Report di Angelica Cremascoli
Giovedì 18 novembre 2021, in occasione della prima giornata di Bookcity, si è tenuto l’evento d’inaugurazione dei lavori che hanno visto protagonisti l’Università degli Studi di Milano e il suo rapporto proficuo e sinergico con una manifestazione ormai decennale, in cui città e istituzioni diventano rete solida di divulgazione nonché di sostegno alla letteratura e alla cultura in generale. Un evento che, approfittando della nascita della Milano University Press, la casa editrice d’ateneo, si è presentato come occasione di discussione e confronto sul significato e sui modi nei quali si può praticare una scienza open, sulle responsabilità dell’università e dell’editoria nella disseminazione del sapere scientifico e sul rapporto tra giornalismo e scienza, grazie a una corposa tavola rotonda, formata dal rettore dell’Università degli Studi di Milano Elio Franzini, Andrea Angiolini (direttore editoriale e segretario della casa editrice Il Mulino), Lodovica Braida (presidente del centro APICE), Marina Carini (prorettrice alla Terza Missione, attività culturali e impatto sociale), Giovanni Caprara (giornalista del Corriere della Sera), Piero Colaprico (scrittore e giornalista) ed Emilia Perassi (coordinatrice della Commissione d’Ateneo per l’Open Access), che ha moderato l’incontro.
Come sottolinea proprio Parassi, la Milano University Press si pone con coraggio su un percorso apparentemente in salita, ambendo a portare nella sua esperienza e attività ogni politica di ricerca atta alla divulgazione, alla disseminazione, alla comunicazione nell’era della postmaterializzazione del libro e a conseguire l’obiettivo di «uscire da se stessa», in un circolo virtuoso di contaminazioni, interdisciplinarietà, pluralizzazione dei saperi. Tutto ciò attraverso una scelta ben precisa: quella di un Open Access formato diamante, tramite cui l’ateneo si fa carico dell’intero processo editoriale e, nel contempo, messaggero di un’etica ben precisa, interpretando il sapere che si forma nelle sue aule come un sapere pubblico, che va restituito al mondo. Il senso dell’operazione, secondo il rettore Franzini, si concretizza dunque in un’apertura propositiva nei confronti della realtà circostante, in un movimento continuo e dinamico, oltre che inclusivo, dall’interno verso l’esterno.
Tale missione, però, spinge inevitabilmente a interrogarsi sul senso e sulla necessità della mediazione editoriale nell’ambito della ricerca e sulla forma che questa deve assumere. Un tema articolato e complesso su cui Lodovica Braida interviene in modo rassicurante: le University Press, benché in fase di generale rafforzamento, non metteranno in crisi le forti collaborazioni tra editoria accademica e università. Assodato è il fatto che il mondo del libro e delle sue professioni sia in profondo cambiamento, in una fase evolutiva, necessaria, che investe assetti e mentalità, sia quelli delle istituzioni che producono ricerca sia quelli degli editori specializzati. Ma lo è pure, d’altro canto, il fatto che il libro stesso sia da sempre frutto di un processo collettivo e che, durante ogni periodo di transizione, il mestiere editoriale diventi molto più difficoltoso, al di là del ruolo delle University Press. A confermare la solidità della relazione tra editoria tradizionale e università le parole di Andrea Angiolini, rappresentante, in questa sede, dell’editore puro, che per resistere nel tempo deve trovare una voce distintiva, oltre che la capacità di progettarsi, costruirsi, negli anni, e il cui fulcro d’azione è mediare tra chi scrive e chi legge, cercando un pubblico di riferimento, la cosiddetta comunità di lettori. Mediazione che, nella sua sostanza, è una vera e propria operazione culturale di open science, in quanto attinge dalla produzione specialista per offrire alla lettura generalista, con la consapevolezza che nessun editore, classicamente inteso, potrà mai coprire l’intera produzione scientifico-accademica. Ecco allora manifestarsi lo spazio in cui l’università può inserirsi e affermarsi in quanto organismo editoriale, con l’alternativa legittima dell’Open Access, che non sostituisce i metodi e le modalità di pubblicazione tradizionali ma che integra pubblici e canali comunicativi, allo scopo di veicolare e rappresentare un sapere corale e partecipato.
Da qui l’introduzione del terzo protagonista della riflessione proposta, ovvero il giornalismo. A riecheggiare nell’Aula Magna di Via Festa del Perdono 7 sono due domande: come si accede a contenuti scientifici di qualità? Come contribuiscono le University Press al cambiamento del ruolo del giornalista rispetto alla democratizzazione della ricerca e della cultura?
Giovanni Caprara lancia una provocazione, sostenendo che il mondo dell’informazione non si sia evoluto in maniera adeguata rispetto alla richiesta d’informazione scientifica. Questo a causa di una grave carenza strutturale, che si riflette nell’assenza di specialisti occupati nei singoli settori di specializzazione e, di conseguenza, nella mancata comunicazione d’informazioni appropriate e approfondite. Attributi che risultano importanti non solo dal punto di vista qualitativo ma anche dal punto di vista della resa economica, essendo qualità e successo commerciale, nell’ottica di Caprara, strettamente connessi. La seconda causa è il rapporto critico col mondo dei generatori dell’informazione, un mondo variegato, a cui bisogna approcciarsi attraverso scelte rigorose e ragionate, privilegiando la preparazione e la competenza rispetto al pressapochismo e all’improvvisazione. In un presente in cui l’informazione è generica, superficiale e mira sempre a qualche fine, infatti, compiere un cambiamento significa munirsi di strumenti adeguati a perseguire la qualità, ricercando un rapporto virtuoso tra generatori d’informazioni, come possono essere le University Press, e i media.
A concludere il ricco scambio, l’augurio di Colaprico che Milano, ecosistema florido e composito dalla prospettiva dell’industria editoriale, possa essere un bacino fertile di dialogo, di lavoro e di successo per una casa editrice inedita e particolare come la Milano University Press, nata in un ateneo che è parte integrante, nonché custode, della storia della scienza e della cultura della città, e che alla città torna a rivolgersi tramite quattro parole chiave: inclusione, nelle fattezze di una dialettica generosa con tutto ciò che è all’esterno dell’accademia; formazione; disseminazione, e produzione di beni pubblici, ovvero di conoscenza.
Link all’evento: https://www.youtube.com/watch?v=l_xJh27cgJA