L’11 marzo 2024 si è svolta, presso la sede di via Festa del Perdono dell’Università Statale di Milano, la presentazione di Evangelizzazione e presenza in Italia (1870-1990), quarto e ultimo volume della nuova Storia dei valdesi, curato da Paolo Naso (Sapienza Università di Roma).
L’incontro è stato introdotto da Paolo Zanini (Dipartimento di Studi storici), che ha voluto sottolineare, anzitutto, la collocazione del volume all’interno di una rinnovata attenzione storiografica per la storia dei valdesi, e più in generale per la storia del protestantesimo in Italia. Difatti, oltre a questa nuova avventura editoriale, promossa dalla casa editrice Claudiana, sono state citate altre recenti opere, quali A Companion to the Waldenses in the Middle Ages (a cura di M. Benedetti, E. Cameron, Leiden Boston 2022), Metodisti in Italia (a cura di D. Garrone, P. Naso, S. Nitti, Torino 2023)e i due contributi della Global History of Italian Protestantism (a cura di M. Benedetti, G. Civale, D. Saresella, P. Zanini, Leiden-Boston, in corso di pubblicazione). La storiografia sul mondo valdese, come si vede da questi pochi ma significativi rimandi, appare in una fase di rinnovamento e trasformazione, aggiornando e integrando le iniziali ricostruzioni classiche che erano spesso incentrate su vicende interne alle singole comunità protestanti. Il volume presentato rientra pertanto in questo sforzo storiografico, in cui la storia della presenza valdese nell’Italia unita è posta in dialogo sia con l’evoluzione della società e dello stato italiano, sia con le altre confessioni religiose della penisola, a cominciare da quelle evangeliche, ma anche dalla Chiesa cattolica – in un percorso segnato da contrasto e confronto – e, infine, come ben evidenzia Alberto Cavaglion nel suo saggio, dalla comunità ebraica. Non manca, poi, uno sguardo rivolto alla diaspora transoceanica e ai contatti che si sono sviluppati, a partire dal 1945, con le chiese europee e nordamericane protestanti, fino giungere alle dinamiche migratorie che hanno riguardato il nostro paese più da vicino.
Paolo Zanini si è poi soffermato sulla periodizzazione attorno cui il volume è organizzato: l’epoca liberale (1870-1915), segnata dalla diffusione della chiesa valdese nel territorio nazionale; il periodo tra le due guerre mondiali, caratterizzato dalla riduzione degli spazi di proselitismo per le minoranze religiose; la fase compresa tra il 1943-1945 e i primi anni Sessanta, in cui dinamiche antiche si sovrapposero alla svolta determinata dalla costituzione repubblicana e dalla sofferta affermazione del pluralismo religioso in Italia; e, infine, il periodo compreso tra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta, contraddistinto dalla modernizzazione e secolarizzazione del paese.
In seguito, Daniela Saresella (Dipartimento di Studi storici) ha tratteggiato il modo in cui il rapporto tra mondo valdese e mondo cattolico si è declinato nel corso del Novecento. È stato sottolineato che in Italia, paese con un’alta percentuale di cattolici, le minoranze religiose furono sempre trattate come gruppi marginali; tuttavia, con il modernismo cattolico di inizio Novecento presero avvio alcuni tentativi di dialogo con le altre religioni cristiane. Ben presto la Santa Sede, con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis del 1907, represse e ridimensionò il movimento modernista, senza però riuscire a cancellare del tutto atteggiamenti di apertura ecumenica, che alcuni settori del mondo cattolico conservarono. A tal proposito sono state citate sia la figura di Ernesto Buonaiuti, che insieme al suo gruppo di discepoli koinonia mostrò una volontà di apertura interreligiosa e interconfessionale, sia il progetto di una comunità estesa anche ad altre confessioni, voluta da Maria di Campello. Quest’ultima fu legata a don Primo Mazzolari, autore nel 1934 de La più bella avventura, in cui affrontava il tema dell’ecumenismo, proponendo una valorizzazione delle radici comuni delle varie fedi cristiane. Sebbene una parte di cattolici fosse propensa al confronto, l’istituzione ecclesiastica rimase ostile al mondo riformato almeno fino alla seconda metà degli anni Cinquanta, quando emerse una nuova attenzione per le minoranze religiose; soltanto con il Concilio vaticano II si giunse a una svolta significativa nel rapporto con le altre confessioni cristiane.
Per quanto riguarda le dinamiche del mondo valdese e protestante, è stato ricordato che nel secondo dopoguerra le idee del teologo Karl Barth, poste al centro della riflessione del mondo evangelico protestante, diedero inizio a un periodo di fervore. Si pensi, fra gli altri, a un interessante saggio di Marta Margotti che tratta la vicenda della comunità di Agape, nata nel 1947 dall’iniziativa del pastore Tullio Vinay e caratterizzata da un forte impegno al confronto ecumenico. Tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo di cambiamenti e mobilitazioni, il mondo valdese e i cattolici cosiddetti “progressisti” trovarono un terreno di intesa comune in numerose tematiche, quali la giustizia sociale, la pace, la lotta contro la guerra in Vietnam e l’attenzione al terzo mondo. Sono state poi menzionate alcune esperienze che dimostrano come, in quegli anni, cattolici “progressisti” e valdesi tentarono di coniugare dimensione religiosa e politica: nel 1969 nacque la Federazione giovanile evangelica italiana che, analogamente alle associazioni cattoliche, compì una forte torsione dal punto di vista politico verso sinistra; nel 1973 sorse il gruppo italiano dei Cristiani per il socialismo, connotato dal proposito di tenere uniti cattolici ed esponenti del mondo protestante; nel 1974 la fusione della testata cattolica “Com” con quella valdese “Tempi Nuovi” diede vita al un nuovo periodico “Com-Tempi Nuovi”;infine, nelle elezioni del 1976, per la prima volta un gruppo di cattolici e il valdese Tullio Vinay entrarono come indipendenti nelle liste del PCI. È stato poi ricordato che i tentativi di intesa comune tra le due religioni destarono perplessità in alcuni settori più conservatori sia di cattolici che di valdesi.
Successivamente Maurizio Ambrosini (Dipartimento di Scienze sociali e politiche) ha sottolineato come gli studi sociologici mettano in risalto il ruolo che le minoranze, in quanto meno vincolate all’ordine costituito, esercitano nell’introdurre innovazioni significative. A tale proposito, infatti, il docente ha posto l’accento su alcune trasformazioni promosse dai valdesi che influenzarono nel corso del tempo il mondo cattolico e la società italiana: l’idea della laicità dello stato, le donne come guida delle comunità religiose, un maggiore ascolto della componente laicale, e una significativa attenzione al pluralismo religioso, al quale i valdesi dedicano ancora oggi un costante impegno. Ambrosini ha concluso il discorso ricordando che il ruolo delle minoranze all’interno della popolazione maggioritaria o dell’istituzione religiosa prevalente è quello di farsi “voce profetica” di tempi nuovi: questa è la lezione che la sociologia può trarre e trasmettere dal confronto con la storia dei valdesi. Da queste valutazioni è emersa espressamente l’importanza della collaborazione fra discipline differenti, in particolare tra storia e sociologia.
A seguire è intervenuta Cristiana Cianitto (Dipartimento di Scienze giuridiche Cesare Beccaria), che in primo luogo ha voluto evidenziare l’impegno attivo dei valdesi nel portare avanti battaglie a favore dei diritti civili. Citando le parole di Paolo Naso nell’introduzione al volume, la docente ha rilevato il ruolo che i valdesi da sempre hanno svolto con perseveranza, per il progresso sociale e collettivo, nella difesa della libertà religiosa. È stato inoltre ricordato che i valdesi, quando ottennero i diritti civili e politici con le regie lettere patenti del 17 febbraio 1848, non si consolidarono in una condizione di privilegio, bensì presero spunto da tale evento per cominciare una nuova evangelizzazione. Tuttaviasoltanto nel 1984 si giunse ad avere la prima intesa siglata dal governo dell’Italia repubblicana e dalla Tavola valdese, a seguito della quale i valdesi, che avevano operato sino a quel momento in un regime di tolleranza, come concessione del potere, giunsero alla libertà come conquista della coscienza religiosa. La relatrice ha inoltre richiamato lo sforzo profuso dalla chiesa valdese per il progetto di pluralismo costituzionale, affinché si passasse dalla concezione di “una maggioranza e delle minoranze” a quella dei “cattolici e acattolici”, in un sistema di pluralismo religioso fattivo.
Il volume presentato, come ha sostenuto Cristiana Cianitto, vuole rendere quindi omaggio alla battaglia valdese per l’affermazione della libera coscienza religiosa, riassumibile nelle espressioni di “minoranza, laicità e libertà religiosa” e “fede e responsabilità”. Per quanto riguarda il primo trinomio, soltanto nel 1989 la Repubblica italiana, con una sentenza della Corte costituzionale, fu definita laica; e questo pose ai valdesi la scelta se definirsi chiesa in Italia o una chiesa italiana. I valdesi trovarono nell’intesa un nuovo punto di partenza per la battaglia a favore dei diritti, rifiutando di essere minoranza tollerata, per divenire soggetto responsabile di un pluralismo costituzionale e, pertanto, sostenendo il principio per cui le chiese sono uno degli attori sociali ai quali la costituzione italiana affida il compito di concorrere alla realizzazione del pluralismo. In secondo luogo, il concetto di “fede e responsabilità” – uno dei capisaldi del protestantesimo – deriva dalla coscienza che la chiesa debba affidare una responsabilità anche al singolo fedele, affinché quest’ultimo possa contribuire alla trasformazione sociale.
Paolo Naso, intervenendo al termine delle relazioni precedenti, ha ringraziato i colleghi per aver fatto emergere dalle loro discussioni, incentrate su temi differenti, l’importanza dell’interazione tra diverse discipline. In seguito, il curatore ha replicato agli interventi, rintracciando in primo luogo la presenza di stagioni diverse nel rapporto tra chiesa valdese e mondo cattolico e individuando uno snodo importante nel 1974 con il referendum sul divorzio, quando i valdesi compresero che era possibile intraprendere un percorso di intesa ecumenica con una parte di cattolici. È stata poi ribadita la rilevanza dell’intervento culturale valdese, il cui significato innovativo venne subito colto dalla Chiesa cattolica, che identificò gli strumenti principali nelle scuole, soprattutto quelle sorte in zone montane, nelle case editrici, come la Claudiana, nelle riviste e nei centri culturali. Questi esempi rimangono rappresentativi di una strategia culturale volta non solo all’evangelizzazione, ma anche alla crescita culturale e civile del paese. Sugli aspetti più propriamente giuridici Paolo Naso ha ricordato che la storia del diritto valdese, nel rapportarsi con lo stato, presenta il passaggio da una posizione di separatismo all’adesione di un meccanismo delle intese: questo cambiamento giunse con l’avvento della democrazia in Italia, sulla quale i valdesi avevano fortemente scommesso. Il curatore del volume ha poi indicato la presenza di pagine meno luminose nella storia valdese: il sinodo rimase in silenzio in occasione della Circolare Buffarini Guidi nel 1935, delle leggi razziali nel 1938 e durante l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Paolo Naso, infine, ha sollevato alcune considerazioni sul concetto di minoranza, definendolo problematico per il presente, sebbene venga frequentemente utilizzato in sede storica. Assumendo la questione in termini di diritti delle minoranze, si è portati a porre un confronto tra queste e la maggioranza. Quest’ultima, tuttavia, secondo la logica della democrazia, detiene diritti plusvalenti sulle minoranze in materia di libertà religiosa: tale aspetto determina, quindi, una limitazione di questa libertà. Inoltre, in una società variegata e cangiante come quella italiana diviene sempre più complesso definire chi sia minoranza e chi maggioranza. È preferibile, pertanto, ragionare in termini di componenti della società italiana, articolata in differenti gruppi e comunità, ciascuno dei quali contribuisce allo sviluppo civile del paese.
Silvia Eleonora Brera