Nell’aula Seminari “Elena Brambilla” dell’Università degli Studi di Milano, è stato presentato, martedì 21 novembre 2023 alle ore 10.30, il libro di Niccolò Valmori Banking and Politics in the Age of Democratic Revolution (Liverpool University Press, 2023).
Antonino De Francesco, professore della Statale, coordina l’incontro, iniziando con la presentazione dell’autore, già studente dell’ateneo milanese e membro dell’European University Institute, presso il quale ha conseguito il dottorato di ricerca. Valmori ha all’attivo progetti internazionali, avendo lavorato negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra, fa parte inoltre dell’equipe europea di MERCATOR, specializzata nell’indagine delle crisi finanziarie, anche dal punto di vista storico. Questo aspetto richiama gli interessi di ricerca dell’autore e il tema del volume presentato, nel quale viene analizzato il rapporto, nel tardo Settecento, tra economica e finanza da un lato e politica dall’altro. In particolare, l’attenzione si concentra sui banchieri attivi a Parigi, Amsterdam e Londra nel periodo rivoluzionario e su come il loro ruolo è stato ridefinito in quegli anni a livello internazionale. Infatti, i banchieri, inizialmente considerati nemici della Rivoluzione francese, ripresero un ruolo e una centralità determinanti nella definizione della politica (non solo economica) francese.
Manuela Albertone (Università degli Studi di Torino)
Il primo intervento è affidato alla professoressa Manuela Albertone dell’Università degli Studi di Torino, specialista dell’età delle rivoluzioni, con un’attenzione particolare al mondo francese e statunitense, agli aspetti economici e politici, nonché al concetto di “rappresentanza”, alla fisiocrazia e alla proprietà terriera. Albertone sottolinea subito la ricchezza del volume, che prende stimolo dalla crisi finanziaria globale del 2008, la quale costringe a una riflessione necessaria sul rapporto tra finanza e politica. Il punto di partenza dell’indagine sono gli anni Ottanta del secolo XVIII, per giungere fino alla conclusione dell’età napoleonica. In quest’arco di tempo, vengono studiati molti individui, sui quali il volume si concentra seguendo i percorsi di singole personalità. In questo senso, il lavoro di Valmori si colloca nella rinascita biografica degli ultimi anni, volta a comprendere come elementi non scontati e non razionali, afferenti al singolo, possano giocare un ruolo nello sviluppo dell’azione degli attori politici ed economici. Dunque, si cerca di capire le individualità e la loro capacità di influire e trarre profitto dal mondo che cambia durante la Rivoluzione. Per Albertone, il libro mostra molto bene le diverse specificità dei banchieri a seconda del contesto entro cui si muovono, sia esso quello francese o quello inglese, visti spesso come radicalmente diversi, ma che Valmori ha il merito di accostare per carpirne somiglianze e differenze.
Un aspetto importante che non va trascurato è quello riferibile alla dimensione religiosa, dal momento che la cultura economica che un Paese riflette è anche una cultura confessionale. Rimane un fatto, nota Albertone, che la Francia era principalmente cattolica, conseguentemente, i banchieri transalpini si trovavano ad agire in una società dove il prestito a interesse era considerato un peccato. Un ruolo lo gioca finanche la riflessione economica interna a uno Stato; sempre considerando la Francia, la fisiocrazia, vedendo nella terra l’unica fonte di guadagno, attacca gli interessi delle banche, le quali non conoscono patria; al contrario, il proprietario terriero, radicato sul territorio, era legato, per i fisiocratici, all’amor di patria. Ma il volume tiene conto anche delle implicazioni politiche delle azioni e dei discorsi intorno alla finanza, scorgendo le alterità tra il mondo della banca e quello della gestione del debito attraverso un sistema di credito pubblico. Così il ruolo che giocano i gruppi finanziari nella gestione del credito in Francia è importante per l’elaborazione di una riflessione sulle implicazioni politiche del credito pubblico, poggiante sulla fiducia, la quale presuppone la creazione di un reciproco legame tra i cittadini e lo Stato.
Albertone si sofferma poi a delineare il decennio 1789-1799, quando, come mostra Valmori, la discussione in Francia sulla questione finanziaria permette di prendere coscienza dell’importanza di creare un’unità nazionale su nuove basi: si viene a formare un’idea astratta di “nazione” a partire da interessi economici comuni. Da un lato i politici prendono coscienza della gravità della situazione rivoluzionaria, dall’altro si discute dell’esistenza politica di attori economici, con la rivendicazione di specifici diritti, derivanti proprio dalla produzione della ricchezza del Paese. Una svolta, almeno per la riflessione teorica, è individuata nel Direttorio, quando viene superata la fisiocrazia per un più stretto rapporto tra economia e politica. In questo senso, la cultura economica va a tenere insieme alcune personalità partite da binari politici diversi. Allo stesso modo, anche la guerra appena apertasi, per via delle sue implicazioni economiche e possibilità di arricchimento, avvicina tra loro gruppi di individui che cercano da essa di trarre profitto.
Nel volume, si possono poi individuare due piani distinti, ma comunicanti. Il primo è rappresentato dai singoli investitori che si inseriscono in un contesto bancario e finanziario cangiante. Il secondo è la finanza più largamente intesa, la quale diventa progetto politico o che è al servizio di un progetto politico. Albertone conclude insistendo ancora una volta sulla originale attenzione data da Valmori ai singoli banchieri e sul fatto che la prospettiva politica sia utile per comprendere meglio il mondo della finanza e viceversa.
Silvia A. Conca Messina (Università degli Studi di Milano)
La professoressa Silvia A. Conca Messina della Statale è la seconda relatrice. Delle sue linee di ricerca, De Francesco ricorda gli aristocratici imprenditori tra Sette e Ottocento, la vicenda economica lombarda e il settore della produzione alimentare e dei suoi transiti in età moderna. Conca ritiene il lavoro di Valmori solido, dal momento che si fonda su un’ampia ricerca, effettuata tenendo conto di fili internazionali e di uno scavo documentario notevole. All’autore va anche il merito di essersi cimentato con un’impresa ardua: studiare il mondo dei banchieri in un periodo, quello rivoluzionario, così instabile dal punto di vista sociale, politico ed economico. Tuttavia, proprio per questo, il volume restituisce un mondo poco conosciuto, aggiungendo un tassello mancante nella comprensione storico-economica del periodo. Come detto, l’analisi si concentra sulle capitali finanziarie dell’epoca: Parigi, Amsterdam e Londra. Proprio il mondo transnazionale, per Conca, è il punto di forza del volume, ricostruente con precisione e con esempi concreti le élite finanziarie europee.
Mettere in primo piano nella ricerca il rapporto tra economia e politica è quantomai illuminante e permette di stabilire le possibilità d’azione dei banchieri, nonché di analizzare come gli stessi rispondano, in maniera sempre diversa, alle opportunità e ai vincoli. In questo senso, Valmori rinvigorisce un filone di studi sopito negli ultimi due decenni, rivalutando il mondo dei banchieri, guardato con sospetto a partire dalla già evocata crisi del 2008. Inoltre, secondo Conca, il volume si spinge oltre lo stato attuale degli studi e non solo per il focus estremamente dettagliato, che è già di per sé portatore di un quadro approfondito, ma anche perché colloca il banchiere in una più ampia comunità. Valmori cerca di seguire vari contesti e vari momenti di relazione con il potere politico, sottolineando finanche l’integrazione tra mercato finanziario e finanza pubblica. Si giunge a una conclusione significativa: nel periodo di fine Settecento, si determina una discontinuità, consistente nella “politicizzazione della finanza”. Così, finanza e banchieri arrivano a occupare una posizione centrale non solo in economia, ma anche in politica, andando a creare e a plasmare una dinamica ancora molto presente, nonché amplificata, ai nostri giorni.
Conca mette poi in luce alcune sfumature che ritiene di interesse per future ricerche. Anzitutto, la cultura dei banchieri delineata da Valmori, dinamica e legata alla stessa fluidità della figura, che poteva occuparsi di prestiti, finanza, commercio o ancora di tutta una serie di altre attività. Secondariamente, il ruolo delle donne, appena abbozzato nel testo, ma fondamentale in un quadro di rapporti tra finanza e politica, dove esse svolgevano talvolta un ruolo di intermediazione non indifferente. In terzo luogo, la dinamica degli investimenti internazionali, negli Stati Uniti in particolare, incettatori di capitali nel XIX secolo grazie alla loro capacità di proporre opportunità di investimento in grado di creare networks nuovi e duraturi. Infine, Conca, coerentemente con i suoi interessi scientifici, si chiede quale sia stato il ruolo dell’aristocrazia in questa fase iniziale della trasformazione del mondo finanziario, anche in considerazione del fatto che, a fine Ottocento, i maggiori finanziatori della Banca di Francia saranno aristocratici.
Niccolò Valmori (European University Institute)
A concludere la presentazione del volume è l’autore Niccolò Valmori. Egli chiarisce il punto di partenza della sua ricerca: non solo la crisi finanziaria del 2008, ma anche e soprattutto quella successiva del 2012, che colpì pesantemente diversi Stati europei e dove si vide con chiarezza l’influenza, sulla stabilità statuale stessa, del mondo della finanza. Il volume intende studiare lo sviluppo del capitalismo sia a livello teorico-culturale sia seguendo gli attori protagonisti, i quali non sono sovrapponibili completamente alla banca di appartenenza, essendo anche e soprattutto attori individuali. Da questo punto di vista, è interessante studiare il ragionamento politico compiuto dai medesimi attori finanziari, spinti talvolta a prendere decisioni, anche azzardate, per via di mutamenti politici in atto o che si crede accadranno.
Uno dei risultati più importanti del lavoro è l’indagine intorno alcuni assunti classici della storiografia sul modello bancario e finanziario francese e su quello inglese, con il primo ritenuto più arretrato del secondo per la minore concordanza tra potere politico e potere economico. In realtà, sostiene Valmori, finanche nel Paese britannico i due poteri entravano in conflitto, semplicemente, il sistema inglese era più abituato alle commistioni, non mancavano però rimostranze rispetto al ruolo di alcuni attori che erano, allo stesso tempo, politici e banchieri/finanzieri. Per la Francia, si è cercata di rivalutare anche l’idea che Napoleone avesse il controllo completo della finanza; certamente, egli aveva una grande presa, tuttavia, studiando i rapporti della polizia parigina, l’autore nota come lo stesso commissario di polizia descriva gli andamenti giornalieri della borsa cercando di conferire un’autonomia al modo di ragionare dei borsisti, figure che potevano compiere operazioni financo per conto di terzi. Studiando gli stessi bollettini, emerge come ci sia una sorta di “tempo diverso” del mercato finanziario rispetto a quello politico, laddove gli effetti di un mutamento sottotraccia si fanno sentire prima in borsa e solo poi nella pratica politica concreta. Valmori ci tiene a precisare che il cambiamento più importante riguarda la politicizzazione della finanza a partire dagli anni Ottanta del Settecento e che, grazie all’esplosione rivoluzionaria dall’effetto catalizzante, la stessa finanza diventi arma del dibattito politico.
Valmori conclude il proprio intervento rispondendo ad alcune domande e suggestioni avanzate in precedenza dalle professoresse Albertone e Conca. La dimensione religiosa non è stata ancora molto indagata, anche se si può sostenere che i protestanti inglesi erano più presenti nella banca commerciale, mentre i cattolici francesi si indirizzavano alla finanza connessa alla riscossione delle imposte. Bisognerebbe poi colmare il gap tra storia culturale e storia economica, analizzando ancora di più le origini sociali, la formazione e il sostrato culturale che animavano i banchieri. Altre due piste di ricerca possono essere: da un lato la prosecuzione del lavoro fino alla monarchia di Luigi Filippo d’Orléans – dove la commistione politica-finanza si fa ancora più stretta – e dall’altro una nuova spazialità di prospettiva, che permetta l’indagine di territori, come il Sud America, ora ai margini dell’indagine finanziaria sul XVIII e XIX secolo. Un aspetto interessante è il fatto che molti banchieri non siano originari del Paese nel quale operano; ad esempio, in Francia ritroviamo una vera e propria colonia di banchieri svizzeri. Per quanto riguarda il ruolo delle donne, Valmori le ritiene più che intermediari, esse sono delle gatekeeper, possono cioè “aprire porte”; come la madre di William Pitt, la quale, presso il figlio Primo ministro, patrocinava gli interessi di alcuni banchieri. Per finire, l’aristocrazia in Francia, inizialmente spaventata dalla Rivoluzione, investirà in compagnie statunitensi, spesso perdendoci, per poi cercare di giocare un ruolo attivo nelle nuove istituzioni finanziarie ed economiche francesi, fino ad arrivare ai vertici della Banca di Francia. In Inghilterra, alcuni banchieri per lungo tempo mantengono rapporti personali con l’aristocrazia, ma tale commistione è spesso conflittuale data la scarsa solvibilità degli stessi aristocratici, il più delle volte in ritardo con i pagamenti.
Michele Brusadelli