Cronaca della presentazione del volume “Women’s voices Echoes of Life Experiences in the Alps and the Plain (17th-19th Century)”, a cura di Stefania Bianchi e Miriam Nicoli, Editions Alphil, 2023

Il 14 marzo 2024, presso la sede di via Santa Sofia dell’Università degli Studi di Milano e nell’ambito del corso di storia della stampa e dell’editoria della professoressa Elisa Marazzi, si è tenuta la presentazione del volume Women’s voices, Echoes of Life Experience in the Alps and the Plain (17th – 19th Century) a cura di Stefania Bianchi e Miriam Nicoli, edito da Editions Alphil, Pressers universitaries suisses. A illustrarlo e discuterlo sono state la stessa professoressa Marazzi e la professoressa Raviola. La prima ha introdotto il volume nella sua struttura generale in quattro parti, affrontate successivamente dalle docenti in modo approfondito. La prima parte, infatti, si sofferma su tematiche di storia dell’alfabetizzazione e di cultura scritta, la seconda sui rapporti con l’autorità religiosa, la terza sulla vita delle comunità religiose e l’ultima sulla possibilità di accesso delle donne ai saperi pratici anche in formato scritto. Con una tale molteplicità di temi, il volume si presenta come una lezione di metodo applicabile a più campi di ricerca, dalla storia di genere a quella sociale, basandosi su differenti fonti, capaci di trasmettere la voce delle donne, anche se talvolta distorta da quella maschile.

Raviola ha sottolineato come la presentazione si ricollegasse idealmente all’8 marzo e come il volume stesso, edito in lingua inglese, voglia inserirsi in un panorama internazionale, tanto più che le fonti consultate furono redatte in tre lingue (italiano, francese e tedesco). Lungo un arco cronologico ampio ed inconsueto per la storiografia relativa all’età moderna, scelto per esaminare il tema femminile in rapporto con l’autorità, due sono i principali filoni di ricerca: la storia delle frontiere, come spazio osmotico, dinamico, di trasformazione e internazionale spesso descritto come “congelato” dalla storiografia, e l’”agency” femminile. La seconda parte del volume, Faith and Belonging: Personal Freedoms in the Confines Defined by Communities and Confraternities, è composta dai saggi di Marco Bettassa, Sandro Guzzi-Heeb, Aline Johner.

Nel primo, Women, Religious Conversions and Waldenesianism: Persistence and Room for Action (17th and 18th Century), si descrive la politica dei Duchi di Savoia e poi del Regno di Sardegna rispetto ai Valdesi, sulla base di istituzioni che videro le donne come loro perno. Fu il caso, ad esempio, della madre di Vittorio Amedeo II, Maria Giovanna Battista, che istituì una Casa di Rifugio dei Cattolizzati, oppure, del tentativo dei Savoia di convertire offrendo una dote ed un lavoro per chiunque avesse voluto spostarsi dalle valli del Pinerolo a Torino. Irrompe così un tema fondamentale nell’ambiente alpino, quello della migrazione, anche stagionale, condizionata dalle forme del potere e volta al controllo della fede e dello spazio montano.

Il secondo saggio, Women, Sex and Religion: Evolutions in Gender Relations in an Alpine Society between 1700 and 1850 a firma di Guzzi-Hebb prende le mosse dai documenti d’archivio con cui si illustrano il libertinismo sessuale delle donne e il rapporto con il clero. Viene considerato l’arco cronologico della Rivoluzione, per il quale si era già potuto parlare di “rivoluzione sessuale”, dovuta aun allontanarsi progressivo dalle norme sessuali imposte dalla costruzione sociale del genere. Se da un lato vigeva il libertinismo, dall’altro, mentre gli uomini si laicizzavano, le donne stesse occupavano gli spazi lasciati liberi nel campo religioso. Ciò accadde in particolare con le confraternite, anche di nuova fondazione. In esse le donne hanno trovato nella fede un proprio spazio “politico e morale” sul territorio, manifestando una società al femminile, in cui le donne sono tutrici di un ordine morale.

Il terzo saggio, An Increasingly Gendered Religion: the Targeted Audience of Brotherhoods in the Valais Alps (18th- 19th Centuries) di Aline Johner, si ricollega a quello precedente, occupandosi della composizione sociale nelle confraternite.

Entrambi gli autori, per fare emergere la voce femminile, hanno eseguito anche un’analisi quantitativa e non solo qualitativa delle fonti, dimostrando il proliferare delle confraternite al femminile in spazi fisici e virtuali. Sia d’esempio la confraternita del Sacro Cuore, che fu rifondata nel 1805 e che perseguì nuovi canoni, come la pratica delle quarant’ore in ambito funebre, recuperando una forma di religiosità quasi barocca e un aiuto concreto agli ammalati e agli orfani, spesso figli di quel libertinismo che caratterizza il periodo. La confraternita, infatti, diventa un’istituzione ove avviene un recupero della rispettabilità per le donne macchiate da peccati di libertà sessuale e allo stesso tempo diventa uno strumento di riconquista sociale in mano alla Chiesa.

Per la terza parte del volume, Duties and Rights: the Alchemy of the Female Economic Contribution in Patriarchal Society, Raviola ha evidenziato la centralità del tema economico. Il saggio di Marina Cavallera, The Contradictory Condition of Women: Legal Immobility and Social Dynamics in Pre-Alpine Lombardy in the Early Modern Age, si concentra, infatti, sulla città di Varese. La posizione vicina alle Alpi Centrali permise al centro urbano di assumere uno sviluppo mercantile, aperto alle montagne come zona di transito. L’autrice ha indagato dunque come le donne si muovessero dallo spazio alpino alla città e con quali modalità entrassero a far parte dei circoli di affari commerciali. Ne sono un esempio le proto-industrie della filatura, della bachicoltura, collegate anche al territorio lacustre, come è il caso di Porto Valtravaglia, in cui si instaurarono dinamiche di patronato fra donne e mutuo soccorso.

Il saggio di Stefania Bianchi, Women, Judges and Notaries: the Legal Rights of Women in the Italian Part of Switzerland (17th-19th Centuries), sposta l’oggetto del tema, esaminando oltre centoventi processi e i loro capi d’imputazione. Ricorrenti furono le accuse di stregoneria e infanticidio alle donne. Il primo fu assai presente in campo alpino, il secondo fu spesso assunto come rimedio per i figli illegittimi. Da questa tipologia di fonti è emersa pertanto una riflessione lessicale e sociale. È da notarsi difatti sia un lessico notarile, che, temprato dalla figura maschile del notaio, preme sul concetto di “imbecillità femminile”; sia, d’altra parte, una maggiore responsabilità sociale che le donne hanno acquistato in un contesto montano, come tutrici o depositarie del sapere famigliare, data l’assenza dei mariti per motivi di sussistenza, come le migrazioni lavorative, o di politica, come la chiamata alle armi.

La prima parte del volume, Agency and Daily Life: Material Needs and Feelings in Womens’s Writing, e la quarta, Bodies and Destinies: Wet Nurses, Healers and Victims of Violence, sono state presentate dalla professoressa Marazzi.

Agency and Daily Life: Material Needs and Feelings in Women’s Writing è la sezione posta all’inizio della pubblicazione e composta da tre saggi, che si concentra su un gruppo, relativamente omogeneo, di donne facenti parte della piccola aristocrazia e borghesia; le protagoniste del saggio non ebbero accesso alla cultura né fu loro concesso di amministrare i propri beni. Le fonti impiegate per la stesura di questa ricostruzione sono molteplici, spaziano dalle corrispondenze agli scritti di propria mano, ma in tutte le donne riescono a far emergere la propria voce.

Il saggio di Miriam Nicoli, A Network of Words: Three generation of Women in the Records of an Alpine Family (18th-19th Centuries), tratta della famiglia a Marca di Mesocco, nel Cantone svizzero dei Grigioni, utilizzando le fonti epistolari. Le donne appartenenti a tale nucleo famigliare, fra i più importanti del cantone, scrissero per mantenere legami famigliari, relazioni sociali ed economiche e per accrescere il prestigio commerciale della propria famiglia. Il genere epistolare costituiva per le donne alfabetizzate un’occasione di educazione alla scrittura e il veicolo principale attraverso cui esprimere i propri sentimenti e opinioni. Solo tale tipologia di scrittura era infatti tollerata dalla società di Ancien régime, perché si trattava di un mezzo per espletare una funzione ritenuta prettamente femminile: la gestione domestica. Le Alpi divennero un territorio estremamente alfabetizzato, perché, oltre all’influenza della Riforma, costituivano un territorio economicamente vivace, di passaggio, in cui emergeva la necessità di scrivere per consolidare i legami commerciali, ancor prima che per mantenere quelli famigliari.

Writing in Absence: Being Seigneuresses in the French pre-Alps in the 18th Century è il saggio di Camille Caparos, nel quale si descrive come alcune donne aristocratiche o alto-borghesi, trovandosi in una situazione di assenza del marito amministratore dei beni, riuscirono ad affermare la propria “agency”. I casi sono quelli di Françoise de Escragnolle e di Henriette Louise de Fresse de Monval.

La prima intrattenne una corrispondenza con il marito impiegato in affari diplomatici e militari e si sostituì alla sua figura nella gestione dell’attività. L’“agency” femminile però non si esplicitò solo sotto questo aspetto: Madame de Escragnolle scrisse anche un giornale d’educazione, in cui rendeva conto del processo educativo del figlio, su cui, tramite questo mezzo, mantenne sempre una notevole influenza anche quando costui la lasciò per seguire il padre.

La seconda protagonista del saggio, invece, profittando dell’assenza del marito, rendicontò su un registro la propria amministrazione dei beni famigliari. Questa presa di posizione in una situazione economico-amministrativa fu, come ha sottolineato la relatrice, particolarmente significativa, perché da una parte le consentì di mettere a frutto l’educazione collegiale ottenuta, dall’altra perché la condusse ad assumere un ruolo ascritto esclusivamente al capofamiglia. Marazzi, nel ripercorrere il saggio della collega, ha evidenziato però una questione di tipo documentario di massima importanza, ovvero che il registro scritto da Henriette de Fresse de Monval era stato archiviato sotto il nome del marito di Henriette, non consentendo, a una ricerca superficiale, di comprendere il ruolo ricoperto da questa donna. È il superamento di una visione superficiale delle fonti, infatti, che caratterizza l’eccellenza metodologica del volume, permettendo al lettore di sentire le voci delle donne del passato, come nel caso del saggio di Caparos.

L’ultimo saggio della sezione, di Ernest Menolfi, Sabine Gonzenbach’s Report About her Unhappy Marriage, or an Egodocument With a “Second Truth”, è incentrato su uno scritto di Sabine Gonzenbach redatto per denunciare una situazione famigliare sfavorevole. Sabine faceva parte di una famiglia svizzera attiva nel settore tessile, e fu in grado di restituire, tramite questo scritto la propria opinione, facendo cogliere quelli che sono i rapporti di genere. La fonte, che fu anche soggetta di una storia editoriale mancata, è anch’essa un esempio di riflessione metodologica che manifesta l’importanza di contestualizzare e, in base a questo, interpretare le fonti.

La quarta parte del volume è illustrata dalla relatrice a partire dall’ultimo saggio che la costituisce: Responding to Sexual Violence. Female Agency and Rape Trials in the Province of Como (1820-1833), di Federica Re. L’autrice si è concentrata sui casi di violenza sessuale nel primo Ottocento e ha constatato come le fonti processuali, sebbene sempre mediate dagli uomini che raccoglievano le deposizioni, fossero l’unica occasione di sentire le voci di determinate categorie di donne. In questo saggio importanza centrale rivestono i ruoli famigliari e i ceti sociali. Se accompagnate, sostenute da questi, le donne si prestavano maggiormente alla denuncia dell’abuso. Questo accadeva specialmente se gli uomini delle famiglie di appartenenza delle donne non erano presenti nel contesto montano, a causa, ad esempio, della guerra e quindi l’ambiente diventava al femminile, cerando legami solidali e di mutuo soccorso. Il tema della violenza ritorna nel saggio di Rolando Fasana, The Unsaid of Microhistory: Anthroponymy of Wet-Nurses of Southern Ticino and the Ancient Province of Como (18th-19th Centuries), in cui l’autore delinea come le donne vittime di violenza per sopravvivere alle gravidanze che ne risultavano decidessero di abbandonare i propri figli o, nei casi più estremi, macchiarsi di infanticidio. Spesso per sostentarsi badavano alla prole altrui ed erano impegnate come balie al termine della propria gravidanza. Questo aspetto faceva in modo che le balie non godessero di una buona reputazione nella società e anche per questo motivo i contratti per tale lavoro avvenivano esclusivamente fra uomini delle due famiglie, quella della balia e quella del bambino. È stato dunque difficile, si sottolinea, recuperare i nomi delle balie, perché, nei documenti d’archivio, risultano i nomi di chi ha siglato i contratti. Tuttavia, nella ricerca dell’autore una prospettiva microstorica consente di riscriverne le storie delle donne. Da ciò è emerso anche un interessante contrasto con la reputazione delle ostetriche, che, al contrario delle balie, sono associate alla vita per il loro mestiere, non vigendo su di loro nessun pregiudizio legato alle morti bianche. Proprio le ostetriche sono l’oggetto del saggio di Madline Favre What Sources Can We Use to Document Women’s Role in Health Practices in the Alpine Context? The Case of Valais in the 18th and 19th Centuries. L’autrice ha evidenziato come le ostetriche che lavoravano negli ospedali fossero residenti nei centri urbani e quindi come i documenti riguardanti le zone alpine non ne parlino. Per indagare dunque altre attività di cura femminili si  è eseguita una disamina di fonti iconografiche, in particolare gli ex-voto, che manifestano come la cura dei malati fosse affidata, nella società di antico regime, alle donne. Su questo ultimo punto, è stato proposto come esempio il caso dell’attività officinale a conduzione famigliare dove le donne assunsero ruoli cardine.

A conclusione della presentazione sono state invitate dalle docenti relatrici le curatrici e autrici Marina Cavallera e Patrizia Audenino.

La prima ha sottolineato come siano state numerose le sollecitazioni del volume, che riesce a delineare come la violenza sulle donne fosse trasversale ai ceti e come queste combattessero e aspirassero ad una posizione paritetica a quella dell’uomo. Tale processo fu lento e molto spesso non riuscito, come altresì è stato lento l’avvicinamento degli studi al mondo alpino e femminile.

Una prima storiografia, infatti, intendeva il mondo alpino come “chiuso” e “disabitato”, essendo la stessa in difficoltà concreta davanti alle scarse fonti. Tuttavia, se adeguatamente cercata, la donna alpina ne emerge.

Generalmente, nella società di Ancien régime, la donna fu subordinata all’uomo e dovette cercare il proprio marito all’interno della comunità. Infatti, fu strettamente legata al patrimonio, che diventò una questione politica: se ella lasciava la comunità, lo faceva anche il patrimonio. Ecco che allora fu imperativo un investimento all’interno della comunità. Nelle Alpi Centrali, invece, su questi aspetti vigevano differenti posizioni, essendo il territorio montano di transito e vicino ai laghi. La storiografia che indaga gli ambienti montani allontanandosi dalla concezione di ambiente chiuso ha notato come la montagna fosse prima descritta da chi l’attraversava e poi da chi la visse. Con Jean Bergier, nel secolo scorso, si inaugurò infatti la storia della montagna “dal di dentro”, con l’aiuto della figura dell’antropologo. Emerse così il concetto di “emigrazione di mestiere”, secondo cui si instaurava nei piccoli centri abitati montani una collaborazione fra gli abitanti e colui che, essendo andato a cercare una formazione professionale altrove, faceva ritorno al suo paese. Quella montana si manifestava pertanto come una società dinamica, gestita al femminile sebbene in modo gerarchico, che, tuttavia, fece comprendere alle donne la volontà -e conseguentemente il dover assumere le capacità- per arrivare a pretendere un ruolo paritetico con l’uomo.

Patrizia Audenino, invece, nel suo intervento si è concentrata sulle fonti e sullo sguardo storiografico che trasmette l’“agency”. In base ai diversi temi, infatti, nel volume, emergono molteplici fonti, quelle epistolografiche e memoriali, che trasmettono maggiore coscienza di sé; quelle delle istituzioni ecclesiastiche, che lo storico deve interpretare, essendo mediate dall’autorità e dall’uomo; quelle notarili e processuali, dalle quali emergono una resilienza e solidarietà e quelle della demografia storica e degli ex voto, che dimostrano un ruolo femminile trasmesso da generazioni.

La relatrice conclude concettualizzando che la scelta geografica delle Alpi è storiograficamente importante, perché, con tutte le caratteristiche enunciate dal volume, è un laboratorio -forse un caso più unico che raro- in cui si può sviluppare la storia di genere.

Il volume Women’s voices, per i diversi aspetti della vita sociale, politica, privata delle donne nelle Alpi, costituisce un esempio di come, per cercare le voci delle donne nella storia, sia necessario adottare una prospettiva metodologica che sappia andare oltre le apparenze che può trasmettere una fonte, oltre ai pregiudizi storiografici. È, insomma, un modello per gli studiosi e le studiose che vorranno far sentire la tanto flebile e sfuggente, quanto forte e bisognosa di riscatto, agency femminile.


Flavio Luigi Fortese