Il workshop internazionale “Cittadinanza e corruzione nel mondo antico” (“Citizenship and Corruption in Antiquity”) si è tenuto nelle giornate del 12 e del 13 gennaio 2023 presso l’Università degli Studi di Milano, ospitato dal Dipartimento di Studi Storici e coordinato da Lucia Cecchet (Università degli Studi di Milano), Laura Mecella (Università degli Studi di Milano) e Filippo Carlà-Uhink (Università di Potsdam). I due temi portanti del convegno, la cittadinanza e la corruzione, traggono origine da due progetti di ricerca, rispettivamente “Citizenship and Identity in Post-Classical Asia Minor”, condotto da Lucia Cecchet presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano, e “Twisted Transfers: Discursive Constructions of Corruption in Ancient Greece and Rome”, progetto congiunto delle Università di Potsdam e di Durham condotto da Filippo Carlà-Uhink e Marta Garcia Morcillo.
Il convegno si è aperto con i saluti istituzionali di Andrea Gamberini e Marina Gazzini. Gamberini, direttore del Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano, ha sottolineato la pregnanza della storia antica nell’ambito delle scienze storiche, nonché la fecondità del dialogo tra le varie epoche, nel senso di una Storia non più incasellata in rigide periodizzazioni. La necessità messa in luce è quella di analizzare fenomeni di lunga durata in senso diacronico. Gamberini ha sottolineato come il tema del rapporto tra cittadinanza e corruzione si presti certamente bene allo studio in senso diacronico e ha ricordato come il tema sia di fondamentale importanza anche negli studi sulla città medievale e il suo corpo civico. In una simile direzione è andato anche l’intervento della professoressa Gazzini, membro del collegio della Scuola di dottorato in Studi storici, che ha anche messo in luce l’importanza dello studio della storia come life-long learning.
I temi portanti del convegno sono stati sinteticamente introdotti dagli organizzatori, che li hanno esemplificati e non hanno mancato di evidenziarne alcuni paralleli con l’età contemporanea. È stata fornita una definizione di ‘corruzione’ nel senso dell’inglese corruption, in contrapposizione a bribery: il concetto, in sostanza, non si limita a comprendere la dorodokia, ovvero l’offerta di doni o denaro ‘illeciti’, ma si estende alla nozione di corruzione dell’ideale stesso del buon cittadino e della buona cittadinanza. Tale distinzione permette di adottare una prospettiva più ampia, relativa anche all’autorappresentazione del cittadino e alle caratteristiche della retorica pubblica volta a promuovere un’immagine di condotta civica ideale, un aspetto trattato soprattutto negli interventi relativi al mondo greco.
I coordinatori hanno poi sottolineato l’importanza dei detti temi nel dibattito scientifico odierno. Nella storia degli studi sulla cittadinanza nel mondo antico si sono avvicendati due tipi di approccio differenti, uno maggiormente ‘istituzionalista’, basato sullo studio delle ripercussioni giuridiche e sulle istituzioni associate allo status di cittadino, e uno meno tradizionale, che analizza soprattutto il modo in cui l’essere cittadino e l’identità civica sono costruiti a livello ideologico e all’analisi dell’aspetto performativo di tale condizione.
L’analisi congiunta di questi due ambiti di studio può dare adito a nuove prospettive di ricerca, che intersecano piani diversi: infatti, l’ambito propriamente ideologico e retorico è inscindibile dalla prospettiva storico-giuridica e dallo studio delle istituzioni.
La key-note lecture, dal titolo “Corrupting the ‘Gift’ of Citizenship – The Case of Livy’s Republican Rome”, è stata tenuta da Shushma Malik, docente di storia romana presso l’Università di Cambridge. L’ intervento ha riguardato le modalità di concessione collettiva della cittadinanza nel contesto bellico della Roma repubblicana e le propaggini di natura sociale e politica di tale fenomeno secondo la peculiare visione di Livio, una delle principali fonti a nostra disposizione per il periodo in questione. Nel quadro delle prime guerre contro le popolazioni italiche, che hanno avuto importanti implicazioni nell’espansione successiva di Roma, Livio ritiene che alcuni elementi della strategia di concessione della cittadinanza fossero ‘corrotti’. La cittadinanza può essere ‘data’, ‘donata’ o ‘condivisa’; l’abuso di tale procedura in un contesto di guerra, secondo Livio, costituirebbe una forma di corruzione. L’intervento di Malik ha dato poi l’avvio a una breve ma vivace discussione con Filippo Carlà-Uhink e Lucia Cecchet sul caso di Apollodoro, figlio di Pasione, presentato come esempio di cittadino naturalizzato ateniese che si sente in dovere di ostentare comportamenti civici.
Il convegno è proseguito, sotto la moderazione di Lucia Cecchet, con la sessione degli storici greci, che hanno esplorato prevalentemente il tema della cittadinanza e della corruzione degli ideali civici. In prima istanza, Stefano Ferrucci (Università di Siena) ha proposto un intervento dal titolo “Onori o guadagno? L’elaborazione di un topos nel discorso pubblico ateniese”. La relazione era incentrata sul tema della contrapposizione tra obblighi pubblici e interessi privati, centrale nella definizione della democrazia e della cittadinanza ateniesi. A partire dall’analisi del lessico dell’onore (time) e del guadagno (kerdos), lo studioso ha delineato concetti antitetici come la philotimia, che si afferma progressivamente come virtù civica che segnala l’attiva e generosa partecipazione dei cittadini alle funzioni pubbliche, e la philochrematia e l’aischrokerdeia, attitudini che privilegiano il guadagno personale. L’analisi ha spaziato, nelle fonti, dall’epitaffio di Pericle contenuto nell’opera di Tucidide alle orazioni giudiziarie ateniesi. Al centro è l’autorappresentazione dell’idea di cittadinanza che viene negoziata, ridiscussa e ridefinita nei diversi ambiti, in relazione alla forza ‘corruttrice’ della ricerca del guadagno e dell’avidità individuale. A seguire Laura Loddo (Università Cattolica di Milano) ha presentato la relazione “Norme sull’accoglienza degli esuli in un trattato fra Sinope ed Eraclea Pontica (I.Sinope 1)”. La studiosa ha analizzato una clausola di un trattato di alleanza, attestato per via epigrafica, tra Sinope ed Eraclea Pontica, concernente il trattamento dei rispettivi esuli. La tesi di fondo proposta è che le città firmatarie dell’accordo consentirono ai propri esuli di risiedere nel territorio della città partner, si preoccuparono di istituire procedure condivise, da adottare nel caso in cui gli esuli avessero commesso ulteriori crimini nella città ospitante, e stabilirono al contempo che l’accoglienza degli esuli non avrebbe inficiato la validità dell’alleanza. Le ragioni di questa concessione sono da ricercare in una serie di fattori: la consapevolezza che gli esuli più politicizzati tendevano a insediarsi vicino al loro paese d’origine; l’importanza di assicurarsi l’alleanza di una potente città vicina contro la minaccia rappresentata dagli esuli; il riconoscimento di una situazione di fatto, cioè la presenza dei propri esuli nel territorio della città con cui si stava stringendo l’alleanza. Il caso dell’esilio, quindi, è stato discusso come interessante caso di cittadinanza al di fuori della città di origine. A chiusura della prima giornata, infine, si è collocato l’intervento di Serena Barbuto (Università degli Studi di Milano) dal titolo “Amnistia e cittadinanza a Dikaia: un caso di studio”. La studiosa ha trattato il caso di un’iscrizione rivenuta nella città di Dikaia, nella Penisola Calcidica (SEG 57, 576), che testimonia un trattato di riconciliazione a seguito di una stasis datato al 362/1 a.C. le cui clausole comprendono anche un’amnistia. Tramite la prescrizione di me mnesikakein (‘non serbar rancore’), il re macedone Perdicca III proibì di perseguire in giudizio i responsabili di qualunque crimine commesso durante la guerra civile. A tale provvedimento la polis affiancò, nel terzo decreto, la possibilità di giudicare le cause di omicidio intentate prima dello scoppio della stasis nel giorno 26 di Dafneforione; le azioni non giudicate sarebbero state dichiarate ἀπόκλετα, ovverosia sarebbero state annullate. La prospettiva adottata vede l’amnistia come uno strumento di ridefinizione del corpo civico, attuata, principalmente, tramite la condanna all’atimia e all’esilio. La cittadinanza, in questo quadro, si presenta come un concetto fluido, manipolabile a seconda delle vicissitudini storiche e delle esigenze politiche.
La seconda sessione, svoltasi nella mattina del giorno 13 gennaio, è stata dedicata agli interventi di storia romana ed è stata moderata da Laura Mecella e Maria Dell’Isola. I lavori si sono aperti con la relazione di Michele Bellomo (Università degli Studi di Milano) recante il titolo “La lex Poetelia de ambitu e la ‘corruzione elettorale’ a Roma nel IV secolo a.C.” La lex Poetelia de ambitu, risalente all’anno 358, avrebbe cercato di limitare i casi di corruzione elettorale messi in atto soprattutto da quegli homines novi che erano soliti viaggiare per mercati e pubblici luoghi di riunione alla ricerca del consenso necessario per aspirare alle più alte magistrature. La legge è stata varie volte interpretata alla luce del conflitto politico che avrebbe interessato, da una parte, la ‘fazione’ più conservatrice del ceto dirigente romano (rappresentata dai patrizi e da alcune ben introdotte famiglie plebee), dall’altra l’insieme di quelle famiglie (sempre plebee, s’intende) che finalmente, con l’approvazione delle leggi Licinie-Sestie, vedevano aperta la possibilità di raggiungere il consolato. L’intervento mirava a mettere in connessione l’approvazione della legge con il concomitante allargamento del corpo civico romano, che avvenne mediante la creazione di due nuove tribù rustiche (Pomptina e Publilia). È stata poi la volta della relazione “Alcuni casi di usurpazione del diritto di cittadinanza romana nella tarda repubblica” di Andrea Raggi (Università di Pisa). Lo studioso ha operato una rassegna dei casi attestati nelle fonti riguardanti i tentativi di usurpazione della cittadinanza romana da parte di singole comunità o singoli individui nella tarda età repubblicana e ha esaminato le accuse, rivolte ad alcuni esponenti politici romani, di avere elargito o (s)venduto questo diritto per allargare le proprie clientele o introitare somme cospicue di denaro. I lavori sono proseguiti con Irene Leonardis (Università di Potsdam), che ha presentato la relazione “Cutting off limbs: dictatorship and the body politic in the Antiquitates Romanae of Dionysius of Halicarnassus”. Nell’ambito della fondamentale distinzione, presente nell’opera di Dionisio di Alicarnasso, tra una fase positiva e una fase negativa della dittatura, la studiosa ha analizzato le scelte lessicali dell’amputazione e dell’espulsione del corpo civico come metafore per tratteggiare il dittatore come un tiranno. La narrazione storica di Dionisio di Alicarnasso fu probabilmente influenzata dall’annalista anti-sillano Licinio Macro e forse anche dal dibattito che sorse tra gli anni 54 e 51 a proposito di una possibile dittatura di Pompeo. Tale immaginario, peraltro, assume importanti implicazioni anche nella definizione del dittatore Cesare da parte di Cicerone. L’ultimo intervento della giornata è stato quello di Federico Russo (Università degli Studi di Milano) dal titolo “Decurio ne esto neve in decurionibus sententiam dicito. Su alcuni casi di limitazione di diritti politici nelle città dell’impero romano”. A partire dall’analisi di alcuni passi dello statuto della colonia romana di Urso in Baetica, la cosiddetta Lex Coloniae Genetivae Iuliae, lo studioso ha analizzato alcune delle cause che determinavano la sospensione momentanea dei diritti politici per i cittadini di comunità romane in Italia o in provincia; tale base è servita per operare anche un confronto con meccanismi analoghi vigenti a Roma.
A chiusura del convegno sono stati invitati a intervenire Filippo Carlà-Uhink, Michele Faraguna (Università degli Studi di Milano) e Lorenzo Gagliardi (Università degli Studi di Milano). I tre studiosi hanno ripreso il discorso di apertura di Andrea Gamberini sulla necessità di studiare cittadinanza e corruzione come fenomeni di lunga durata alla luce degli interventi presentati nel corso del convegno, che hanno spaziato dalla tarda età classica alla prima età imperiale. Le considerazioni finali, che hanno efficacemente sintetizzato i diversi punti di vista adottati dai relatori, hanno posto l’accento nuovamente su aspetti lessicali e linguistici e sulle questioni ancora aperte, prima fra tutte il fatto che ‘corruzione’ è un termine che spesso traduce in maniera semplificata e inappropriata fenomeni complessi, che posso essere compresi solo alla luce di specifiche dinamiche politiche e sociali. Gli organizzatori hanno infine prospettato la possibilità di una pubblicazione miscellanea per la collana sulla corruzione della casa editrice De Gruyter, che non sarà tuttavia una pubblicazione degli atti del convegno ma coinvolgerà, eventualmente, anche altri studiosi.
Serena Barbuto