Simone Girardi, Lettere dalla steppa: storia di coloro che non tornarono. La Campagna di Russia
(1941-1943) nelle memorie degli italiani sul fronte del Don, tesi di laurea triennale in Scienze
Umanistiche per la Comunicazione, relatore professor Marco Cuzzi, Dipartimento di Studi Storici,
Università degli Studi di Milano, a.a. 2021/2022.
Una lettera dal fronte ritrovata ottant’anni dopo tra i ricordi di famiglia, rappresenta ‒ oggi ‒ l’unica
traccia che la storia ha lasciato di Deglause Legnani, caporal maggiore alpino infermiere della
divisione «Cuneense», cugino del nonno di chi scrive, mai più tornato dalle gelide steppe del fronte
russo. Da questa testimonianza familiare, ha origine la volontà di comprendere cosa rappresentò la
campagna italiana di Russia per i “vinti”, i “non-colti”, coloro che Nuto Revelli ‒ nella sua opera La
strada del davai ‒ definirà i «senza storia». Parafrasando la storica Natalie Zamon Davis, non si è
inteso scrivere «su grandi personaggi, sulle regine e sui re»; si è cercato di dare voce agli «altri», a
storie di «coloro che non tornarono».
Perché 229.000 soldati italiani furono inviati sul fronte orientale, nelle ostili terre del Doneckij
bassejn, meglio conosciuto come Donbass; in quegli stessi luoghi oggi al centro delle più
drammatiche cronache di guerra internazionali? Cosa dovettero affrontare quei giovani contadini e
operai, partiti per la steppa inconsapevoli delle vicende che la storia avrebbe loro riservato?
L’elaborato ‒ senza alcuna pretesa di completezza ‒ vuole trattare i drammatici fatti d’arme delle
229.000 «gavette di ghiaccio» impegnate sul fronte orientale, richiamando l’attenzione sul ruolo della «comunicazione storica come “garante della memoria”».
La prima parte è dedicata al racconto storico della spedizione armata italiana, inquadrata nel mito
mussoliniano della «guerra parallela». Con un approccio compilativo, non privo degli spunti critici e storiograficamente riconosciuti dei principali storici contemporanei italiani e stranieri ‒ su tutti, Aldo Giannuli, Thomas Schlemmer, Maria Teresa Giusti ‒, il primo Capitolo principia dal consolidamento dell’alleanza tra i regimi dell’Asse, proseguendo con la spedizione in terra russa di CSIR e ARMIR.
L’analisi storica degli eventi bellici, susseguitesi tra l’estate 1941 e l’inverno 1942-1943, culmina nel racconto della tragica «ritirata italiana», e nelle drammaticamente note battaglie nella steppa, tra il Kalitva, il Don, le località di Nowo Postojalowka, Nikolajewka e Valujki; laddove si elevarono al grado di “eroiche” le tre divisioni alpine «Julia», «Tridentina», «Cuneense».
Nella seconda parte ‒ nucleo dell’elaborato ‒ si è inteso indagare le forme della «comunicazione
storica» rappresentate ‒ nell’ideale percorso tra “Storia” e “Memoria” tracciato ‒ da un metaforico
“binario” tripartito costituito da: le «Opere letterarie dei reduci scrittori», tre Alpini d’Italia, Giulio
Bedeschi, Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli, rispettivamente con Centomila gavette di ghiaccio, Il
sergente nella neve, La strada del davai; le «Relazioni eseguite dai vertici militari», di cui si è voluto declinare a case study l’opera del generale Giovanni Messe La guerra al fronte russo; le «Lettere dal fronte», le missive dei soldati italiani i cui nomi sono spesso celati in sineddochi storiche. Secondo l’interpretazione offerta, in questi tre distinti segmenti risiede la genesi della critica volta dallo storico tedesco Thomas Schlemmer ‒ nella sua opera Invasori non vittime ‒ alla «politica italiana della memoria», accusata di aver trasmesso l’immagine dell’italiano come “vittima” della guerra, e non come “invasore”. In sintonia con quest’ultimo tema, si è ampiamente considerata ‒ nelle Conclusioni dell’elaborato ‒ l’opera dello storico italiano Filippo Focardi Il cattivo tedesco e il bravo italiano.
La rimozione delle colpe della Seconda guerra mondiale. Affiancando, ai magistrali lavori degli storici Antonio Gibelli, Gabriella Gribaudi, Lucio Ceva, l’omogeneo coro delle testimonianze alpine raccolte nelle opere di Revelli e Rigoni Stern, particolare attenzione è stata posta al “comune sentire” dei soldati italiani al fronte, le cui lettere ‒ non prive dei rigidi canoni censori del regime fascista ‒ rappresentano oggi ‒ di frequente ‒ l’unico ricordo rimasto alle famiglie di quei 95.000 soldati italiani Caduti e Dispersi.
Il terzo Capitolo, infine, vuole essere dedicato all’alpino Deglause Legnani, caporalmaggiore
infermiere del 615° ospedale da campo, 2° reggimento alpini, divisione «Cuneense»; ferrarese di
nascita, orfano della Grande Guerra ’15-’18, emigrato in terra ligure, soldato veterano dei fronti
alpino occidentale e greco-albanese, per il quale ‒ oggi ‒ una lettera datata «6 aprile 1941» diviene
ultimo ricordo per la famiglia di chi scrive. Attraverso un percorso di ricerca intrapreso tra il 2019 e
il 2022, grazie alla fondamentale collaborazione di autorevoli istituzioni tra cui l’Unione Nazionale
Italiana Reduci di Russia (UNIRR), il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti, gli Archivi di Stato di Bologna e Savona, le istituzioni comunali competenti, e l’Associazione di Collaborazione Militare Commemorativa di Mosca, in Russia, è stato possibile ricostruire la vita civile e militare dell’alpino, figurante tra i “Dispersi”, ‒ scrisse Revelli ‒ «l’eredità più crudele di ogni guerra»; italiani per i quali ‒ come si legge nella cripta del Tempio Nazionale ai Caduti e Dispersi in Russia di Cargnacco ‒ «CI RESTA IL NOME».