Marco Brando, L’imperatore nel suo labirinto: usi, abusi e riusi del mito di Federico II di Svevia, Tessere, Firenze, 2019.
Federico Ruggero Costantino di Hohenstaufen, re di Sicilia, duca di Svevia, re dei Romani, re di Gerusalemme e imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Federico II è il volto del Medioevo. Un uomo affascinante persino per i suoi contemporanei, dalla fama ambigua e controversa; un personaggio di cui tutti hanno sentito parlare almeno una volta. Anticristo per i guelfi, Alter Christi per gli imperiali sostenitori, lo Svevo è protagonista indiscusso di una serie di leggende e miti che ne hanno alimentato il ricordo nel corso dei secoli. Un amore, quello per Federico, che esiste da sempre e che nutre l’immagine dell’odierno Medioevo. Esso vive in una dimensione mitica popolata di cavalieri, guerre e avventure, in cui l’elemento magico-esoterico e la realtà storica spesso si fondono e rendono difficile lo studio di questi mille anni della vicenda umana. Alimentato dalla sempre più prolifica produzione cinamatografica e libraria ma anche dal mondo dei videogiochi, la leggenda del Medioevo resta un punto fermo dell’indagine e della trattazione storica: molti sono gli operatori del settore che si sono cimentati nell’approfondinento della visione comune dell’Età di Mezzo traendone spunti brillanti. Lo Svevo imperatore incarna quello spirito fantastico di un’epoca che spesso è difficile contestualizzare e capire, amata e odiata da generazioni di studenti che del Medioevo conoscono solo lo strapotere della Chiesa cattolica Romana e l’equazione tutt’altro che corretta: Medioevo = epoca buia. Federico II di Svevia è esattamente come quel periodo storico in cui ha vissuto: discusso ed enigmatico ma decisamente attraente.
Una breve descrizione dell’imperatore e del suo impatto nella cultura antica e contemporanea è un preambolo necessario per presentare L’imperatore nel suo labirinto: usi, abusi e riusi del mito di Federico II di Svevia del giornalistaMarco Brando. Il volume qui presentato viene definito dallo stesso Daniele Pugliese, editore della fiorentina Tessere, è «gradevole e scorrevole», due aggettivi che non sono esattamente i primi a cui si ricorrerebbe per definire un testo come questo. In realtà il volume sorprende già dalla copertina: una lucida pagina bianca su cui troneggia un’immagine dello Stupor Mundi in versione pop art. Nulla di più lontano da un qualsiasi manuale di storia, d’altronde, come specifica lo stesso Brando nella nota posta nelle prime pagine del libro: «un’avvertenza: non si tratta di una biografia di Federico. Su di lui di volumi ne sono stati sfornati tantissimi, alcuni con la firma di grandi storici. Non c’era bisogno di un’altra biografia, per giunta scritta da un giornalista». Le intenzioni del Brando sono chiare e il lettore ne viene messo subito al corrente: L’imperatore nel suo labirinto non vuole aggiungere notizie, scoop o gossip, dando adito alle millenarie voci che circolano sul conto del celeberrimo imperatore. Chi si accosta a tale testo si troverà a percorrere una strada impervia e non sempre di semplice comprensione: quella strada che porta alla costruzione del mito e alla celebrazione individuale.
Più che un racconto sulle vicende della straordinaria esistenza dello Svevo, Marco Brando vuole offrire al suo pubblico alcuni proficui spunti di riflessione per «accostarsi ai propri miti laicamente e con un occhio più distaccato e ironico», citando nuovamente Pugliese. L’autore indaga sulle cause che hanno portato alla federicomania, feconda soprattutto in Puglia che dello Svevo ha fatto un vero e proprio simbolo della pugliesità. Ammirazione al limite del fanatismo per quel giovane normanno-tedesco che aveva reso la Daunia la sua seconda patria, tanto da essere definito Puer Apuliae. Federico II diventa così l’eroe di una regione che non ha una forte identità territoriale ma che finisce per rivedersi nella figura del nipote del Barbarossa. Protagonista di una serie infinita di racconti a sfondo esoterico come la leggenda di Castel del Monte, voluto dallo Svevo nel 1240, secondo la quale tra le mura della costruzione sarebbe conservato il Sacro Graal, Federico di Hohenstaufen è senza dubbio il paladino del Tacco d’Italia. Un santo, pacifista e protettore dello stato laico, difensore della libertà e tollerante nei confronti dei musulmani, come dimostra l’episodio della VI Crociata (1228-1229) in cui lo Stupor Mundi avrebbe dimostrato la sua diplomatica attitudine all’accettazione della diversità rifiutandosi di combattere gli islamici preferendo trovare un accordo con il sultano Malik-al Kamil: un’aura di luce in un mondo buio per tutti i fedeli sostenitori del mito dell’imperatore. Persino la coppia Hitler e Mussolini ha mostrato grande interesse per lo Staufen, esempio di unificatore dello Stato contro le forze centrifughe.
Non solo amore ma anche disprezzo, un’ombra nera sulla vicenda di Federico. Come precedentemente accennato, egli fu spesso accostato al demonio in persona soprattutto dai suoi detrattori guelfi. Scomunicato più volte, l’imperatore svevo è stato una vera spina nel fianco della Chiesa di Roma ma non solo. Anche i Comuni lombardi non ne conservano un ricordo positivo: lo stesso Umberto Bossi, leader della Lega Nord, aveva definito lo Svevo un nemico storico dell’indipendenza padana. A tal proposito, numerosi sono i riferimenti che il Brando alla contemporaneità, elemento che rende L’imperatore nel suo labirinto un libro originale e attuale. Lo stile del volume è accattivante e mai banale, easily understandable ma ponderato, tipico delle inchieste giornalistiche dell’autore che ha diretto il quotidiano nazionale “L’Unità” occupandosi anche del caso Mani Pulite.
Arricchito in appendice da una ricca galleria di immagini raffiguranti un Federico istituzionale ma anche un suo riuso mainstream (a p. 241 uomo che indossa una T-Shirt con l’imperatore dell’associazione Feudalesimo e Libertà), il volume presenta alcuni testi di Raffaele Licinio e Franco Cardini, entrambi autorevoli storici del Medioevo. È stato proprio Licinio, professore di storia medievale all’Università di Bari e grande estimatore dello Svevo, a suggerire all’autore una riedizione del precedente libro brandiano Lo strano caso di Federico II di Svevia: un mito medievale nella cultura di massa, caduto nell’oblio a causa del fallimento della casa editrice che ne aveva curato l’uscita. Persino il titolo dell’opera brandiana deriva da una suggestione fornitagli dal professor Licinio, il quale nella prima sezione dell’appendice spiega come affrontare un mito senza perdersi nel suo labirinto, ovvero come distinguere un mito da un sogno a colori (p. 207). Di grande impatto è un passaggio dell’intervento del medievista che indaga e supporta il metodo seguito da Marco Brando: «piuttosto che opera di demitizzazione, esso è innanzitutto, a proposito dei modi in cui l’imperatore svevo è interpretato nella cultura di massa contemporanea, un esempio di informazione corretta e documentata. Che riesce a far coesistere forme e metodi dell’indagine giornalistica con i risultati della ricostruzione storica puntuale e circostanziale. Un libro, anche grazie alla gradevole penna dell’autore, da gustare pagina dopo pagina. Per sottrarsi alla logica del tifoso-federiciano-oltre-ogni-limite, ma anche per evitare di assolutizzare i risultati della ricerca storica. In due parole, un libro per imparare a capire» (p. 208).
Sul tema delle menzogne riguardanti il Medioevo interviene invece lo storico Franco Cardini nel suo intervento all’interno de L’imperatore nel suo labirinto, il quale afferma di essere riconoscente all’autore per aver distrutto una serie di false credenze sulla famigerata Media Aetas. Cardini, strenuo difensore della verità e guerriero dalla daga affilata che combatte contro il Medioevo home made (p. 219) conclude il suo intervento con un grande apprezzamento all’operato di Brando: «la storia è in crisi, ma qua e là, e di quando in quando, pare proprio che si continui ad averne bisogno. È questo il senso ultimo di un libro che alla storia gira continuamente intorno, come se avesse paura di lei eppure sapesse bene che non possiamo farne a meno?». Mito e storia, eroe e demonio: le due anime di Federico II di Svevia passano sotto la lente di ingrandimento dell’autore che propone al lettore una chiave interpretativa originale e appassionata di un uomo la cui unica grande ambizione era di essere ricordato nei secoli.
Arianna Ricciardi