Conoscere il passato per costruire la società del futuro, Bookcity 2021

Report di Tommaso Cerutti

Conoscere il passato per costruire la società del futuro, presentazione del volume Attraverso le età della storia. Le lezioni dei maestri, a cura di C. Fumian, Milano, Franco Angeli, 2021, 18 novembre 2021, Dipartimento di Studi storici, Università degli Studi di Milano, in collaborazione con Fondazione di Studi storici “Filippo Turati” (Firenze) e Centro di Ateneo per la storia della resistenza e dell’età contemporanea (Padova). con la partecipazione di Maurizio Degl’Innocenti (Fondazione di Studi storici “Filippo Turati”), Carlo Fumian (Università degli Studi di Padova), Michela Minesso (Università degli Studi di Milano), Edoardo Tortarolo (Università degli Studi del Piemonte Orientale).

Come ricordato in apertura da Carlo Fumian, il libro presentato consiste nella pubblicazione degli atti dell’omonimo convegno svoltosi a Padova prima della pandemia, «occasione strumentale» per onorare la memoria dello storico Angelo Ventura, scomparso il 5 febbraio 2016. Data la personalità del “maestro” padovano, per nulla avvezzo all’autocelebrazione, nell’organizzare il convegno si è scelto di compiere un più ampio ragionamento sulla professione – intesa come Beruf – di storico a partire dalle biografie intellettuali di dieci storici del Novecento. Accanto a quello di Ventura, di cui si è occupato Carlo Fumian, sono stati così ripercorsi i profili biografici di Marino Berengo, Innocenzo Cervelli, Federico Chabod, Ennio Di Nolfo, Gino Luzzato, Rosario Romeo, Gaetano Salvemini, Franco Venturi e Pasquale Villani rispettivamente da Mario Infelise, Vincenzo Lavenia, Margherita Angelini, Antonio Varsori, Giovanni Luigi Fontana, Guido Pescosolido, Maurizio Degl’Innocenti, Adriano Viarengo e Paolo Macry. Nonostante esclusioni eccellenti, si è così riusciti a ricostruire un pezzo importante di storiografia del secolo scorso.

Ma quali elementi accomunano personalità tanto diverse tra loro? Secondo quanto espresso da Carlo Fumian nel suo intervento, la capacità di attraversare i secoli, ripercorrendo le diverse epoche storiche con una padronanza che confligge con la settorializzazione e la specializzazione cui è oggi sottoposta la disciplina. Si trattava di preferire alla storia «con gli additivi», secondo la definizione di Franco Venturi, un’indagine aperta a tutte le dimensioni, dallo studio dell’economia a quello delle percezioni culturali o dei movimenti politici, analizzando tanto le grandi figure quanto i movimenti collettivi o la microstoria, compito difficile ma reso possibile da un bagaglio di competenze sufficienti ad attraversare le ere senza commettere errori interpretativi. Il richiamo è a quella “storiografia integrale”, priva di gerarchizzazioni e capace di definire un’epoca storica con un transito circolare, nella convinzione che tutto si richiama, propugnata nel 1958 da Jan Romein. Oggi, a fronte del processo di istituzionalizzazione della disciplina avvenuto a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, la tendenza sembra essere quella di un ritorno a una dimensione più elastica, non solo nel senso dell’esigenza di ridefinire i processi storici secondo una prospettiva di longue durée, ma anche di guardare al contributo degli approcci introdotti dalla world history o dalla global history, che scardinando il tradizionale punto di vista eurocentrico e impongono di ridisegnare tutte le periodizzazioni.

Riflettendo sulla figura di Franco Venturi, Luciano Guerci ebbe modo di osservare come anche se egli «rifuggiva dall’atteggiarsi a maestro […] un maestro lo era davvero […] per la coerenza del suo esempio morale e intellettuale»[1]. Per Fumian, tale giudizio sembra poter essere esteso a tutti gli storici ritratti nel volume, le cui biografie ne restituiscono lo spessore etico-morale e li ponevano naturalmente come esempi da seguire. A ciò si connette l’interesse condiviso per la politica, non in chiave partitica, ma come «politica delle cose alte», primariamente orientata a comprendere le dinamiche interne alla polis. Esemplare è in questo senso la vicenda di Angelo Ventura, che nel corso degli anni Settanta si oppose alle violenze perpetrate da Autonomia Operaia nell’ateneo patavino, dove insegnava Antonio Negri. L’analisi dei documenti della sezione veneta di Potere Operaio lo avrebbero portato a denunciarne il carattere eversivo, fatto che avrebbe causato il ben noto attentato nei suoi confronti.

La capacità di Ventura di passare dalla storia tardo-medievale alla storia del tempo presente, cogliendone gli aspetti peculiari, senza perdere il senso dell’indagine storica, si fondava soprattutto sulla centralità data al documento nella ricostruzione e su una capacità di interpretazione affinata in anni di pratica presso gli archivi. In generale i dieci storici analizzati si cimentarono soprattutto con una storia orientata a ricostruire le vicende italiane, rimanendo forte l’influenza della storiografia ottocentesca, impegnata nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Fanno eccezione gli scritti sul populismo russo di Venturi, il volume sulla Rivoluzione francese di Salvemini o la storia delle città europee di Marino Berengo. Ciononostante, si può osservare la capacità di tutti gli studiosi considerati di porre il problema storico in prospettiva comparata, non chiudendosi in paradigmi asfittici e senza enfatizzare le «false cause locali», secondo la lezione di Marc Bloch. Come osservato da Michela Minesso, comune a quella cultura storica fu non solo la capacità di calare le vicende italiane all’interno dello scenario internazionale, ma anche di confrontarsi con la storiografia straniera ampliando i propri orizzonti. Alla base dell’analisi storiografica esisteva una passione autentica e il tentativo di dare il proprio contributo al processo di crescita della società democratica.

Per Edoardo Tortarolo il discorso storiografico portato avanti da questi uomini ha inevitabilmente finito per riflettere l’andamento della vita culturale e politica del paese. Ciò non dipende solo dal fatto che gli storici studiano e fanno ricerca in base al «pulsare della vita», ma anche da motivazioni squisitamente pratiche. Essi agiscono, infatti, all’interno di un quadro istituzionale definito, in cui finanziamenti e decisioni amministrative influenzano gli sviluppi della ricerca. Questo ragionamento vale anche al contrario, nel caso di manifeste reazioni ai paradigmi dominanti. Un buon esempio può essere costituito dalla produzione scientifica d Rosario Romeo, tutta orientata a ricostruire momenti di continuità sociale e istituzionale con il liberalismo democratico tardo ottocentesco, nel tentativo di ampliare gli spazi di libertà. Le tematiche affrontate nelle sue pubblicazioni furono complementari a un parallelo progetto politico di rilancio dei principi liberali, portato avanti in prima persona.

Altro fattore condizionante è che in Italia la storia è dappertutto. L’indagine storica non si sostanzia quindi nella ricerca di radici lontane, ma piuttosto come naturale espansione degli interessi del presente, imponendo la realtà che ci circonda, per essere compresa, di conoscere il nostro passato. E gli storici qui considerati vissero spesso ciò in prima persona. Si pensi alle biografie di figure come Franco Venturi, che ancora diciottenne fu arrestato in qualità di cospiratore contro il regime fascista e, una volta liberato grazie all’intervento del nonno senatore, fu costretto a fuggire all’estero seguendo il padre; oppure ad Arnaldo Momigliano, allontanato dalla cattedra in seguito all’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938.

Secondo Tortarolo un altro dei grandi temi che attraversa il libro presentato è il «cambiamento della visione della storia». Le vicende intellettuali dei dieci storici presi in esame sono tutte calate all’interno di un processo di uscita dal paradigma ottocentesco che gradualmente avrebbe portato a guardare a una storia globale, in cui sarebbero diventati sempre più centrali l’interconnessione e gli scambi tra civiltà e culture diverse. Pur rimanendo legati a una storia prettamente nazionale questi uomini guardarono alle vicende italiane con uno sguardo europeo. Se l’opera di questi studiosi costituì un fondamentale momento di passaggio, i loro volumi diventano per il giovane storico un momento determinante per imparare a scrivere di storia e apprendere un linguaggio e dei concetti la cui validità è riconosciuta dalla comunità di riferimento. L’acquisizione di un vocabolario e una gerarchia di concetti, insieme all’impadronirsi di determinate categorie, rende infatti possibile muoversi nel presente e costruire soluzioni per il futuro. Per Michela Minesso tutto ciò fa parte della «cassetta degli attrezzi» dello studioso di storia, che non opera mai nel deserto, ma sempre portando avanti la riflessione di coloro che lo hanno preceduto.

Nel suo intervento Maurizio Degl’Innocenti si è soffermato sulla difficoltà di definire caratteristiche comuni ai dieci profili analizzati nel volume, anche per l’appartenenza degli storici in questione ad almeno tre diverse generazioni. Un tratto comune viene comunque riscontrato nell’impegno politico di queste figure e Degl’Innocenti sembra concordare con quanto affermato da Pescosolido nel volume sul fatto che il modo di fare storia dei «cavalieri d’un tempo» non sia oggi più replicabile.

Guardando, ad esempio, alla vicenda di Rosario Romeo si può riscontrare come non solo il suo impegno politico condizionasse scelte personali, come quella di lasciare «La Stampa» ‒ a causa dei cedimenti verso il movimento studentesco prima e il consociativismo con il PCI poi ‒ dopo anni di collaborazione, per passare a «Il Giornale» di Montanelli, ma si traducesse anche nella volontà di fare alta politica tramite la propria opera storiografica. Così Il Risorgimento in Sicilia, che riprendeva i temi trattati nella sua tesi di laurea, si proponeva di interpretare il successo della spedizione garibaldina non più semplicemente come rivolta antiborbonica, ma piuttosto come opzione a favore dell’unità d’Italia, vista come uno degli episodi più rilevanti della storia europea. Risorgimento e capitalismo, che riprendeva il contenuto di due saggi precedentemente usciti sulla rivista «Nord e Sud», voleva invece affrontare di petto la visione della storiografia marxista in merito alla questione agraria – nel 1946 era uscito, infatti, il volume di Emilio Sereni. L’idea auspicata da Antonio Gramsci di una rivoluzione agraria, che avrebbe dovuto creare una classe di piccoli proprietari aumentando il consumo interno, veniva contestata utilizzando in maniera innovativa le rilevazioni statistiche dell’ISTAT. In tale direzione si poneva anche il volume del 1961 sulla storia della grande industria italiana. In generale, ha affermato Degl’Innocenti, Romeo sperava che con l’avvento del centro-sinistra lo Stato potesse tornare ad essere un fattore di crescita sociale, civile ed economica per il Paese, mentre si registrava, al termine degli anni Cinquanta, l’affermarsi di un nuovo spirito laico e libertario incarnato dal Diderot descritto da Franco Venturi nei suoi studi sull’Illuminismo.

Degl’Innocenti ha inoltre sottolineato come il carattere di apertura verso l’Europa della storiografia italiana del dopoguerra fosse influenzato dalle esperienze di studio all’estero vissute da quegli studiosi ‒ a partire da Federico Chabod che negli anni Venti ebbe la possibilità di formarsi a Berlino e poi in Spagna ‒ rese possibili dalle borse di studio messe loro a disposizione. Come evidenziato da Margherita Angelini nel suo contributo, infatti, la storiografia negli anni del fascismo, di cui il più celebre rappresentante fu Gioacchino Volpe, pur essendo focalizzata su una visione nazionalistica, continuò a rimanere in confronto permanente con l’Europa. Grazie a ciò fu possibile acquisire i risultati raggiunti dalle correnti storiografiche tedesche e francesi, che in quegli anni avevano scoperto le scienze sociali, con ricadute sul metodo e sui campi d’indagine. Da ultimo, Degl’Innocenti ha sottolineato il ruolo svolto dai “maestri di storia” come «disseminatori del sapere», collaborando con case editrici, riviste e istituti, nonché promuovendo la pubblicazione di documenti diplomatici e l’apprendistato negli archivi. Si pensi ad esempio alle lezioni tenute da Chabod presso l’Istituto italiano per gli studi storici a Napoli o il seminario biennale tenuto lungo tutta la sua carriera da Marino Berengo. Come affermato da Michela Minesso, essi furono veri e propri «organizzatori della cultura», fatto strettamente connesso a quel rapporto tra storia e politica che vedeva nell’analisi della società il punto di partenza per proporre nuove soluzioni e a quell’opera di sprovincializzazione della cultura italiana, vissuta in prima persona, che portava ad esempio Berengo tutte le estati a frequentare la British Library di Londra.

Spunti interessanti sono sorti anche in sede di dibattito finale. Michela Minesso ha infatti evidenziato come inevitabile segno dei tempi in cui i “maestri” vissero sia la presenza di sole figure maschili tra i dieci storici presi in considerazione. Fu a partire dagli anni Settanta che le donne ricevettero in Italia i primi incarichi di docenza, con personalità come Gina Fasoli, Elena Fasano Guarini o Simona Colarizi. Tortarolo ha inoltre osservato come, accostandosi alle vite di studiose, sia più difficile trovare testimonianze autobiografiche rispetto al caso dei colleghi maschi. Densa di significato appare la provocazione avanzata in ultimo da Adriano Viarengo, presente tra il pubblico. Quale sarà il destino di questi “classici” della storiografia davanti alle prospettive di un mercato editoriale sempre più ridotto e propenso alla pubblicazione di opere sempre più “agili”, venendo incontro alle richieste del grande pubblico ‒ e non – disabituato alla complessità? E soprattutto quale il ruolo della disciplina all’interno dello spazio pubblico, in un mondo in cui il sistema mediatico tende a rincorrere la notizia, erodendo progressivamente gli spazi di riflessione?

In risposta al primo dei problemi sollevati, Edoardo Tortarolo e Carlo Fumian hanno opposto le potenzialità positive insite nel processo di progressiva digitalizzazione del patrimonio librario. Anche nel secondo caso, a chi scrive, la soluzione sembrerebbe essere data dalla rete, attraverso la produzione di contenuti multimediali, direttamente o sotto supervisione, da parte di storici di professione o figure professionali formate ad hoc, a patto però che questo non avvenga a discapito di una seria e meditata ricerca storica. L’iniziativa che ospita questo breve scritto ne è un eccellente esempio.

Link all’evento: https://www.bookcitymilano.it/eventi/2021/conoscere-il-passato-per-costruire-la-societa-del-futuro.

N.b. Il testo relativo all’intervento di Mauro Moretti (Università degli Studi di Siena), impossibilitato a partecipare all’evento, è stato depositato presso l’archivio del Centro di Ateneo per la storia della resistenza e dell’età contemporanea dell’Università di Padova.


[1] Attraverso le età della storia. Le lezioni dei maestri, a cura di C. Fumian, Milano 2021, p. 200.