In apertura al ciclo 2024/2025 dei colloquia del Centre for visuaL hIstOry (CLIO) del Dipartimento di Studi Storici, il giorno 25 settembre 2024, la professoressa Ludmilla Jordanova ha tenuto la conferenza Reflections on the Inseparability of Institutions and Visual Culture. La relatrice, professoressa emerita di History and Visual Culture alla Durham University (Regno Unito), ha tracciato il quadro del complesso e innegabile rapporto che lega istituzioni e cultura visiva presentantdo specifici casi di studio relativi al Royal College of Physicians di Londra, alla National Portrait Gallery of England e alla National Gallery of Australia.
Alcune considerazioni di tipo generale hanno dato avvio alla conferenza. In particolare è stato illustrato quanto dichiarato nel titolo, ovvero, che istituzioni e visual culture sono inseparabili. Le istituzioni, in quanto strutture sociali, partecipano infatti alla visual culture, la quale è a sua volta parte costituente dell’identità delle stesse. Tale relazione può essere complessa da descrivere in astratto, ma tale difficoltà è superabile attraverso l’analisi di case studies, quali quelli che hanno costituito il corpo principale della relazione. Nello specifico, prosegue la relatrice, le istituzioni sono elementi attivi nella visual culture, in quanto hanno un ruolo nella gestione della stessa. Esse infatti si autorappresentano sia attraverso l’accumulo e l’organizzazione di prodotti visivi riguardanti il proprio passato, sia mediante l’organizzazione dello spazio architettonico in cui esistono. Questo secondo caso assume particolare valore se l’istituzione ha la possibilità di progettare autonomamente lo spazio che occupa e che la rappresenta. A chiarimento di quest’ultima affermazione è portato un breve esempio, quello dell’Oxford Museum of Natural History. Nella concezione anglosassone i musei sono considerabili “cathedrals of science” e questa concezione prende forma fisica nell’edificio, inaugurato nel 2017, le cui forme echeggiano quelle degli edifici religiosi.
Supportata da un ampio corollario di immagini, la professoressa Jordanova ha dunque iniziato ad affrontare i singoli casi di studio, partendo dal Royal College of Physicians, particolarmente ricco di spunti di riflessione. Questa istituzione, la cui storia ha inizio più di cinquecento anni fa, ha occupato, nel tempo, diversi edifici e di conseguenza la sua identità si caratterizza in maniera prevalentemente astratta, definendosi piuttosto come un insieme di persone, accomunate dall’opporsi a pratiche mediche non autorizzate. Questo elemento identificativo assume connotazioni diverse nel tempo, eppure rimane centrale per la storia dell’istituzione, rappresentata proprio da prodotti visivi quali i ritratti delle personalità che la compongono.
Il Royal College of Physicians ha oggi la sua sede presso Regent’s Park, a Londra, in un edificio la cui progettazione si fonda sulla volontà dell’istituzione di “building the prestige on its past and laying down its future”. L’edificio, ha spiegato Jordanova, è manifestazione fisica dell’istituzione, tanto nella sua storicità, quanto nel suo essere parte del presente e potenzialità futura. Quest’ultimo aspetto risulta immediatamente esplicitato dallo stile modernista, divisivo per i londinesi, ma la professoressa richiama l’attenzione sull’imponente scalinata centrale attorno a cui sono esposti i ritratti dei membri più importanti del Royal College: l’edificio risulta progettato per rappresentare il passato dell’istituzione in una cornice assolutamente inserita nel presente. Il gioco fra presente e passato si ripropone in altri spazi dell’edificio, legati agli aspetti cerimoniali dell’istituzione, quale la sala da pranzo per gli eventi ufficiali, nel corso dei quali i commensali sono accompagnati da proiezioni dei ritratti esposti nell’edificio, in un rituale che “refreshes the identitity of the institution”.
Il risultato di queste scelte architettoniche ed espositive è che tutti coloro che lavorano o che visitano l’edificio vivono e camminano, o si accomodano a tavola, immersi nel passato o alla presenza dello stesso.
Questa pratica potrebbe essere data per scontata, prosegue la relatrice, ma affermare che le pratiche istituzionali relative ai ritratti non siano degne di attenzione sarebbe come negare la ricca relazione che intercorre fra questi due elementi e il consapevole sforzo di evocala – verbo che in italiano, così come nella forma inglese conjure, è associabile a connotazioni magiche, il passato.
Le rappresentazioni ci permettono di credere alla realtà di un altro essere umano e in seguito di idee astratte a questo legate. Ma come? Per spiegarlo, la professoressa Jordanova ha portato all’attenzione del pubblico un caso ancor più specifico, quello di un singolo personaggio fra i membri del Royal College of Physicians: William Harvey, medico del XVII secolo noto per la scoperta del sistema circolatorio. Il ritratto di Harvey rappresenta tanto valori trascendentali legati al medico seicentesco, quali la realtà della medicina in quanto scienza o l’importanza del ragionamento comparativo, quanto il Royal College of Physicians come suo volto più noto. Quest’ultimo compito, però, non può essere svolto in autonomia, ha effetto solo se inserito in un contesto quale l’insieme di ritratti che ha come perno la scalinata centrale del Royal College, o un’altra istituzione quale la National Portrait Gallery.
La National Portrait Gallery, su cui la professoressa apre un’interessante parentesi, ha come scopo la rappresentazione della vita e della storia nazionale attraverso la sua collezione di ritratti di personaggi definiti di “national importance”. Questa può mutare nel tempo e, con la sola eccezione dei ritratti di monarchi, i dipinti, singolarmente, non hanno il potere di rappresentare la nazione. Tale rappresentazione ha luogo solo se considera l’accumulo di ritratti di molteplici individui attraverso molteplici periodi. Questa storia nazionale viene declinata anche in altre forme di visual culture, quali il merchandising: “Heritage,” afferma la professoressa Jordanova, “is highly marketable”.
Il valore della National Portrait Gallery, rispondendo alla domanda che ha aperto questa parentesi, è il fatto che dinnanzi alla rappresentazione di un altro essere umano vengono mobilitati sia la conoscenza, sia i sentimenti. Davanti a un ritratto, infatti, gli esseri umani non possono fare a meno di avere reazioni emotive, stimolate da gesti ed espressioni, sentimenti di attrazione o di disgusto.
Spostandosi oltreoceano, la relatrice ha introdotto l’ultimo case study, riguardante la National Gallery of Australia. In questo caso l’attenzione si è soffermata sul valore politico dei ritratti, parlando della mostra Australia in colour di Vincent Namatjira, artista indigeno. La mostra rappresenta, nelle parole dello stesso artista, “people of significance who had an effect on me”; tra queste personalità si riconoscono i volti di Elisabetta II e Jimi Hendrix. Una delle persone rappresentate, la mining tycoon australiana Gine Rineheart, ha richiesto che il suo ritratto venisse rimosso, richiesta non accolta dalla National Gallery.
In questa richiesta negata la nostra attenzione viene riportata sulla National Gallery come istituzione. Nella domanda di rimozione viene messa in discussione la galleria, che si riafferma nel rifiuto: un atto politico, tanto quanto la mostra scatenante la questione. La National Gallery of Australia, infatti, in quanto istituzione può decidere quali rappresentazioni esporre in maniera del tutto indipendente.
In conclusione alla conferenza la professoressa Jordanova ha risposto alle domande del pubblico, le quali si sono concentrate su due tematiche: da un lato la mancanza ed eventuale opportunità di una galleria nazionale di ritratti in Italia; dall’altro la rappresentazione di personaggi storici in maniera filologicamente imprecisa o errata nel momento in cui la storia viene resa bene di consumo in forma di videogioco o prodotto cinematografico. A quest’ultima domanda è seguita una vivace discussione con il pubblico, che è giunta alla seguente conclusione: nel momento in cui ci si trova davanti a un prodotto di intrattenimento a tema storico, bisogna ricordare che molto spesso la storia non viene considerata come verità da ricercare e rappresentare, ma come semplice contesto per un prodotto narrativo.
Gaia Sorrenti