Simone Di Miceli, Animali al patibolo. Il lato oscuro del rapporto uomo-animale nel Medioevo, tesi di laurea triennale in Storia, relatrice prof.ssa Marina Gazzini, Dipartimento di Studi Storici, Università degli Studi di Milano, a.a. 2019/2020
L’elaborato tratta il tema dei processi intentati contro gli animali durante il Medioevo. Un fenomeno giuridico che, dal X secolo circa, si consolida nell’Europa occidentale e che può essere interpretato come frutto di una società che essendo diventata, nei secoli precedenti, succube dell’ambiente, lottava per riprenderne il controllo. L’analisi fornisce una proposta di lettura per indagare il rapporto uomo-animale, la mentalità, la cultura, le pratiche e i rituali giudiziari strettamente connessi a questa relazione.
In primo luogo sono stati considerati i bestiari, opere medievali fondamentali per comprendere il ruolo degli animali in un periodo in cui le bestie furono onnipresenti, osservate e rappresentate più che in ogni altra epoca. Ogni storico che abbia a che fare con le fonti medievali non può evitare il confronto con questi esseri viventi. I bestiari, dunque, possono fungere da guide, utili a cogliere aspetti rilevanti connessi al fenomeno dei processi contro gli animali, dalla mentalità dei nostri antenati ai significati attribuiti alla natura delle diverse creature. La voce di riferimento, dal punto di vista storiografico, è stata quella di Michael Pastoreau.
Segue un capitolo dettagliato in cui vengono trattate le diverse tipologie di processo, rispettando le categorie proposte dalla storiografia, che a partire dall’Ottocento ha distinto tra processi civili e processi penali. Fra i primi studiosi si ricordano Karl Von Amira, Carlo D’Addosio, Edward Payson Evans. Una fonte primaria utile alla ricerca è stato invece il trattato del giurista del XVI secolo Bartolomeo Chassenée che divenne celebre per il ruolo di avvocato difensore di alcuni roditori.
Nel terzo e ultimo capitolo viene analizzata la dimensione giuridica della questione. Essendo soltanto gli umani ritenuti capaci di commettere un crimine e di subirne il giusto castigo, le bestie possono essere trattate come l’uomo e subire le stesse punizioni solo in seguito a un processo di personificazione. Gli animali venivano dunque assimilati all’uomo e parificati a lui nei diritti e soprattutto nei doveri, nella coscienza e nella responsabilità. Si puniva l’animale perché lo si ritenne in qualche modo conscio delle sue azioni, libero, responsabile. Una visione completamente diversa rispetto a quella attuale: maggiori diritti dell’animale non corrispondevano a una sua maggiore tutela. Questo è un aspetto oggi preso in considerazione soprattutto dalla storiografia anglosassone.
Nel complesso, la ricerca ha messo in luce come, nonostante gli atti di questi processi siano presenti negli archivi di diverse città europee, la Francia si riveli il terreno più fertile per indagini sul tema. Nelle fonti, il territorio francese ha una centralità ingombrante e questo limita l’approccio dello storico dal punto di vista geografico. Un ulteriore impedimento è emerso nello studio dei processi atti a punire rapporti carnali tra uomini e animali. In questo caso, infatti, le fonti mancano o si riducono a brevi testimonianze, dal momento che gli atti di tali processi venivano bruciati per prassi, volendo eliminare dalla memoria collettiva comportamenti considerati immondi. Nonostante le difficoltà, fonti primarie e secondarie hanno fornito particolari utili a spiegare la pratica e a contestualizzarla dal punto di vista sociale, culturale, economico, religioso, giuridico e simbolico. Resta infatti fondamentale andare oltre le apparenze e accantonare schemi mentali della propria epoca, così da portare avanti un’analisi approfondita non influenzata da letture anacronistiche.