John Thornton – professore ordinario di Storia romana presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma – probabilmente è oggi uno dei massimi studiosi e conoscitori di Polibio; a testimoniare il suo interesse per il tema basterebbe considerare il numero dei suoi lavori a riguardo – ben trentacinque -, ma questa monografia ne è la miglior dimostrazione. Arrivato dopo lunghi anni di lavoro, Polibio. Il politico e lo storico raccoglie le posizioni che Thornton ha sviluppato nel corso degli anni di ricerca sul tema, sistematizzandole e inserendole in un discorso globale su Polibio e la sua opera. L’obiettivo, in linea con i recenti sviluppi degli studi polibiani (si pensi ai lavori, citati dallo stesso Thornton, di Jean-Louis Ferrary, Arthur Eckstein, Giuseppe Zecchini, Andrew Erskine, Donald Baronowski e altri ancora), è quello di restituire il personaggio al suo contesto, al periodo in cui visse e alle vicende di cui fu protagonista, per poter meglio comprendere il significato autentico del suo progetto storiografico, liberandosi da quella lettura decontestualizzata e schiacciata sul presente che ne ha influenzato a lungo lo studio. Solo così si potrà riconoscere quello che Thornton individua essere il carattere fondamentale delle Storie: l’intreccio tra politica e storiografia.
Pertanto, applicando uno dei modelli di analisi critica propri dei moderni studi di storiografia antica, Thornton imposta il proprio lavoro a partire dalla biografia politica del personaggio per tentare di cogliere i messaggi che intendeva trasmettere attraverso l’opera; peraltro, la diversità di approccio emerge chiaramente confrontando lo spazio dedicato alla vita di Polibio da Thornton in questo libro – le centotrenta pagine circa della prima parte – e da Walbank nella sua monografia sullo storico acheo (Frank W. Walbank, Polybius, 1972) – una trentina di pagine. Thornton ci restituisce un’immagine efficace di Polibio: cresciuto e formato con i valori del gruppo politico del padre Licorta all’interno della lega Achea, fu politico di spicco della Lega stessa e, in generale, del mondo greco della prima metà del II secolo a.C.; anche dopo la deportazione a Roma nel 167 a.C. continuò a difendere gli interessi delle comunità greche, sia delle colonie italiche che della madrepatria; e infine, al termine della guerra acaica, svolse una fondamentale opera di mediazione tra i Romani vincitori e gli Achei sconfitti. Da questa rassegna delle tappe fondamentali della vita di Polibio comprendiamo come egli sia stato prima di tutto un abile politico e diplomatico – realtà confermata da alcune fonti epigrafiche e statuarie, cui Thornton fa riferimento, che testimoniano l’attività del politico acheo in favore di alcune comunità e la fama che raggiunse in quanto politico. Riconosciuta questa totale immersione di Polibio nelle vicende del suo tempo, una delle riflessioni più stimolanti di Thornton, anche nell’ottica di future prospettive di studio, riguarda l’utilizzo delle Storie per lo studio delle istituzioni democratiche della Grecia ellenistica; infatti, Polibio, coinvolto nelle dinamiche che racconta, col suo testo ci restituisce informazioni preziose sul funzionamento e sullo svolgimento delle assemblee chiamate a deliberare nelle città ellenistiche, con le tensioni e i conflitti che le percorrevano, mostrando implicitamente la loro persistente vitalità.
A questo punto Thornton ha il merito di dimostrare, con grande lucidità, come l’opera storiografica di Polibio non sia altro che una prosecuzione della sua attività politica: è una storiografia “militante”, che persegue innanzitutto intenti apologetici. Quest’intreccio tra politica e storiografia pervade tutte le Storie e Thornton, mostrando una profonda conoscenza del testo polibiano, ne riporta numerosi esempi. Nella narrazione degli eventi, Polibio più volte difende la politica della lega Achea, cercando di imporre ai propri lettori la versione ufficiale achea dei fatti riportati; di particolare rilevanza in questo discorso, ma anche in altre parti del libro, è l’inedita applicazione dei moderni concetti di public transcript ed hidden transcript, coniati da James C. Scott (James C. Scott, Domination and the Arts of Resistance: Hidden Transcripts, 1990). Inoltre, facendo parte dei politeuómenoi (i leader politici), temeva tutte quelle politiche demagogiche che mettevano in discussione il potere del suo gruppo e nelle Storie si premurò di dimostrare come ogni politica di questo tipo si fosse rivelata, in definitiva, dannosa per tutti i cittadini di una polis.
Sempre nell’ottica della contaminazione tra politica e storiografia, Thornton affronta il più classico dei temi riguardanti Polibio: la sua riflessione sull’imperialismo romano. Riprendendo le posizioni già elaborate da Domenico Musti (in particolare in Domenico Musti, Polibio e l’imperialismo romano, 1978), si allontana dal fortunato paradigma interpretativo per cui Polibio, dopo la deportazione a Roma e l’amicizia con Publio Cornelio Scipione Emiliano, si sia identificato con le posizioni dei Romani – lettura affermatasi con forza grazie soprattutto ai lavori di Walbank; al contrario, viene mostrato come il politico acheo sia invece rimasto fermamente ancorato alle proprie radici greche ed achee, preoccupandosi di trovare un modo per garantire gli interessi del mondo da cui proveniva nonostante l’egemonia romana.
Quindi, nel sesto capitolo del libro, Thornton illustra come la narrazione polibiana della guerra acaica sia volta ad una delegittimazione del conflitto per conseguire l’obiettivo della riconciliazione; pertanto, limitò le responsabilità di tutti gli Achei nel conflitto, attribuendole esclusivamente ai loro leader, e attenuò la durezza dei provvedimenti del senato romano. Poi, nell’ottavo capitolo, la questione della posizione di Polibio sul dominio romano viene analizzata allargando la prospettiva e considerando tutte le egemonie di cui parla lo storico acheo; questo approccio costituisce uno dei motivi principali dell’originalità del libro di Thornton: il problema dell’opinione polibiana circa l’egemonia romana – che aveva tradizionalmente dominato lo studio di Polibio – viene relegato quasi sullo sfondo, spostando l’indagine sugli obiettivi concreti perseguiti dallo storico con la sua opera. I casi analizzati svolgono la funzione di esempi, paradéigmata, in un discorso volto a persuadere la classe dirigente romana ad optare per la linea della moderazione nell’esercizio del dominio; questo, secondo Thornton, costituisce il senso più profondo delle Storie. A sostegno della propria narrazione Polibio non esita ad utilizzare uno degli strumenti principe della competizione politica: la retorica; tale impiego, come evidenziato da Stefano Ferrucci nel presentare il volume di Thornton presso l’Istituto Italiano per la Storia Antica (9 aprile 2021), non deve scandalizzare, trattandosi di un dato strutturale per l’epoca.
A conclusione di questa trattazione, Thornton, nella terza parte, entra in polemica con alcune tendenze storiografiche moderne, denunciando la persistente influenza della filosofia della storia di Hegel nell’interpretazione dell’opera di Polibio e, in particolare, del suo giudizio su Roma. Contro tali posizioni, alle quali si oppone con grande vivacità, Thornton propone un’interpretazione di Polibio quale personaggio storico concreto, immerso nella vita politica del suo tempo; la sua opera, dunque, deve essere calata nell’epoca in cui fu scritta e nell’essere politico di Polibio.
L’originalità dell’approccio di Thornton fa sì che il suo libro rimarrà a lungo un riferimento per lo studio del personaggio Polibio, la cui opera, come rilevato da Peter Derow (Peter Derow, Why ancient history?, in A companion to Ancient History, a cura di Andrew Erskine, 2009, pp. 3-5), continua ad essere di persistente attualità.
Francesco Motta