“Rivoluzione pacifica”, periodo lungo circa un anno che tra il 1989 e il 1990 vide scendere in piazza migliaia di cittadini della Germania Est che chiedevano libertà e diritti, è il termine scelto da Costanza Calabretta per caratterizzare tutto il suo lavoro di tesi di dottorato (2016, presso Università La Sapienza, Roma), da cui è nato poi questo volume. Il titolo completo, Rivoluzione pacifica e Unità. Celebrazioni e culture della memoria in Germania (1990-2015), ci rivela però un lasso temporale decisamente più ampio e un campo di studi ben definito, quello della cultura della memoria, in un Paese in cui sicuramente non è facile (se non addirittura impossibile) individuare un’unica memoria collettiva.
Partendo proprio da questa premessa Calabretta introduce il contesto in cui ci troviamo nel 1990, anno in cui le due Germanie tornarono ad essere formalmente una sola: due Stati che per mezzo secolo hanno vissuto vite parallele e ben separate da un confine invalicabile, improvvisamente si trovano a discutere di come festeggiare una presunta uguaglianza sia politica che culturale. Bisogna fare i conti con il passato, non solo comunista, ma anche nazista, e trovare un elemento in comune che tutti possano definire “la festa dei tedeschi”. Proprio di questo si dibatte nel 1990 al Parlamento, dove è necessario mettere d’accordo tutti i rappresentanti politici, sia dell’Est che dell’Ovest, in modo da riuscire a trovare un punto in comune a tutti i cittadini che di lì a breve sarebbero tornati a vivere sotto un’unica bandiera (quella dell’Ovest), a cantare un unico inno (sempre quello dell’Ovest) e a festeggiare un’unica data, che dovrebbe essere decisa tra una serie di avvenimenti fondamentali per la storia tedesca.
L’autrice prende in esame tre date tra quelle che si discutono in Parlamento: il 3 ottobre, il 9 novembre e il 9 ottobre, tra le quali il futuro governo riunificato dovrà decidere quale designare a festa nazionale. Una scelta fatta forse troppo rapidamente e molto contestata vedrà il 3 ottobre, data in cui la DDR cessò di esistere e confluì nell’ex Germania ovest, realizzando così la riunificazione del paese. Una data fredda, priva di sentimenti positivi e poco sentita dai tedeschi, che invece avrebbero preferito di gran lunga il 9 novembre, data in cui nel 1989 il Muro di Berlino venne abbattuto, decretando la fine formale del potere comunista. Ma il 9 novembre per i tedeschi non è solo la giornata della caduta, è il “giorno del destino” (Schicksalstag): in questa data si accavallano svariati eventi della storia della Germania, come la proclamazione della Repubblica di Weimar (1918), il putsch di Monaco (1923) e la notte dei cristalli (1938). La data viene quindi esclusa a priori dalle associazioni ebraiche come da quelle antifasciste e in misura minore anche da quelle correnti che, nostalgiche della caduta della DDR, non vedevano nella caduta del Muro una ritrovata libertà, ma smarrimento e confusione.
Ci si rivolge allora al 9 ottobre 1989, data in cui durante una delle consuete manifestazioni del lunedì (Montagsdemo) diventate appuntamento fisso per tutti i tedeschi dell’Est dagli inizi dell’anno, 70.000 persone sfilarono per il centro di Lipsia chiedendo a gran voce libertà e diritti, di fatto accelerando il processo che avrebbe portato, esattamente un mese dopo, alla caduta del Muro. Venne evitata anche questa data, per scongiurare la possibilità che si potesse pensare alla DDR come autrice della riunificazione tedesca. Nel 1990 in Parlamento si guarda già avanti e prima ancora che la Repubblica Democratica sia finita, si pensa già a come oscurarla e renderla un fenomeno il più piccolo possibile, per evitare che la riunificazione venga ulteriormente osteggiata da coloro che nel socialismo credono ancora.
Proprio per evitare eccessivi coinvolgimenti politici e sentimentali, la scelta definitiva ricade sul 3 ottobre, nonostante le contestazioni e le proteste che in alcuni casi arrivano a definirla il giorno dell’Anschluss (annessione), proteste dettate principalmente dall’assoluta mancanza di associazioni positive con la data, di fatto scelta a tavolino e imposta ai tedeschi. Dal 1990 il 3 ottobre è diventato il giorno della riunificazione e viene festeggiato ufficialmente ogni anno in una città diversa, proponendo spettacoli, concerti, feste di piazza e mercatini gastronomici, puntando di fatto ad elementi poco, se non per nulla, divisivi e avvicinandosi sempre di più ai giovani e ai turisti. Oltre all’intrattenimento, si cerca di puntare sulla cultura, sulla memoria e sul ricordo, con mostre, proiezioni e convegni che ripercorrono tutta la storia del Paese, evitando attentamente qualsiasi riferimento militare o bellico, argomenti ancora “caldi” e divisivi non solo per i tedeschi, ma anche per tutti coloro che guardano la Germania da fuori. Nonostante questi sforzi soprattutto nei primi anni si assiste a numerose contestazioni, anche con scontri tra manifestanti e polizia, talvolta con l’intrusione di gruppi neonazisti e antisemiti, contestazioni che fortunatamente col passare degli anni sono andare a scemare fino a scomparire quasi del tutto.
Nelle conclusioni l’autrice tira le fila di tutto il discorso, sottolineando nuovamente come il 3 ottobre abbia il grande pregio di essere una data “neutra” e quindi ha avuto il grande vantaggio di poter essere creata da zero e orchestrata nei minimi dettagli per ottenere una celebrazione della Germania più che di un evento della storia tedesca. Nel corso degli anni, inoltre, la politica delle celebrazioni improntate sul dialogo e la riflessione ha permesso di creare un’immagine sempre più neutra della DDR, che è stata riscoperta e studiata con la dovuta attenzione, senza eccessivi pregiudizi, permettendo di ottenere un quadro il più possibile veritiero di ciò che era la vita oltre il Muro. Si chiede inoltre cosa succederà nel futuro, in che modo le celebrazioni proseguiranno man mano che le generazioni cambiano e anche i ricordi legati alla separazione delle due Germanie diventeranno sempre più lontani.
Queste tre date, trattate singolarmente in tre capitoli preceduti da un’introduzione e un prologo dedicato al 17 giugno 1990, giorno che ricorda le proteste operaie del 1953 nella Germania Est, festa nazionale della Repubblica Federale fino al 1990 (altra grande esclusa dalla rosa di possibili date per le celebrazioni dell’unità tedesca), vengono analizzate attraverso fonti giornalistiche, documenti ufficiali, trascrizioni di sedute parlamentari e materiale video che riprende le varie celebrazioni durante gli anni. Il grandissimo numero di fonti consultate, che si rende evidente alla fine di ogni singolo capitolo, dove vengono elencate per diverse pagine, permette all’autrice di creare un quadro preciso e dettagliato di quelle che sono state le celebrazioni, le polemiche, le scelte politiche e i contesti sociali in cui nel corso di 25 anni (1990-2015) la Germania ha cercato di creare da zero un nuovo sentimento unitario e di renderlo un momento non solo di festa, ma soprattutto di memoria e riflessione sul lungo e articolato percorso della propria storia.
Ma probabilmente proprio a causa di questo livello di dettaglio ricercato dall’autrice in riferimento alla storia tedesca, si perde un po’ la percezione di tutto quello che succedeva contemporaneamente fuori dalla Germania, come spiega anche Gabriele d’Ottavio nella sua recensione al volume (I libri del 2019 / 2, in «Il mestiere di storico», XII / 2, 2020, p. 131). Inoltre, talvolta il testo risulta estremamente didascalico, quasi cronachistico, senza lasciare spazio a riflessioni personali o interessi particolari dell’autrice, mancando quindi di un punto di vista che possa essere di spunto ad eventuali studiosi che si trovino ad affrontare il volume. “Sparisce la voce dell’autrice”, come riportato anche da Teresa Malice nel suo commento all’opera (in: ARO – Annali Recensioni Online, IV, 2021, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/2/rivoluzione-pacifica-e-unita-teresa-malice/), ma probabilmente la causa di questa neutralità forzata è anche da ricercare nel fatto che il volume è stato concepito come tesi di dottorato. Un’ulteriore perplessità è suscitata dalla tendenza a ripartire da capo in ogni capitolo, ripetendo più volte gli stessi concetti e rispiegando da zero gli stessi eventi, modalità narrativa che a lungo andare rischia di far perdere il focus sul vero argomento del capitolo.
Sicuramente il libro ha il pregio di essere un ottimo punto di partenza per espandere il discorso della cultura della memoria e delle politiche della memoria della Germania, tema che proprio a causa dell’estrema complessità della sua storia recente può offrire interessanti prospettive di studio. In generale si può affermare che il volume apre la strada a tutti gli studiosi di comunicazione storica e public history, dimostrando con forza come anche la storia recente possa essere analizzata e interpretata con assoluta sicurezza e in maniera convincente, senza che sia necessario farla “sedimentare” troppo a lungo.
Agnese Soldati