Cultura e potere nell’età dell’Umanesimo. Percorsi storiografici in memoria di Riccardo Fubini, a cura di Lorenzo Tanzini, Seminario di studi, Firenze 5 marzo 2021, Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”.
Interventi di: Enrico Spagnesi(Università di Pisa), Diego Quaglioni(Università di Trento), Nicoletta Marcelli(Università di Urbino), Isabella Lazzarini(Università del Molise), Fulvio Delle Donne(Università della Basilicata), Fabrizio Lelli(Università del Salento), Renato Pasta(Università di Firenze).
Il 5 marzo si è svolto un seminario di studi in memoria dello storico dell’Umanesimo e del Rinascimento Riccardo Fubini (1934-2018), già emerito di Storia del Rinascimento all’Università di Firenze. L’iniziativa, originariamente prevista per il 6 marzo 2020, è stata organizzata dall’Accademia di Scienze e Lettere “La Colombaria” di Firenze, della quale Fubini è stato socio e presidente della classe di Scienze storiche e filosofiche.
Il titolo scelto dagli organizzatori riflette icasticamente l’ampio spettro dell’attività storiografica di Fubini, il cui itinerario scientifico si è dispiegato lungo le dorsali della storia politica e della storia culturale fra Tre e Cinquecento, e ha anche riguardato l’Illuminismo. Del resto, Fubini avvertiva una ideale continuità degli argomenti trattati, che, come lui stesso ha scritto, miravano al «precoce delinearsi di una cultura critica, laica, individuale, caratterizzata dalla sua sfida alla Scolastica medievale, e che, nelle grandi linee, avrebbe avuto il suo compimento nelle correnti del grande razionalismo europeo, fino all’età dell’Illuminismo»1.
Gli studiosi intervenuti, da angolature molteplici e secondo le rispettive formazioni e specializzazioni, hanno presentato relazioni su temi cari a Fubini e da lui affrontati più o meno direttamente; questo è sembrato – come ha sottolineato Lorenzo Tanzini nell’introdurre i lavori – il miglior modo di celebrare lo studioso, il cui magistero già nel 2015 amici e allievi avevano omaggiato, secondo un approccio analogo, con il volume Il laboratorio del Rinascimento, curato dallo stesso Tanzini2.
Nella relazione introduttiva dedicata al rapporto tra Fubini e “La Colombaria”, o meglio alla loro goethiana «affinità elettiva», Enrico Spagnesi ha richiamato le origini settecentesche dell’attività editoriale colombaria, e segnatamente le idee-forza che hanno improntato l’Accademia: la gentilezza, contrassegno della «gens colombaria», che sussume curiosità e libertà dei soci nell’indagine e nel ricorso alle discipline storiche a torto ritenute ancillari (filologia, diplomatica, paleografia, cronologia ecc.). Idee-forza che hanno orientato Fubini nella sua opera rendendolo assai sensibile a quelle discipline e perentorio nell’asserzione che la conoscenza storica è la risultante dell’elaborazione di processi logici e della comparazione di fonti diverse. Spagnesi si è soffermato in particolare sui lavori più recenti di Fubini: l’edizione della Capponiera di Girolamo Muzio, uscita per Olschki nel 20173; lo scritto commemorativo per Francesco Adorno (1921-2010), apparso a stampa nel 2016 negli Atti e memorie de “La Colombaria”4; da ultimo la voce dedicata alla Donazione per l’Enciclopedia Costantiniana5.
Diego Quaglioni con l’intervento su Politica e cultura giuridica nel tardo Medioevo ha ricordato in prima battuta il ruolo di Fubini nella critica di posizioni ideologizzanti tese a separare i terreni di politica, diritto, cultura, istituzioni e ha ripercorso, con riferimenti a lavori editi ed inediti, alcuni assunti dello studioso a proposito dello “stato”, le cui mutevoli fisionomie erano colte da Fubini nei rapporti diplomatici e rispetto al retaggio medievale, secondo una prospettiva che riservava eguale attenzione alla storia del pensiero politico e alla storia delle istituzioni. Italia quattrocentesca rappresenta tuttora per Quaglioni un momento di insuperata importanza per le ricerche sulla problematica della statualità nel tardo Medioevo e nella prima modernità fiorentina6. Tali ricerche rendono ragione di un’epoca travagliata, stretta tra «innovazione arbitraria e reazione costituzionalistica», e nella quale la cultura giuridica medievale giocava ancora un ruolo primario. L’esito di quell’indagine portava Fubini a sostenere che lo “stato moderno” o “proto-moderno” non fosse il frutto della razionalizzazione bensì dei conflitti e della crisi del costituzionalismo medievale, del dissidio fra una tradizione dottrinale e una realtà che questa tradizione non riusciva più a normare. Fubini concludeva perciò che «la politica e tutto quel patrimonio di idee, comportamenti e cultura che essa comporta ed ingloba, usciva dal guscio della vecchia scolastica, che pur rimaneva la tradizione di dottrina ufficialmente professata ed accolta»7. Infine, altrettanto significativi ed esemplari del rapporto tra cultura politico-giuridica e cultura scolastica nutrita di istanze riformatrici sono per Quaglioni i contributi di Fubini su Machiavelli, Savonarola e Guicciardini8.
Le biografie umanistiche e artistiche tra Quattro e Cinquecento hanno costituito l’oggetto della relazione di Nicoletta Marcelli, che ha illustrato: una mappatura delle biografie letterarie nel periodo compreso tra Petrarca e Machiavelli; alcuni modelli letterari presenti nelle vite vasariane. Il genere biografico conobbe nel XV secolo una fioritura notevole, sulla scorta soprattutto della riscoperta delle vite plutarchee: emblematica al riguardo è la Cronica rimata di Giovanni Santi9. Tuttavia, il rapporto più o meno diretto tra biografie classiche e umanistiche e biografie d’artista – specialmente quelle di Vasari – va sempre vagliato tenendo presente, da un’ottica “pasqualiana” di storia della tradizione, la circolazione dei testi nonché il codice linguistico e la reale capacità di fruizione dello scrittore che si vuole esaminare. Il caso di Giorgio Vasari e delle sue Vite può ancora ritenersi non del tutto esplorato; restano per la relatrice alcuni interrogativi, a cominciare dalla formazione aretina e fiorentina dell’artista. La prosa vasariana denota una buona conoscenza delle lettere classiche, superiore a quella di molti suoi colleghi artisti; l’impostazione e le finalità delle Vite risentono di modelli biografici classici e umanistici. Tale filiazione dalla tradizione classica e umanistica si profila sul piano concettuale, ma non su quello stilistico. Piuttosto lo stile e il lessico vasariano sono assai prossimi a quelli di Machiavelli, in particolare del Machiavelli biografo, come attestano le campionature linguistiche e come Marcelli ha evinto dal confronto ravvicinato tra le biografie di Giotto e Pinturicchio e la Vita di Castruccio Castracani10. E la prossimità riguarda anche la novellistica, specialmente il best seller del Cinquecento, ovvero il Decameron11, con cui la studiosa ha rilevato profonde analogie paratestuali e tematiche. Le Vite vasariane risulterebbero dunque dall’originale contaminazione della biografia umanistica con la tradizione novellistica e le biografie machiavelliane.
Isabella Lazzarini è intervenuta sulla Formazione degli apparati statuali e la diplomazia, ribadendo la varietà di pratiche diplomatiche e forme di potere nel XV secolo e sottolineando l’importanza per gli studi di storia politica del nesso tra costruzione statuale e diplomazia. Lazzarini ha riflettuto sulle metodologie e gli esiti dell’indirizzo storiografico della new diplomatic history12, la cui fortuna in Italia è stata più limitata che altrove, in forza di un processo analitico, già in atto dagli anni Settanta, intorno al modello dello “stato territoriale moderno”. Quel processo ha incrinato tale modello, mettendo in discussione la stessa idea di modernità, e ha condotto a una concezione più calibrata e sfumata dello “stato”, sempre più inteso – secondo la definizione formulata da Giorgio Chittolini – quale sistema plurale di istituzioni, poteri e pratiche, contrassegnato da una programmatica permeabilità di forze13. Il che ha favorito una riflessione più circostanziata sulle varie forme della statualità tardo-medievale; inoltre, il concetto di entità statuali composite ha delineato un quadro di riferimento proficuo che può continuare ad essere un framework valido entro cui analizzare le interazioni di molteplici attori politici. In questo senso le ricerche recenti hanno beneficiato delle edizioni di carteggi: le corrispondenze diplomatiche più ricche permettono di avere contezza di eterogenei e complicati meccanismi politici e diplomatici; ma non solo, aprono squarci di storia politica e culturale. Lo dimostra la monumentale edizione delle Lettere di Lorenzo de’ Medici14, in parte curata da Fubini, che nell’introduzione a Italia quattrocentesca notava come durante il lavoro di edizione «le singole “lettere” […] si sono spesso rilevate autentiche punte di iceberg» e che «problemi storici, talora anche insondati, si presentavano in ogni momento»15. Infine, ha osservato la relatrice, occorre guardarsi dall’enfatizzare la pluralità delle forme del potere, ché si rischia di polverizzare il concetto di autorità pubblica e quello di iniziativa politico-diplomatica. Nondimeno c’è bisogno di ripensare la nozione di “stato” in un modo che, pur evitando il modello unico e teleologico ereditato dalle passate interpretazioni, quindi rifuggendo da posizioni totalizzanti, non privi di significato il concetto di autorità pubblica.
La cultura e l’immagine del potere nel Quattrocento signorile e regio è il tema affrontato da Fulvio Delle Donne, che in apertura ha evidenziato l’importanza del legame individuato da Fubini tra Umanesimo e politica, sia in sede repubblicana sia principesca. In particolare, il suo concetto di sovranità statale adombrava la distinzione tra repubblica e principato, accomunate dalla radice oligarchica e capaci di dar vita a una condivisa cultura politica che si esprimeva nelle cancellerie e nella visione umanistica16. L’attenzione di Delle Donne viene rivolta a un argomento non direttamente toccato da Fubini, ma indagato secondo le sue linee metodologiche, vale a dire il Regno di Napoli sotto gli Aragonesi. La presa del potere da parte degli Aragonesi, oltre a comportare un’alterazione dei principi di governo, poneva problemi di legittimità: non era sufficiente la doppia discendenza, sveva e angioina, pretesa dai nuovi sovrani; o meglio, la duplice discendenza aveva una valenza giuridica, ma non culturale e morale. Di qui il fervore intellettuale vissuto dalla corte sotto Alfonso il Magnanimo e i suoi successori: l’attività dei numerosi umanisti (Giannozzo Manetti, Antonio Beccadelli, Bartolomeo Facio, Lorenzo Valla) era spesso orientata ideologicamente ed era funzionale alla legittimazione e alla rivendicazione di uno spazio politico preminente. In questo senso va anche interpretato lo sforzo da parte di Alfonso di avviare una storiografia dinastico-celebrativa che rimandava a Firenze e a Roma: alle Historiae Florentini populi di Leonardo Bruni e alleoperedi Biondo Flavio, in quanto espressioni delle istanze dei rispettivi establishment17. La ricostruzione storiografica dunque era spesso espressione di organizzazioni statali nuove in cerca di legittimità e la rilettura dell’Antichità non costituiva un’operazione neutra e disinteressata. Infine, ha osservato il relatore, le direttrici della riflessione teorico-politica del XV secolo erano improntate alle diverse contingenze politiche, ma l’impianto culturale delle trasformazioni ideologiche era similare e rispondeva al bisogno di adattare modelli, ricavati dalla trattatistica, al mutevole panorama politico-istituzionale del periodo.
La storia delle comunità ebraiche nell’Italia medievale e rinascimentale ha costituito l’oggetto della relazione di Fabrizio Lelli, intitolata Gli studi ebraici e il Rinascimento italiano. Lelli ha approfondito alcuni problemi metodologici intorno a ricerche che hanno indagato i rapporti tra mondo ebraico e culture circostanti in Italia tra Quattro e Cinquecento, cercando di evitare i due principali modelli interpretativi in auge: quello «osmotico» e quello da lui definito «lacrimoso». Negli ultimi anni sono proliferati gli studi in materia di ebraismo medievale e moderno, grazie soprattutto alla riapertura al pubblico delle principali collezioni di manoscritti ebraici, di provenienza italiana, conservati nell’Europa orientale. Lo studio delle collezioni librarie permette infatti una ricostruzione storica delle vicende intellettuali e sociali e consente di seguire la dispersione e la peregrinazione del patrimonio culturale ebraico verso le regioni centro-orientali del continente europeo. L’ebraismo medievale e moderno secondo Lelli andrebbe studiato anche alla luce del contributo italiano all’elaborazione intellettuale, e non soltanto come eredità esclusiva del mondo sefardita e ashkenazita. Il problema della convivenza sociale e dei contatti culturali tra ebrei e non ebrei è aperto soprattutto per l’Italia meridionale, ove carente è la documentazione utile a una valutazione d’insieme, a causa della scomparsa delle comunità ebraiche nel XVI secolo. Recenti scoperte negli archivi siciliani consentono però di tracciare un quadro nel quale è possibile collocare personalità e testi che documentano affinità reali tra intellettuali e ambienti di fede diversa. Lelli ha portato gli esempi di Annio da Viterbo, Flavio Mitridate e Rabbi Samuel18. In conclusione, secondo il relatore una società a forte mobilità come quella ebraica può essere descritta solo tenendo presente la sua fluidità e la sua differenziazione interna, ricorrendo a modelli storiografici “integrativi” adatti a rilevare le interlocuzioni e i «rapporti negoziali» tra elementi ebraici e cristiani.
A Renato Pasta il compito di chiudere il seminario con un intervento sugli studi settecenteschi di Fubini. Il relatore ha sottolineato fin da subito come il riferimento all’Illuminismo in Fubini sia sempre stato operante sul piano civile e morale come «opposizione a ogni forma di monopolio dogmatico della verità». Pasta ha ricordato l’importanza per gli studi sull’età dei Lumi dell’edizione degli Scritti politici di Voltaire, uscita per UTET nel 1964, nella celebre collana dei classici del pensiero politico diretta da Luigi Firpo, e che venne accolta positivamente dalla critica19. A Voltaire Fubini aveva dedicato molti anni di studio, avvicinandovisi attraverso i lavori di Franco Venturi, Furio Diaz, Paolo Alatri e soprattutto Peter Gay20. Dalla ricostruzione storica di Fubini emergeva la coerenza di Voltaire, la sua capacità di adattarsi ai mutamenti politici senza tradire mai gli ideali di fondo, primo fra tutti l’ideale di una società più libera; dai suoi scritti traspare il «senso netto di frattura fra conformismo mentale ed una realtà che esige mutamento, impegno critico integrale»21. L’idea volteriana di libertà è più timida rispetto a quella di Diderot che si colloca al polo opposto dell’Illuminismo francese; il libertarismo di Voltaire contempla l’esigenza dell’ordine interno garantito dall’autorità, la quale è garanzia di civiltà e presidio all’imbarbarimento, e implica il rifiuto di forme di potere intermedie, specialmente dei parlamenti – ma guardava con simpatia al modello inglese. La monarchia illuminata dei filosofi in trono, cioè la sovranità vincolata alla ragione, avrebbe permesso la liberalizzazione e la razionalizzazione del rapporto tra governanti e governati; il fondamento di questa monarchia – che per Fubini non era necessariamente assolutistica – deve essere sempre la libertà e la tolleranza, religiosa e civile. A proposito del rapporto philosophe-politica, Fubini notava la vocazione militante, mondana e pubblica di Voltaire, la sua volontà di allargare il dibattito politico vestendo i panni dell’écrivain public e andando oltre la cerchia dei philosophes, distinguendosi in ciò da altri intellettuali, su tutti d’Alembert, più contemplativi e indifferenti alla prassi politica. Insomma, il Voltaire di Fubini è il testimone della transizione dalla clandestinità del libertinaggio all’opinione pubblica riconosciuta; non il fautore di una rigenerazione rivoluzionaria ma il sostenitore della libertà motrice della storia. Per Fubini, ha concluso Pasta, Umanesimo e Illuminismo erano idealmente congiunti nella figura di Voltaire, considerato, secondo il relatore impropriamente, come l’ultimo erede della grande famiglia umanistica, presso la quale – scriveva Fubini – «non è tanto da cercare un’elaborazione di concetti quanto una mediazione di cultura, non una costruzione volta al futuro, ma un affinamento critico in base a nozioni ricevuto, non che un’interpretazione delle esigenze più vive del presente»22.
Andrea Papi
Università degli Studi di Milano
1 R. Fubini, Introduzione a L’Umanesimo italiano e i suoi storici. Origini rinascimentali – critica moderna, Milano 2001, p. 10.
2 Il laboratorio del Rinascimento. Studi di storia e cultura per Riccardo Fubini, a cura di L. Tanzini, Firenze 2015.
3 G. Muzio, La Capponiera, con introduzione all’Autore, all’opera, testo e note a cura di B. Paolozzi Strozzi, R. Fubini, Firenze 2017.
4 R. Fubini, Francesco Adorno e i suoi contributi sull’umanesimo italiano del Quattrocento, in Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, voll. LXXXIX-LXXX, n.s. LXV-LXVI, aa. 2014-2015, Firenze 2016, pp. 123-136.
5 Id., La donazione di Costantino nel dibattito politico ed ecclesiastico (secc. XIII-XVI), in Costantino I. Enciclopedia Costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto Editto di Milano 313-2013, Roma 2013, vol. III, pp. 5-15.
6 R. Fubini, Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magnifico, Milano 1994.
7 Ibidem, p. 36.
8 Su questi autori Fubini è intervenuto a più riprese; di seguito sono citati solo alcuni studi: Id., Profezia e riforma nel pensiero di Girolamo Savonarola, in Scritture, carismi, istituzioni: percorsi di vita religiosa in età moderna. Studi per Gabriella Zarri, a cura di C. Bianca, A. Scattigno, Roma 2018, pp. 331-344; Id., Politica e morale in Machiavelli: una questione esaurita? e Legislazione e costituzione a Firenze dal regime mediceo a Guicciardini, in Politica e pensiero politico nell’Italia del Rinascimento, Firenze 2009.
9 Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Ottoboniano Latino 1305, c. 2r.
10 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, a cura di R. Bettarini, P. Barocchi, Firenze 1966-1987, voll. II-III; N. Machiavelli, Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, Roma 2010, t. I, Vita di Castruccio Castracani.
11 Boccaccio, Decameron, a cura di A. Quondam, M. Fiorilla, G. Alfano, Milano 2013.
12 In particolare, J. Watkins, Toward a New Diplomatic History of Medieval and Early Modern History, in «Journal of Medieval and Early Modern History», 38 (2008), pp. 1-14.
13 G. Chittolini, Il “privato”, il “pubblico”, lo Stato,in Origini dello Stato: Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, Bologna 1994 (Annali dell’Istituto Storico Italo-Germanico, 39), pp. 553-589.
14 Lettere di Lorenzo de’ Medici, dir. N. Rubinstein, Firenze 1977-2011, 16 voll. Riccardo Fubini curò i primi due volumi, ove sono raccolte le lettere degli anni 1460-1474 e 1474-1478.
15 Fubini, Italia quattrocentesca cit., p. 19.
16 Soprattutto in Id, Idea di Italia fra Quattro e Cinquecento, in «Geografia Antiqua», 7 (1998), pp. 53-66.
17 Significativi al riguardo i contributi di Fubini raccolti in Storiografia dell’umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, Roma 2004. In particolare, i saggi della Sezione Prima: Questioni generali di metodo e della Sezione Seconda: Storiografia fiorentina.
18 Figure ben note a Fubini, che del primo ha scritto, tra l’altro, la voce del Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 77, Roma 2012 (Annio da Viterbo è indicizzato col nome di battesimo, Giovanni Nanni). Più distesamente vi si è dedicato nei saggi: L’ebraismo nei riflessi della cultura umanistica. Leonardo Bruni, Giannozzo Manetti, Annio da Viterbo e Annio da Viterbo nella tradizione erudita toscana, ripubblicati in Storiografia dell’umanesimo cit.
19 Voltaire, Scritti politici, a cura di R. Fubini, Torino 1964. Nel 2006 è uscito per lo stesso editore il Trattato sulla tolleranza, estratto dagli Scritti politici.
20 P. Gay, Voltaire’s Politics. The Poet as a Realist, New Haven 1959 (trad. it. Bologna 1991).
21 R. Fubini, Introduzione a Voltaire, Scritti politici cit., p. 104.
22 Ibidem. Mi permetto di aggiungere che in quel torno di tempo, nel 1963, Fubini enucleava i termini di questa prospettiva “dall’Umanesimo all’Illuminismo” nella cronaca al convegno rinascimentalista dell’Università del Wisconsin, svoltosi nel 1959 (i cui atti sono pubblicati in The Renaissance: A Reconsideration of the Theories and Interpretations of the Age, ed. by T. Helton, Madison 1961). La cronaca si legge in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 25 (1963), fasc. 2, pp. 408-426 (pp. 409-410). Già negli anni Cinquanta la prospettiva periodizzante tre-settecentesca, benché in termini diversi, era stata posta da Delio Cantimori nei saggi Il problema rinascimentale proposto da Armando Sapori e Valore dell’Umanesimo, usciti rispettivamente nel ’57 e nel ’56, già raccolti in Studi di storia, Torino 1959, pp. 366-390 e, poi, il primo soltanto, nella silloge postuma Storici e storia, Torino 1971, pp. 597-609.