che andrebbe invece recuperata e sottolineata agli studenti, magari facendogli raccogliere dati e creare infografiche quando si studia uno specifico fenomeno. Sempre nell’ottica di coinvolgere gli studenti e tenendo presenti i diversi livelli non solo di coloro chiamati ad apprendere, ma anche di coloro chiamati a insegnare, il libro continua a tarare i consigli su livelli di competenza molto differenti. Prima di arrivare a illustrare le possibilità di un’app per la programmazione come scratch (con la possibilità di costruire di tutto, dai semplici strumenti a interi mondi), c’è tempo anche per occuparsi di meme, con tanto di tentata guida per la creazione (e avvertenza di tutti i limiti di questo peculiare tipo di linguaggio per la didattica della storia).
La terza (e ultima) parte, invece, è articolata attorno alle quattro operazioni cognitive esercitate dalla lezione di storia (analizzare le informazioni, organizzarle, applicare concetti storici e costruire una narrazione) e offre anche in questo caso una panoramica di proposte operative che permetterebbero agli studenti di compiere queste quattro operazioni di base e sviluppare le competenze connesse. A dare corpo a questa sezione, di fatto, è la risposta a una domanda semplice ma centrale: che significa insegnare la storia? Per gli autori di questo libro, significa “fare in modo che lo studente sviluppi la consapevolezza che il mondo e l’essere umano cambiano nel tempo; quando riesce a rielaborare ciò, l’alunno sviluppa una coscienza storica che gli permette di orientarsi nella dimensione temporale della propria esistenza”.
Arrivati alla fine di Insegnare storia con le nuove tecnologie se non si sono presi appunti si è letto troppo in fretta: il libro è una sintesi ottima di pratica e teoria (in proporzione poca, ma chiaramente necessaria) e davvero può rivelarsi un utile strumento per chiunque stia pensando a una tesi in didattica della storia e, naturalmente, per chiunque voglia tenere un approccio elastico e di lifelong learning al proprio lavoro che, nella fattispecie, significa una didattica della storia in grado di andare oltre la mera acquisizione delle nozioni, concentrandosi sullo sviluppo di un approccio e di una mentalità.
Pietro Cuomo