Il rapporto tra il papato e il regno di Francia lungo tutto il secolo XVI è stato alquanto difficoltoso, sia dal punto di vista religioso, attraverso le prerogative autonomiste della chiesa gallicana, sia dal punto di vista politico, riguardo al succedersi di monarchi che più volte si scontrarono direttamente con il pontefice o non seguirono i suoi consigli, inimicandoselo di conseguenza.
Il testo di Gigliola Fragnito, docente all’Università di Parma, specializzata in storia religiosa, culturale e sociale nella prima età moderna e autrice di svariate monografie biografiche, si inserisce perfettamente nella storia di questo conflitto, offrendone, però, un punto di osservazione peculiare attraverso il racconto della vicenda inquisitoriale di Gian Galeazzo Sanseverino, conte di Caiazzo, condottiero al servizio del regno francese. I due anni che formano l’arco temporale del racconto racchiudono uno dei differenti piani su cui si consumò il conflitto, ovvero quello diplomatico-religioso, e dove si inserirono attori, come l’Inquisizione, gli ambasciatori, i feudatari etc. che utilizzarono le loro peculiari armi per far propendere lo scontro a proprio favore.
Il tema della monografia si inserisce in un filone storiografico di ricerca che mira a mettere in risalto il rapporto tra i principali stati europei della prima età moderna attraverso episodi minori che sono stati principalmente considerati dei particolari e mai inseriti in un più ampio contesto socio-politico. Esso si ricongiunge, inoltre con gli studi delle personalità della penisola nel periodo della Contro-Riforma e, in parte minore, sugli studi sull’Inquisizione romana. Le fonti utilizzate, oltre che all’ovvia ricerca bibliografica, sono state principalmente quelle documentarie, come i verbali degli interrogatori del processo, i resoconti, i dispacci e le relazioni dei diplomatici e la corrispondenza privata dei personaggi coinvolti.
L’autrice, ripercorrendo gli avvenimenti, in ordine cronologico, dall’arresto di Gian Galeazzo nel novembre 1570, quando egli tornò temporaneamente in Italia per prendere possesso del feudo di Colorno dopo la morte del cognato Gian Francesco Sanseverino, alla sua scarcerazione nel settembre 1571, arrivando fino alla sua morte in un’imboscata in Francia nel gennaio 1575 da parte di un gruppo di ugonotti. La professoressa Fragnito in tal modo riesce a toccare svariate tematiche che permettono al lettore di approfondire più nel dettaglio il funzionamento dei conflitti, combattuti su un piano diplomatico, caratteristici di tutta l’epoca rinascimentale.
Il testo si apre con la narrazione della cattura del conte, descrivendo le difficoltà organizzative concrete che i suoi carcerieri si ritrovarono ad affrontare durante il suo trasporto fino a Roma. Si sviluppa poi descrivendo come venne accolta la notizia dell’arresto alla corte di Francia, dove Gian Galeazzo godeva del titolo di gentilhomme de la chambre, e come, con sorprendente celerità, Carlo IX e Caterina de’Medici si prodigarono a protestare con gran fervore, domandando il rilascio immediato. Dopo aver vagliato le influenze delle dottrine protestanti e riformatrici, in particolare quella di Juan de Valdes negli ambienti reali francesi, la ricostruzione continua soffermandosi sulle testimonianze di coloro che accusarono il conte di Caiazzo di essere un riformato. È nella parte successiva del testo che vengono resi noti i verbali degli interrogatori di Gian Galeazzo e dei suoi tre servitori, da cui gli inquisitori non riescono a carpire alcuna informazione utile o addirittura fondamentale per una condanna. Si giunge infine alla scarcerazione del condottiero e del suo ritorno in Francia, dove poi troverà, pochi anni dopo, la morte.
Va sottolineato che, tra le motivazioni dell’assoluzione con rito di “purgatio canonica”, vi fu il desiderio del papa di riavvicinarsi alla monarchia francese, arginando così la predominanza della chiesa anglicana e cercando di rafforzare l’equilibrio europeo, fortemente scosso dal recente riconoscimento da parte di Elisabetta I della Chiesa anglicana
Fondamentale risulta il ruolo del papato e in particolare del pontefice, Pio V Ghisleri, nel contrapporsi mediante l’incarcerazione di un suddito di Francia tenuto in grande considerazione presso la corte di Caterina de’ Medici, a quello che vedeva come un regno ormai insofferente verso la presenza ugonotta e che, anzi, con l’editto di Saint-Germain aveva a quel punto deciso di adottare definitivamente una politica di tolleranza verso la fede riformata. Il potere e l’influenza papale in Italia facevano perno sulla fedeltà dell’aristocrazia territoriale e fu proprio grazie a una di queste figure che il mandato di arresto di Pio V nei confronti di Sanseverino venne portato a compimento: fu il duca di Parma e Piacenza, Ottavio Farnese ad arrestare Gian Galeazzo e i suoi servitori nella notte.
Un ruolo cruciale nel testo e nella narrazione dell’autrice è ricoperto sicuramente dalla diplomazia. Le figure del cardinale Antonio Maria Salviati, nunzio apostolico alla corte di Francia per Pio V, e del porporato Charles d’Angennes de Rambouillet, ambasciatore presso la Santa Sede per la monarchia d’oltralpe, svolsero un ruolo decisivo nel mitigare un conflitto fatto di lettere, missive, incontri e accuse che, altrimenti, avrebbero potuto far prendere al processo una piega decisamente diversa da quella che invece si verificò. La diplomazia e l’abilità degli ambasciatori, se pur a primo acchito non fondamentali ma solo visti come dei portalettere, si rivelano tuttavia profondamente significativi nel saper gestire una situazione potenzialmente esplosiva, che avrebbe potuto portare alla scissione definitiva dei rapporti tra Santa Sede e Parigi.
L’Inquisizione romana, creata nel 1542 per volere di papa Paolo III, viene presentata in questa monografia come un organo a sé stante, dotato di straordinaria libertà e su cui anche il pontefice stesso, in determinate circostanze, non poteva esercitare alcun potere: svariate furono infatti le richieste, verso la metà del processo, di sveltire le pratiche inquisitoriali a cui Pio V era favorevole, ma che non vennero accolte dagli inquisitori La puntigliosità del tribunale inquisitoriale, la sua ricerca di possibili testimoni per il processo, si scontrarono con la realtà dei fatti, trovandosi di fronte l’imputato e i suoi servitori che erano totalmente privi di qualsiasi conoscenza teologica. Il cambio di strategia fu quindi quasi obbligato da parte degli inquisitori, i quali puntarono allora sulle festività e sulla errata osservanza dei precetti cristiani, come il divieto di mangiare carne nei giorni di magro, il partecipare alle funzioni religiose, o il possedere libri proibiti. È fondamentale, nel testo, chiarire come una accertata colpevolezza di Gian Galeazzo non sarebbe stata solo fine a se stessa, ma avrebbe provato inconfutabilmente la presenza riformata, di pericolosi calvinisti, alla corte di Francia, fornendo al papato un’arma potentissima su cui fare leva nello scontro con Carlo IX.
Nella parte finale del testo, è presente una corposa appendice di ventiquattro pagine in cui si narra l’uxoricidio di Giulia Sanseverino e il conseguente processo a Giovan Battista Borromeo, il marito. Tale appendice, se pur non specificato dall’autrice, mira probabilmente a comparare due processi che, svolti da due diverse autorità – Inquisitori e vicari del Capitano di Giustizia – ebbero differenti esiti e differenti svolgimenti, mettendo in luce come coloro che erano alleati dei nemici del papato, subissero un procedimento penale molto più duro e puntiglioso.
Ariel Giuliano