Venerdì 17 maggio il colonnello Nicola Cristadoro ha tenuto la lezione Frammenti di guerra mondiale presso la sede dell’Università Statale di Milano di via Santa Sofia. L’iniziativa si colloca in un laboratorio del corso di studi in Scienze Storiche, intitolato Dal bipolarismo al multipolarismo: nuovi equilibri e sfide in un mondo globale, tenuto dalla professoressa Olga Dubrovina che, insieme alla professoressa Giulia Lami, ha dialogato con il relatore.
L’obiettivo della lezione è stato di proporre un’analisi degli accadimenti globali da un punto di vista militare. Nicola Cristadoro è uno studioso di geopolitica e un analista militare. Nei suoi studi il taglio storicistico è subordinato allo studio della realtà contingente. La comprensione e lo studio della storia, tuttavia, rimangono imprescindibili per questo tipo di studi.
La lezione è iniziata prendendo in considerazione i rapporti tra Repubblica Popolare Cinese e Taiwan, ad oggi una questione più che mai aperta. Il primo aspetto presentato riguarda l’elezione del presidente di Taiwan Lai Ching (William Lai), il cui insediamento avrebbe avuto luogo di lì a poco e, in tale circostanza, sarebbe emersa in maniera ufficiale la sua attitudine nei confronti della Repubblica Popolare Cinese. Il relatore ha sottolineato che è prevedibile che il suo orientamento non sia teso a proclamare o sostenere a spada tratta l’indipendenza; una mossa che sarebbe troppo pericolosa. In ogni caso, William Lai è senza dubbio un convinto fautore dell’autonomia taiwanese.
Per la Cina, Taiwan rappresenta una questione di prestigio per un governo forte e “imperiale”, ovvero un governo che rivendica una dimensione dominante a livello globale, alla stregua di Stati Uniti, Russia, Cina, Iran, Turchia. In quest’ottica, Pechino ha la necessità di mantenere chiara la legittimità del proprio dominio su Taipei. Vi è poi una ragione più profonda: il controllo di determinate rotte marittime e l’accesso al Mar cinese meridionale. Si può osservare una simile dinamica da parte russa con l’occupazione della Crimea e con l’interdizione del traffico navale nel Mar rosso, ad opera degli Houthi. Cristadoro sostiene che la dimensione politica, ideologica e religiosa, per quanto reale, è una sovrastruttura che cela ragioni di controllo e di dominio. Nei prossimi mesi bisognerà osservare come William Lai si relazionerà con le componenti dello spettro politico taiwanese che sono più accomodanti nei confronti della Cina. Secondo Cristadoro Xi Jinping è uno stratega raffinato, che predilige soluzioni meno brutali rispetto a Putin. È un attendista: fa dimostrazioni di forza, ma non eccede con attacchi deliberati ai suoi avversari.
Taiwan è anche importante per il mondo intero per la produzione di microchip e semiconduttori, in quanto sede della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC): il 90% dei semiconduttori all’avanguardia sono prodotti a Taiwan, in seguito all’applicazione di criteri economicistici da parte degli Stati Uniti, come la delocalizzazione della produzione dei suddetti manufatti. La Cina sta investendo in questo settore e svolge un’intensa attività di spionaggio industriale, ma ad oggi e nel breve-medio termine non può rinunciare, per le proprie esigenze tecnologiche, alla produzione taiwanese.
Si delineano due possibilità di sviluppo militare. La prima vede l’uso della forza contro Taiwan. Un attacco diretto, tuttavia, si scontrerebbe anche contro il sostegno offerto dagli Stati Uniti all’isola. Inoltre, Taiwan si avvale ancora oggi dell’expertise americana. Queste risorse intellettuali americane verrebbero meno se Taiwan fosse controllata da Pechino. Nel secondo scenario, gli aspetti appena descritti costituiscono un deterrente sufficiente e la Cina non vedrebbe Taiwan come obiettivo militare, pur rivendicandone il possesso a pieno titolo. Il rischio è che, se il nuovo governo spingesse per l’indipendenza, allora la situazione diventerebbe critica. La parola indipendenza non è accettabile per Pechino.
Un altro fattore che ha inciso sui rapporti tra la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan è stato la visita di Nancy Pelosi, che rappresenta un riconoscimento implicito da parte degli Stati Uniti all’autorità taiwanese e non è stata passivamente accettata da Pechino.
Un’ulteriore dimostrazione del crescente livello di tensione è la scelta unilaterale di Pechino di venire meno all’accordo che definiva le rotte aeree e marittime nello stretto di Taiwan: l’obiettivo della Cina è invalidare l’accordo in vigore. Questa azione si inserisce nell’ambito della cosiddetta “guerra liminale”, nella quale i contendenti compiono azioni progressivamente più aggressive per sondare la reazione dell’avversario.
Il successivo scenario analizzato nella lezione è stato quello russo. Il relatore ha avviato il discorso considerando la morte di Navalny: ha scosso le coscienze, ma limitatamente a quelle degli occidentali e di una stretta minoranza di russi che hanno coraggiosamente espresso pubblicamente il loro dissenso. Dobbiamo considerare che la sovrastruttura dei diritti umani è qualcosa di codificato nella percezione delle culture, che appartiene all’Occidente ma non è universale. Sullo scacchiere internazionale sono molti gli stati che non condividono i principi del Diritto Umanitario, per ragioni culturali, di fanatismo o di mero interesse.
In Russia vi è un potentissimo apparato repressivo, in particolare va menzionata la Rosgvardia. Il cittadino russo medio, consapevole della violenza delle modalità di intervento sulla folla proprie di questo apparato, è comprensibile che non esprima dissenso. Vengono messe in pratica, inoltre, forme di repressione che vanno oltre la violenza fisica, come, ad esempio, il licenziamento dal proprio ambito lavorativo dei contestatori o dei loro parenti. Chi ha deciso di esprimere la propria contrarietà alle politiche del Cremlino per la morte di Navalny ha effettuato una sorta di pellegrinaggio alla “pietra Soloveckij”, un monumento dedicato ai dissidenti morti nei gulag in epoca sovietica. Chi ha manifestato in maniera più plateale è stato arrestato. I media governativi e gli apparati politici, invece, hanno colto l’occasione per esprimere la propria rabbia nei confronti dell’Occidente, accusato di fomentare i disordini in Russia. Tali accuse rientrano in una narrazione peculiare della infowar, la “guerra delle informazioni”, uno dei cardini della guerra ibrida. La guerra ibrida va oltre la dimensione del combattimento sul terreno ed è caratterizzata principalmente dalle operazioni psicologiche (psy-ops). Queste sono mirate a scardinare la coesione dell’avversario, a rafforzare il consenso dei propri sostenitori o guadagnare quello di coloro che non sono schierati per l’una o per l’altra delle fazioni in lotta.
In russo vi è un gioco di parole sul termine democratija (democrazia) che viene trasformato in dermokratija (merdocrazia). È Indicativo del pensiero dell’“uomo comune”. La maggioranza guarda alle difficoltà sostanziali della vita e ha un’immagine consolidata di sé come popolo. Ciò che arriva dall’Occidente, in questo caso la democrazia, viene visto con una certa diffidenza e disprezzo. Si tratta di un fenomeno di lunga durata, possiamo risalire al disprezzo per le innovazioni culturali di Caterina II o di Pietro il Grande, orientate al pensiero illuminista francese.
Relativamente alla guerra in corso, Cristadoro ha sottolineato che per Putin è fondamentale vincere. Il presidente russo ha polarizzato i sentimenti della popolazione russa riferiti alla grandezza e alla rivalsa della propria nazione sul piano storico-politico, fondandoli sul conflitto con l’Ucraina. La vittoria per Putin è necessaria anche per una questione di ritorno di immagine. Per renderci conto di che tipo di guerra si tratti, il relatore ha invitato a riflettere sul fatto che ad Avdiivka vi sono state decine di migliaia di morti da entrambe le parti, tutte per un obiettivo puntiforme rispetto ad un fronte di centinaia di chilometri. La Russia è in economia di guerra. Con la rielezione plebiscitaria di Putin, è significativa la sua scelta di sostituire il ministro della Difesa Sergej Šojgu, in carica per oltre 12 anni, con l’economista Andrey Belousov; si tratta di una scelta funzionale all’evolvere della situazione operativa. Putin ha un numero sufficiente di militari nelle posizioni di potere, primo fra tutti Gerasimov. Serve ora un economista che sappia convincere con le proprie argomentazioni e la propria autorevolezza il sostegno allo sforzo bellico. Šojgu rappresentava l’autorità militare, Belousov può rendere accettabile l’idea che si tagli la spesa per il welfare a favore di quella per la produzione di armamenti.
Degno di menzione è l’episodio del missile russo che è temporaneamente entrato nello spazio aereo polacco: non si tratta di un errore, ma della strategia descritta in precedenza per saggiare il livello di reazione dell’avversario, in questo caso della Nato.
Per quanto riguarda la mobilitazione, è sempre più difficile che i cittadini accettino di buon grado di andare a combattere. Per tale ragione, sono stati impiegati in larga misura i mercenari del Gruppo Wagner. Questi, dopo la ribellione del giugno 2023, sono stati eliminati o marginalizzati. Quel che rimane di quell’organizzazione è stato reimpiegato in Africa, nel Sahel, dove la Russia aspira a sostituire la Francia nel controllo dell’area, per sfruttarne le risorse.
A questo punto, si prefigurano tre possibili scenari riferiti ad altrettanti obiettivi strategici per la Russia: Il primo, più verosimile, è la presa di Odessa. Questo equivarrebbe al controllo russo del mar Nero, precludendo totalmente all’Ucraina l’accesso al mare. Il secondo considera l’occupazione della Moldavia per l’annessione ufficiale della regione russofona della Transnistria e della Moldavia stessa, in aderenza al progetto di ricostituzione dell’Impero russo. Peraltro, la stessa “ambizione” potrebbe valere anche per i paesi che ad oggi si collocano in una posizione ambigua, come Azerbaijan e Georgia. Il terzo, meno probabile e, tuttavia, più pericoloso in assoluto per le conseguenze che avrebbe, implicando l’intervento della Nato, è quello di riprendersi i Paesi Baltici
Un ultimo elemento da considerare sul fronte russo è l’attentato a Mosca. Vi è una chiara responsabilità dell’Isis ma la propaganda ha cercato di addossarne le colpe all’Ucraina.
Il relatore ha poi avanzato alcune considerazioni sull’Iran. Il Paese ha una posizione geostrategica notevole: si trova al crocevia di importanti arterie commerciali che adducono dall’Oriente all’Occidente, è inoltre un grande produttore di petrolio. Per quanto riguarda la politica, l’Iran ha stretto legami sempre più forti con la Russia e la Cina. Va sottolineata la produzione di droni Shahed 136, venduti in grandi quantità alla Russia e impiegati in Ucraina. Ricordiamo che nella guerra in Siria vi è stato un notevole contributo russo, in una coalizione di cui faceva parte anche l’Iran.
Sotto il profilo militare è noto che i principali nemici dell’Iran sono Israele e gli Stati Uniti. L’Iran non affronta Israele in uno scontro diretto per due ragioni: la grande distanza geografica che separa i due paesi e un’insufficiente capacità militare. Un evento di enorme rilevanza nell’ulteriore deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti è stata l’uccisione del comandante delle Forze Quds Qasem Soleimani.
Nella conduzione del conflitto ibrido in atto con Israele, l’Iran si avvale di forze irregolari quali Hezbollah e i Pasdaran. Hezbollah nasce come gruppo per la guerra asimmetrica, ma sempre più si è strutturato come una forza convenzionale. Altrettanto importanti sono gli eventi collegati all’accordo sul nucleare iraniano. L’uccisione di Moshen Fakhrizadeh, capo del programma nucleare iraniano, mostra che Israele intende rimanere l’unico paese nella regione mediorientale ad avere la bomba atomica.
Le proteste di piazza in Iran vanno inquadrate, secondo il relatore, in un contesto in cui l’istruzione è molto diffusa ma vi sono fortissime restrizioni sullo stile di vita, specie per le donne, anche se sono quelle che in maggior numero conseguono la laurea.
Anche il mondo arabo rappresenta tradizionalmente un nemico di Teheran. A tale proposito, dobbiamo tenere in considerazione l’identità persiana dell’Iran: il nemico sunnita è tale in quanto arabo e non persiano; il contrasto tra l’identità araba e quella persiana affonda le proprie radici nei secoli.
Il relatore ha infine proposto alcune considerazioni sulla situazione a Gaza e sull’operato degli Houthi. Questi ultimi, in seguito all’attacco di Hamasdel 7 ottobre 2023 contro gli insediamenti israeliani a ridosso della Striscia di Gaza, hanno alzato il livello di tensione nel Mar Rosso, nel quadro della lotta condotta contro il dominio unilaterale del pianeta da parte degli Stati Uniti. In tale contesto, emerge una forma di tacita accettazione da parte della Cina per i vantaggi che trae da ogni azione mirata a creare difficoltà alle attività commerciali americane. Anche per Pechino, tuttavia, vi sono dei limiti alla tolleranza degli attacchi condotti dagli Houti contro le navi che transitano nel Mar Rosso, in quanto l’obbligo di circumnavigare l’Africa comporta costi elevati per tutti a causa dei rischi che si corrono in quel tratto di mare. L’azione di contrasto svolta dalle marine militari occidentali coalizzate contro gli Houti, peraltro, ha evidenziato una mancanza di chiarezza nelle regole di ingaggio. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ad esempio, possono condurre attacchi preventivi contro imbarcazioni e installazioni degli Houti che rappresentano una minaccia, mentre l’Italia può agire solamente in risposta ad attacchi condotti contro le proprie navi o quelle che transitano nel settore che è chiamata a difendere.
Hamas è l’esempio di un attore non statuale che combatte. Nelle procedure di questa organizzazione è rilevante la componente di guerra psicologica, costituita dal massiccio utilizzo di scudi umani, in quanto i terroristi collocano le proprie strutture strategiche, come posti comando e risorse logistiche, in prossimità di siti sensibili e popolati, quali aree densamente abitate, scuole e ospedali. Si avvantaggia, inoltre, dei costi estremamente contenuti da sostenere rispetto ai propri avversari: ad esempio, con l’impiego di razzi assemblati con poche, semplici componenti o forniti dall’Iran, che per essere abbattuti richiedono sistemi per la difesa antiaerea che costano milioni di dollari. È un altro degli aspetti della guerra asimmetrica: la tecnologia funziona, ma costa.
Dalla lezione risulta chiaro che ad oggi il sistema delle relazioni internazionali è in crisi e si regge su un equilibrio precario. I rivolgimenti geopolitici di una parte del mondo non possono non avere conseguenze altrove e basta un avvenimento locale a influenzare significativamente questo “equilibrio globale”. Per decenni abbiamo creduto che la guerra fosse un fenomeno umano in graduale declino. Gli anni ’20 del XXI secolo, nei quali la guerra costituisce spesso un proseguimento dell’azione politica, ci obbligano a riconsiderare questo assunto e ci impongono di indagare, con l’aiuto di esperti, questo antico e purtroppo attuale fenomeno umano. Lo storico studia il passato e non fa previsioni sul futuro, eppure “ama la vita”. Per questo motivo mi sento di notare, con una citazione gramsciana (più probabilmente si tratta di una riformulazione di un estratto dei Quaderni del carcere), che “il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.
Giona Gallina