Nell’ambito dei colloqui organizzati dal Centre for visuaL hIstOry (CLIO), martedì 9 aprile 2024 si è tenuta presso l’Aula Pio XII, in via Sant’Antonio 5, la conferenza “Far Vedere” il principe: tessere iconografiche del ritratto imperiale (I secolo a.C. – IV secolo d.C.), ovvero una lezione del professore Fabio Guidetti dell’Università Federico II di Napoli.
La professoressa Μecella ha presentato l’ospite all’uditorio, accennando alla sua formazione di indirizzo archeologico e storico presso La Scuola Normale Superiore di Pisa. È stato ricordato inoltre come il Professore Guidetti sia stato allievo di Paul Zanker, autore del noto volume “Augusto e il potere delle immagini”, e come il professore abbia avuto modo di approfondire i suoi studi presso rinomati centri di ricerca, quali l’Università di Edimburgo e il Barbour Institute.
Il professore Fabio Guidetti ha inaugurato la tematica oggetto di discussione sottolineando il proprio obiettivo di condurre un’indagine storica “attraverso le immagini” ed interrogare le fonti iconografiche per trovare risposte in merito a questioni importanti di storia sociale e politica. Si parla di “tessere” iconografiche perché, soprattutto durante il passaggio tra l’arte della prima età imperiale a quella della tarda antichità, il linguaggio visivo muta e diventa un metodo combinatorio di modelli e particolari iconografici appartenenti ad un repertorio già ben consolidato. Si postula una connessione tra i panegirici e ritratti scultorei, tra fonti testuali e performative (pensate per la performance orale in presenza dell’imperatore) e fonti iconografiche. Attraverso la discussione interattiva e il coinvolgimento del pubblico il professore formula importanti riflessioni di carattere metodologico: mentre i ritratti imperiali nelle attestazioni letterarie appaiono generalmente coerenti con le caratteristiche del genere, i ritratti scultorei risultano insoliti e particolari a causa della giustapposizione di motivi tipici e di tratti stilistici apparentemente incompatibili. Ogni tessera è un “elemento portatore di significato” da combinare con le altre. Ciascuna tessera porta un contributo al messaggio complessivo, costruito per addizione delle stesse. Un’immagine organica e unitaria esprime un messaggio principale, un’immagine costruita per tessere esprime contemporaneamente tanti messaggi quante sono le tessere che la compongono.
Il professore Guidetti ha poi proiettato l’immagine di tre monete, che risalgono al 43-42 a.C., raffiguranti il giovane Cesare, figlio adottivo del Cesare dittatore. Appare evidente che, nonostante esse raffigurino la stessa persona e siano esattamente coeve, le immagini, completamente diverse, si rifanno a tradizioni differenti, con l’intento di mandare un messaggio politico peculiare e preciso. Gaio Ottavio appare serio, impressione che si lega al lutto che sta affrontando e al programma politico di giustizia che vuole seguire. Le tre monete richiamano tre diverse tradizioni stilistiche: il ritratto severo sulla sinistra si ricollega alla tradizione del realismo repubblicano, una forma di espressionismo dove alcuni tratti vengono enfatizzati e messi in evidenza perché portatori di un messaggio; il profilo appare infatti stirato in verticale, con il collo e la testa più estesa e un naso più appuntito, tutti tratti utili a far somigliare il giovane Cesare al padre adottivo. La moneta seguente mostra invece dei tratti delicati tipici dell’arte tardo-ellenistica, lo stile che andava di moda all’epoca. La terza moneta infine si ricollega alla tradizione classica, con i tratti armonici tipici delle proporzioni dell’arte greca di V e IV secolo a.C. Si deve infatti ricordare, osserva il professore, che l’arte e la cultura romana, nel momento in cui si sviluppano, hanno a disposizione tutto il patrimonio greco, dal quale attingono materiale ad hoc a seconda del messaggio da trasmettere.
La presentazione prosegue poi con i busti di Lucio Elio Cesare e Lucio Vero, provenienti dalla Galleria Estense di Modena, capolavori dell’arte romana: entrambi presentano una fisionomia unitaria del volto che propone un’idealizzazione della bellezza maschile. Si nota la bocca serrata di Lucio Vero come sintomo di autorevolezza, la barba e i capelli curati sottolineano come il princeps abbia tempo da dedicare alla cura di sé stesso. Il tempo libero e la raffinatezza di vita sono in quest’epoca un valore caratterizzante la carica imperiale, un valore volto a rappresentare l’imperatore come aristocratico fra gli aristocratici.
La conferenza prosegue con la proiezione di due busti dell’imperatore Caracalla provenienti dalla Collezione Farnese di Napoli e dal Metropolitan Museum of Art. Il cambiamento della rappresentazione della figura imperiale è evidente, la barba ed i capelli appaiono molto più corti e l’espressione accigliata viene evidenziata tramite le vistose rughe, che corrispondono a delle linee di forza fortemente sottolineate per rendere il volto estremamente espressivo. Questi busti presentano quindi allo spettatore la personalità di Caracalla come aggressiva e determinata, un’autorità da rispettare e alla quale affidarsi. Il professore propone un confronto tra il busto di Caracalla e un’immagine contemporanea del presidente ucraino Zelens’kyj. Appare evidente come, nonostante alcune affinità d’immagine, i due soggetti presentino marcate differenze per quanto riguarda la direzione dello sguardo: mentre Zelens’kyj fissa idealmente lo spettatore fonte della propria autorità politica, Caracalla guarda in alto, verso gli dèi, che sono la sola fonte di legittimazione del suo potere, e verso i vasti confini dell’impero che deve costantemente tenere sotto controllo e salvaguardare.
Nel III secolo d.C. si denota un’evoluzione verso l’espressionismo: emblematico a tal riguardo è il busto dell’imperatore Decio conservato presso i Musei Capitolini di Roma. L’opera esprime la cura imperii e la consapevolezza della responsabilità del ruolo imperiale. L’espressionismo si concretizza tramite le rughe disposte in maniera disordinata in volto per dare l’idea di una persona che corruga spesso la fronte. I capelli e la barba non sono naturalistici, ma realizzati con colpi di scalpello al fine di dare un effetto chiaro e immediato all’osservatore.
Il professor Guidetti mostra successivamente l’immagine del Monumento ai tetrarchi di fine III secolo d.C. I tetrarchi sono rappresentati con assoluta geometrizzazione ad angolo retto, gli occhi spalancanti e i capelli che ricordano la forma di un casco. L’opera si discosta dai canoni dell’arte coeva sotto diversi aspetti, tra i quali vi è anche la collocazione, poiché si tratta di un’opera pensata per essere posta in cima ad una colonna. Il professore propone, a titolo comparativo, l’immagine del busto di un imperatore di IV secolo non identificato, che presenta occhi spalancati, capelli corti e le stesse rughe che si ritrovano in Caracalla.
Tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C i panegirici imperiali forniscono indizi chiari delle aspettative che il popolo nutriva verso l’imperatore, al quale si chiede di dedicarsi completamente al bene dei popoli. Si può constatare il ricorrere della metafora meteorologica, che si ricollega ad una tradizione molto più antica, e ha a che fare con una delle caratteristiche dell’imperatore: l’assimilazione alla divinità solare. Il sole è colui che dall’alto vede tutto, come il princeps che deve vedere ogni angolo dell’impero. Viene mostrato dunque un rilievo di Efeso che ritrae Lucio Vero mentre sale sulla sua quadriga, e, come nuovo Helios, si accinge ad attraversare il cielo per vedere tutto ciò che accade sulla terra.
Nel IV secolo d.C. si impone inoltre l’immagine dell’imperatore senza barba, grazie all’innovazione introdotta da Costantino. Nel panegirico del 310 d.C. è possibile risalire al messaggio che questa nuova rappresentazione intende esprimere. Si racconta di una visita fatta da Costantino ad un tempio di Apollo per sciogliere un voto, ma nel tempio il dio appare e Costantino si rivede in lui: giovane, gioioso, salvifico e bellissimo. Costantino assume quindi connotazioni apollinee, non ha più motivo di preoccupazione perché forte del sostegno e della protezione divina. L’immagine imperiale si distacca dunque completamente dal ritratto tipico dell’imperatore.
L’ultima immagine che viene proposta fa riferimento ad un secondo anno dei “quattro imperatori”, ovvero il 350 d.C., e mostra quattro diverse monete che raffigurano gli imperatori in questione, ognuno dei quali vuole farsi rappresentare in modo diverso. Il figlio di Costantino, Costanzo II, conserva i tratti apollinei ed inespressivi del padre, il generale Magnenzio invece, che si ribella al fratello di Costanzo II e diventa imperatore in Gallia, si mostra con la testa nuda, priva di diadema, simbolo della dignità imperiale, con l’intento di rappresentare una cesura e mostrarsi come un uomo pronto all’azione. La stazza imponente sottolinea la dimensione della forza fisica. Nepoziano invece, scelto dalla famiglia imperiale per fronteggiare Magnenzio, si presenta come un imperatore tipico per quanto riguarda la rappresentazione iconografica di fine III secolo, con la barba e il diadema perché di stirpe imperiale. L’ultimo ad essere rappresentato è Vetrarione, un generale dell’esercito che viene fatto sposare con la sorella di Costanzo II per fronteggiare Magnenzio. Egli non mostra interesse verso la carica imperiale e vuole farsi riconoscere e rappresentare piuttosto come soldato, con capelli e barba corta e corona d’alloro, simbolo del trionfo militare. Questa iconografia composita indica come, 350 d.C., coesistessero modi diversi di essere imperatore e di farsi rappresentare come tale.
L’incontro termina con una vivace discussione tra professore e pubblico riguardo alla straordinaria utilità che il repertorio iconografico offre all’indagine storica sulla rappresentazione del potere in prospettiva diacronica.
Nunzio Lauretta