A partire dagli anni Ottanta, il mondo ha subito importanti trasformazioni economiche, politiche e sociali che continuano a modellare la società ancora oggi. Ferruccio Capelli, direttore della Casa della Cultura di Milano, in una lezione tenutasi il 7 novembre all’interno del corso di Storia dei partiti e delle culture politiche di Daniela Saresella, ha inteso inquadrare in una prospettiva storica tali cambiamenti, per fornire una chiave di lettura del nostro presente. L’evoluzione degli ultimi decenni è caratterizzata dal fenomeno della globalizzazione neoliberale, prima con l’affermazione dell’unipolarismo statunitense, poi con la progressiva frammentazione dell’ordine mondiale e con l’emergere di nuove potenze economiche e politiche.
La globalizzazione neoliberale affonda le sue radici all’inizio degli anni Ottanta, quando gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno abbandonato il modello keynesiano, basato sull’intervento dello Stato e sulla regolazione dei mercati, che guidava le politiche economiche dalla fine della Seconda guerra mondiale, per abbracciare le teorie elaborate dai premi nobel Friedrich von Hayek e Milton Friedman. Queste idee, promosse dai governi di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, si basano su una visione radicale in cui lo Stato è considerato un ostacolo allo sviluppo e alla libertà di impresa, mentre il mercato è considerato l’unico regolatore dell’economia e della società.
Questa svolta neoliberale ha comportato una progressiva riduzione della capacità dei sindacati e persino degli Stati di incidere sullo sviluppo della società, la deregulation dei mercati finanziari e la liberalizzazione del commercio globale. Parallelamente, il processo di costruzione della Comunità Europea come mercato unico esemplificava questa tendenza a creare spazi economici unificati, in cui la libera concorrenza è l’unico motore di crescita e di regolazione nella società.
L’introduzione di nuove tecnologie e la rivoluzione informatica hanno accelerato questo processo, trasformando le economie globali. Nel 1994, con la fondazione del World Wide Web Consortium (W3C) da parte di Tim Berners-Lee, la comunicazione ha raggiunto traguardi impensabili solo pochi anni prima e favorito la nascita di colossi tecnologici come Google, Amazon, Apple e Facebook, che hanno saputo sfruttare l’assenza di regolamentazioni per accumulare ricchezze enormi, superiori persino al PIL di diversi paesi.
Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti sono emersi come l’unica superpotenza globale, dando inizio ad un’era unipolare in cui il mondo intero sembrava avviato verso un futuro di democrazia e libero mercato. Il cosiddetto “Washington Consensus” ha consolidato la supremazia statunitense, tramite l’imposizione di politiche neoliberiste ai paesi che necessitavano di finanziamenti internazionali e di un modello economico basato sulla supremazia del dollaro e sul controllo delle istituzioni finanziarie globali, quali il FMI e la Banca Mondiale.
Gli Stati Uniti hanno detenuto anche il controllo sullo scacchiere globale attraverso la forza militare, come dimostrato durante la prima guerra del Golfo, in cui sono riusciti a creare una coalizione internazionale per sconfiggere l’Iraq. Ciò ha determinato la capacità statunitense di imporre la propria visione del mondo e dell’economia e rafforzato l’idea, sostenuta dal politologo Francis Fukuyama, che la democrazia fosse destinata a trionfare e che fossimo di fronte alla «fine della storia».
Le crepe però hanno iniziato a manifestarsi con straordinaria rapidità: l’instabilità economica è emersa già con la crisi di Internet contemporanea alla crisi del Sud-Est asiatico del 1997, la crisi russa del 1999 e, infine, la crisi dei mutui subprime del 2008. Questi avvenimenti hanno dimostrato la vulnerabilità del sistema economico e costretto i diversi Stati a intervenire con massicci salvataggi bancari, svelando il paradosso di quello che Capelli ha definito un “socialismo per i ricchi”, in cui le perdite private venivano coperte con fondi pubblici, mentre i profitti rimanevano nelle mani delle élite economiche.
La crisi del 2008 ha rappresentato un momento fondamentale per l’Occidente, che si è trovato di fronte a una profonda recessione economica e a un aumento delle disuguaglianze sociali. Le politiche di austerità e i tagli al welfare, hanno generato malcontento e favorito la polarizzazione sociale, creando un terreno fertile per l’ascesa dei populismi di destra e di sinistra. Secondo Capelli, il populismo è un “farmaco” ai problemi sociali ed economici che derivano dall’erosione dello stato sociale e dalla frammentazione della società. Tuttavia, sebbene il populismo colga il malcontento diffuso, le sue soluzioni spesso risultano distruttive. Leader carismatici e autoritari fanno leva sul malcontento popolare, al fine di consolidare il proprio potere, utilizzando una retorica divisiva e creando nemici esterni allo Stato. In molti paesi occidentali, si è andato consolidando un nazionalismo aggressivo e conservatore, che si basa su un linguaggio violento e su concetti tradizionali come Dio, famiglia e patria, contrastando i principi di apertura e inclusività che avevano caratterizzato gli anni della globalizzazione. Gli Stati occidentali stanno creando, secondo Capelli, un vero e proprio “muro pre-illuminista”.
Mentre l’Occidente affrontava questi momenti di crisi, nuove potenze emergenti quali la Cina, la Russia, l’India, il Brasile e il Sudafrica si affacciavano sul mercato globale. Questi paesi, riuniti intorno all’acronimo BRICS, hanno formato una coalizione esclusivamente economica che rappresenta metà della popolazione mondiale andando a contrastare il dominio occidentale, attraverso la proposizione di un modello di sviluppo alternativo basato sulla sovranità economica. In occasione del XVI Vertice a Kazan (22-24 ottobre 2004), i BRICS hanno discusso l’idea di un sistema di pagamento alternativo allo SWIFT e al dollaro, che potrebbe minare il predominio statunitense e ridefinire gli equilibri del potere globale. La Cina, in particolare, è diventata un attore chiave nel nuovo ordine mondiale, con una crescita economica senza pari. Il suo modello di sviluppo politicamente autoritario ma economicamente efficace ha permesso un repentino incremento del reddito annuo pro capite impensabile nei paesi occidentali.
Questo cambiamento ha rappresentato una cesura dal punto di vista storico: per la prima volta dal XVI secolo, l’Occidente non è più l’unico potere globale, e un numero crescente di paesi cerca di svincolarsi dall’influenza delle sue istituzioni e di costruire relazioni economiche e politiche autonome. Le guerre degli ultimi due anni in Ucraina, Gaza e Libano sono testimoni di un ritorno ad un conflitto tra blocchi ideologici e dell’avanzare della cosiddetta “de-globalizzazione”: cambia rapidamente e bruscamente la narrazione, si inizia a parlare di scontro tra democrazia e dittature. Al contempo, i paesi occidentali hanno aumentato sensibilmente le spese militari in risposta all’insicurezza da loro percepita, andando ad alimentare una nuova corsa al riarmo che ha precedenti solo nella Guerra Fredda e che solleva interrogativi sulla capacità di prevenire una nuova guerra globale.
Come già anni fa aveva suggerito Papa Francesco, viviamo una “guerra mondiale a pezzi” alimentata della retorica dello scontro tra democrazia e dittature, che rischia di sfociare in un conflitto realmente mondiale. La globalizzazione ha inoltre tolto il potere agli Stati a vantaggio delle aziende private, che oggi hanno, quindi, un’influenza enorme sulla politica e sulla società. Le grandi corporations, come quelle gestite da Elon Musk, non solo influenzano l’economia statale e internazionale, ma esercitano anche un controllo senza precedenti su settori considerati strategici quali la tecnologia, l’energia e la comunicazione. Musk ha investito nell’energia nucleare, nelle infrastrutture spaziali, ma anche nell’ultima campagna presidenziale statunitense, dimostrando come gli oligarchi privati abbiano ormai un potere che va persino oltre quello degli Stati nazionali. Mentre alcuni paesi, in primis la Cina e la Russia, hanno imposto limiti al potere dei loro oligarchi per garantire stabilità economica e governativa, gli Stati Uniti non hanno affrontato direttamente questo problema, permettendo quindi che i poteri privati operino sempre più spesso al di fuori della regolamentazione statale.
Tutto questo lascia inevitabilmente aperte questioni di governance e sicurezza, poiché il crescente potere delle corporations potrebbe andare a minare sensibilmente la capacità degli stati di gestire le nuove sfide globali e di mantenere l’ordine mondiale. Le crisi attuali sottolineano l’urgenza di un dialogo internazionale che possa prevenire lo scontro e gestire le sfide globali, come il cambiamento climatico e la disuguaglianza economica. L’Occidente – auspica Capelli – deve imparare a interagire con le potenze emergenti in un sistema multipolare, accettando l’idea di una governance globale condivisa, che tenga conto delle diverse esigenze e priorità dei vari paesi. Il futuro richiede una classe politica in grado di gestire la complessità del nuovo ordine mondiale, scongiurando il rischio di uno scontro tra blocchi contrapposti e promuovendo il dialogo come mezzo per affrontare le minacce comuni.
Solo pochi mesi fa, Musk, cinicamente, ci ricordava che Hiroshima e Nagasaki «sono città vive, non è così spaventoso»; Immanuel Kant, già due secoli fa, ci avvertiva che il mondo è rotondo e che prima o poi saremo tutti costretti a incontrarci. Capelli ha mostrato come sia tra questi due estremi – l’indifferenza al rischio e la consapevolezza della nostra interdipendenza – che si gioca il futuro dell’umanità.
Maria Pappini