Il culto dei capi. Carisma e potere nell’età delle rivoluzioni – presentazione del libro di David A. Bell – Milano, 13 dicembre 2023


David A. Bell è uno storico americano, docente di storia all’università di Princeton. Il suo ultimo lavoro, Men on Horseback, è stato tradotto ed edito in Italia da Viella col suggestivo titolo de Il culto del capo. Con l’impostazione e l’impianto narrativo di uno storico culturale, Bell tenta di introdurre nel dibattito storico attorno l’età dell’Illuminismo e delle rivoluzioni atlantiche un concetto che identifica come immeritatamente lasciato da parte finora: quello di “carisma”. Esso viene ricondotto alla sua definizione etimologica, che vuole l’uomo carismatico come “investito della grazia divina”, per poi prendere le mosse dal “carattere straordinario” di Weber e attraverso esso tentare di rileggere le grandi figure che hanno accompagnato le rivoluzioni democratiche del XVIII secolo e oltre.

Prendendo le mosse da un puntuale excursus su come il termine stesso, pur varie volte snaturato nel tempo, sia stato ripetutamente oggetto di ricerche in ambito sociologico, salvo venire pressoché snobbato nella ricerca storica, l’autore si ripropone di suggerire una traccia per future ricerche più sistematiche sulle reali caratteristiche del tema. Lo fa, sostiene, seguendo la modalità che gli è venuta più naturale: quella di una trattazione coerente e lineare attorno le maggiori rivoluzioni del Sette/Ottocento – Stati Uniti, Francia, Santo Domingo e Venezuela, con uno sguardo sulla Corsica. Non limitandosi affatto a comporre un’altra cronologia dei semplici avvenimenti, preferisce un approccio che metta a fuoco le personalità che hanno avuto un ruolo di assoluta preminenza nei rispettivi contesti rivoluzionari -figure del calibro di George Washington, Napoleone Bonaparte, Toussaint Louverture, Simon Bolivar e Pasquale Paoli-, e soprattutto il rapporto che queste ebbero con le rispettive “masse rivoluzionarie”.

In moderata polemica con la definizione di “rivoluzioni democratiche” che a lungo ha accompagnato la trattazione di questi eventi, desidera far luce non solo sull’oggi fortunata obiezione che nessuna di queste – fatta salva la Rivoluzione americana e, almeno per un momento, quella francese- abbia effettivamente condotto alla nascita di una “democrazia” in sensi vagamente rassomiglianti l’impianto liberale le cui radici la storiografia contemporanea è solita ricondurre proprio all’Illuminismo. Pone piuttosto particolare enfasi sull’ascendente che questi uomini seppero avere sui propri seguaci nell’esplicito intento di mostrare come la nascita della democrazia moderna stessa porti con sé i crismi anche della sua antitesi, la quale sarebbe da identificare nelle dittature totalitarie del XX secolo piuttosto che negli impianti di Antico Regime.

Ciò che accomunò questi “grandi uomini” infatti, forse ancor più del pur onnipresente ed eterno confronto reciproco che pur seppe lusingare diversi di loro, è il particolare legame che seppero stringere con le folle dei propri seguaci, una sorta di nuova forma di legittimazione politica che li proiettò in una dimensione tale da fare di simili figure non solo delle semplici celebrità, ma veri e propri idoli. Tra edulcorazioni della realtà, propaganda e racconti inventati sovente di sana pianta per fini più editoriali, chiunque nel mondo occidentale fosse alfabetizzato nel periodo che oscilla tra gli anni Settanta del Settecento e l’inizio dell’Ottocento poteva leggere quotidianamente sui giornali delle vittorie di Napoleone, o di come un eroico “bianco di pelle nera” – così era spesso chiamato, per il pubblico europeo, Louverture- abbia eroicamente condotto alla libertà mezzo milione di schiavi secondo i precetti dei Lumi, oppure ancora delle abitudini alimentari di George Washington, il mitico fondatore di una nuova, del tutto eccezionale repubblica d’oltreoceano. La loro fama ha abbandonato i campi di battaglia ben prima della loro stessa persona, e sfruttando e spesso sperimentando il potere della parola stampata arrivò nei caffè e nelle case di buona parte della popolazione occidentale, che seppe in qualche modo ammirarli come semidei da un lato, e dall’altro spesso identificarsi nelle loro dimensioni umane. Il carisma insomma, sostiene Bell, starebbe non (sol)tanto nelle doti eccezionali delle quali pure questi uomini certo disponevano dalla nascita, ma anche e soprattutto nell’ascendente che le loro figure ebbero sui contemporanei, seguaci e non.

Il titolo inglese, Men on Horseback, ben si rifà alla prima dimensione, quella di un coraggioso e onnipotente capo militare che, con la forza del suo genio e del proprio coraggio in battaglia, sappia prendere per mano un popolo solitamente afflitto e disunito per condurlo alla grandezza di una “nuova fondazione”, la quale culmina puntualmente nell’acclamazione di questi individui come salvatori o addirittura padri della patria.

All’insieme di doti individuali va però accompagnata la dimensione forse meglio rappresentata dalla

traduzione italiana del titolo, Il culto del capo: come dimostrato già nel primo capitolo -incentrato sulle vicende che portarono la Corsica a ribellarsi al dominio genovese prima e francese dopo sempre sotto le insegne del generale Paoli- per venire ripreso puntualmente come topos nelle vicende successive, a giocare un ruolo determinante nella costruzione di miti che perdurano ancora oggi fu la necessità dei contemporanei di identificare in queste figure certo fuori dal comune l’incarnazione delle proprie speranze e desideri. Bell, con un importantissimo lavoro storiografico sulle fonti, presenta egregiamente questo aspetto e quanto talvolta la creazione di certi miti porti con sé una storia dal finale tutt’altro che prevedibile, dove narrazione e realtà si mescolano spesso al punto da diventare ben difficili da distinguere l’un l’altra: per questa ragione, liberandosi d’ogni cautela, l’autore tenta di presentare questo rapporto guida-seguaci come la vera essenza del carisma. Com’è successo che, pur perdendo tutte le battaglie che gli si posero davanti, il mito di George Washington fra gli americani non facesse che crescere durante il primo anno di guerra contro la madrepatria? Com’è possibile che, nell’Europa di stampo profondamente razzista e coloniale del XVIII secolo, possa venir idolatrato un ex schiavo nero, artefice della più grossa lotta antischiavista della storia americana? E ancora, come si spiega quanto successo in Francia, dove dopo anni di complotti, paranoie ed esecuzioni in difesa del fragile ordine repubblicano, un generale dell’esercito si incoroni con l’altisonante titolo di “Imperatore dei Francesi” tra le acclamazioni del suo stesso popolo? Queste vicende apparirebbero inspiegabili se non intervenisse nel discorso Bell, che richiamando il carattere straordinario di Weber fa sommessamente notare come il carisma sia stato in effetti una forza motrice della storia, evidentemente in grado di appassionare il pubblico a certi elementi al punto che, sovrastati dalla profonda convinzione che essi siano destinati a grandi cose, si è disposti a metter da parte anche le più incrollabili fedi dogmatiche per far spazio al sentimento d’amore che lega indissolubilmente questi grandi condottieri ai loro popoli. L’amore, inteso sia come una forma di attrazione magnetica sia nella sua declinazione più esteticamente erotica, è la forza motrice che ha investito Napoleone del consenso di cui godeva nella Francia repubblicana, che lo identificò subito come colui che avrebbe salvato la Rivoluzione contro la lotta tra fazioni. Sempre l’amore degli schiavi neri di Santo Domingo -poi fattasi Haiti- portò un’enorme massa di costoro a seguire Toussaint Louverture in una improbabile lotta contro i paradigmi della società coloniale europea, tracciando un solco nella stessa storia dell’Illuminismo europeo. Per non parlare dell’amore che i clan corsi provavano nei confronti di Pasquale Paoli, la cui figura fece da archetipo per il paradigma del condottiero oggi ben conosciuto, complice l’abile costruzione letteraria di un ambizioso biografo inglese.

Insomma, l’opera di Bell rappresenta, oltre a una piacevole lettura, un sicuro stimolo verso l’approfondimento di tematiche che, partendo da un’epoca della quale si ritiene oggi essere stato detto tutto quanto ci fosse da dire, arrivano a plasmare la storia europea e globale del secolo scorso, e forniscono per di più un interessante spunto per la lettura di come l’evoluzione dei mezzi di comunicazione abbiano influenzato le democrazie anche odierne. Riesumando la salma di un periodo che si tende fin troppo spesso a celebrare come concluso, quello che l’autore propone è un punto di partenza interessante per rileggere la natura stessa delle democrazie liberali alla loro radice, e contestualmente della politica contemporanea -sulla quale non a caso non risparmia un breve excursus, ponendo un filo diretto dalle figure carismatiche di cui sopra fino a giungere alla più squisita contemporaneità europea e statunitense.

Francesco Ramon Bollani