Seminari del Centro Interateneo Notariorum Itinera (a.a. 2023-2024)
Tra ottobre 2023 e maggio 2024 si è tenuto il secondo ciclo di seminari Fonti documentarie medievali. Ricerche ed edizioni organizzato e coordinato dalle sedi di Bari, Bologna, Genova, Milano, Pavia, Salerno e Torino del Centro Studi Interateneo Notariorum Itinera (https://notariorumitinera.eu/) ed inserito all’interno del percorso di dottorato in Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano. Ancora una volta gli incontri in programma hanno rappresentato un’opportunità di confronto riguardo alle recenti prospettive di ricerca tra professionisti e professioniste del settore di tutta Italia – e non solo – oltre che un’occasione di dialogo con il pubblico di studenti e non-specialisti.
Il ciclo di seminari si è aperto il 24 ottobre, presso l’Università degli Studi di Genova, con la relazione presentata da Marta Calleri (Università degli Studi di Milano) ed Antonella Rovere (Università degli Studi di Genova) dal titolo «L’edizione del cartularium del fantomatico Saonus» e dedicata all’analisi di quanto emerso nel lavoro di edizione recentemente pubblicato all’interno della collana “Notariorum Itinera”.
Dopo aver delineato in breve l’attuale quadro degli studi e delle edizioni delle fonti giudiziarie di area italiana, Antonella Rovere ha introdotto il manoscritto al centro dell’analisi – il cartolare cosiddetto ‘Saonus’ – uno dei quattro cartolari in materia di giustizia civile che sono sopravvissuti per la città di Savona e che sono oggi conservati presso il relativo Archivio di Stato. Il registro è stato erroneamente attribuito ad un presunto – e mai esistito – notaio ‘Saonus’ nel corso delle operazioni ottocentesche di rilegatura. Esso è invece il risultato della raccolta di diversi acta redatti nel contesto di procedimenti giudiziari civili tenutisi nell’anno amministrativo-giudiziario 1216-1217 e registrati per lo più da due notai, Filippo de Scarmundia e Uberto de Mercato, come sottolineato da Marta Calleri che ha descritto, oltre alle caratteristiche codicologiche, le sezioni nelle quali la documentazione è stata organizzata – dalle peticiones alle sentenze –, le responsabilità e le diverse tecniche redazionali dei due scribi. Tra i vari aspetti di interesse emersi, particolare rilievo ha avuto la constatazione di come fattori quali l’estrema libertà redazionale dei notai, la parcellizzazione dei documenti inerenti a una medesima azione legale e la pressocché totale mancanza di riferimenti interni tra un atto e l’altro abbiano reso estremamente difficile ricostruire i singoli procedimenti e posto varie problematiche in fase di edizione della fonte. Dover gestire la frammentazione delle procedure, il serrato susseguirsi di mani differenti, la presenza di frammenti e di diverse fasi redazionali di uno stesso atto, ha portato le curatrici a cercare soluzioni che salvaguardassero il più possibile la particolare struttura della fonte e, al contempo, fornissero il maggior numero di informazioni al lettore.
A conclusione della relazione è rimasto poi un breve spazio per alcuni interventi da parte del pubblico, in primis riguardo ad alcune scelte editoriali e, in secondo luogo, sulle possibilità di usufruire delle moderne strumentazioni per visualizzare le parti di testo oggi illeggibili e purtroppo, nella maggior parte dei casi, non recuperabili a causa del decadimento del supporto stesso.
Il secondo incontro è stato ospitato, il 7 novembre, presso l’Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari ed è valso anche come inaugurazione del ciclo di seminari Medioevo delle fonti 2023 I tecnici della scrittura. Testi e contesti laici (secc. XI-XIV) organizzato dalla stessa Università di Bari e dal Centro di Studi Santa Rosa da Viterbo (CSSA). Per l’occasione il relatore è stato Attilio Bartoli Langeli, che ha presentato una relazione intitolata «Fino a querela di falso: autografia e autenticità dei documenti notarili», un ampio affresco sul fenomeno del notariato e della sua evoluzione nel contesto italiano comunale come risulta da quella concezione della professione che vige ancora oggi sia in Italia sia all’estero. È stato innanzitutto ricapitolato il fondamentale passaggio avvenuto intorno alla metà del XII secolo, con il quale i notai dell’Italia centro-settentrionale acquisirono definitivamente publica fides, approfondendo non solo i fattori tecnici e politici, ma anche e soprattutto gli elementi culturali – grafici e linguistici – che permisero l’affermarsi di una fiducia collettiva nei confronti di queste figure professionali in quanto soggetti scriventi e, di conseguenza, dei loro documenti. Dopo aver illustrato attraverso esempi concreti di area perugina gli effetti di tale fenomeno sui processi documentari notarili – con specifica attenzione allo sviluppo di strategie che distinguessero inequivocabilmente gli atti redatti da una certa mano –, il relatore è poi passato a osservare la figura del notaio italiano basso medievale nella percezione dei suoi contemporanei: prendendo le mosse dal X capitolo Notai, testimoni e documenti del libro recentemente pubblicato dal filologo Paolo Mari Il libro di Bartolo. Aspetti della vita quotidiana nelle opere ‘bartoliane’ (Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, 2021), si è potuto aprire una finestra su svariati aspetti della professione – dai limiti di esercizio alla considerazione del mestiere nella società del tempo – tramite le parole del giurista Bartolo da Sassoferrato.
Al termine della presentazione ha avuto luogo un nutrito confronto con i partecipanti, occasione per approfondire ulteriormente questioni attinenti alla cultura notarile italiana medievale e ai suoi importanti riflessi sull’ambiente socio-culturale più generale, ma altresì per sottolineare alcune peculiarità della documentazione mostrata nel corso dell’intervento.
Terzo ospite del ciclo è stato Giovanni Araldi (Università degli Studi di Salerno) che il 30 gennaio 2024 ha presentato presso l’Università degli Studi di Salerno la relazione «Trasformazioni della prassi documentaria tra XII e XIII secolo: l’area campana», incentrata in particolare sulle trasformazioni della documentazione privata nell’area beneventana e nei centri limitrofi nei secoli centrali del Medioevo. Il relatore ha voluto per prima cosa partire da quanto è già stato da tempo assodato nella diplomatica italiana in relazione al documento privato dell’Italia meridionale e specificatamente sulla caratteristica figura del ‘giudice ai contratti’, termine che compare nella documentazione dell’area a partire dalla metà del XIII secolo. Entrando poi nel vivo dei mutamenti formali, si è passati a illustrare il superamento della distinzione tipica del periodo alto-medievale tra la charta – documento che registra l’effettivo negozio giuridico – e il memoratorium – accessorio del primo e utile ad attestare la concessione della guadia –, due modelli che tra XI e XII secolo finiscono appunto per scomparire a favore del nuovo modello dello scriptum memoriae. Questa nuova tipologia si registra nella stessa città di Benevento dove, oltre ad alcune peculiarità del formulario e della struttura redazionale, si osserva in generale una certa similitudine con i documenti giuridici processuali della zona. Riflettere sui giudici di quest’area ha permesso di evidenziare la presenza di una vera e propria élite di professionisti provenienti dagli strati più alti della società, esponenti di rilievo nel campo del diritto nei principali centri universitari italiani – tra questi Roffredo Epifani, Pietro Collevaccino, Bartolomeo di Benevento – che proprio nell’esercitare le loro funzioni di giudice in ambito sia penale sia civile avrebbero provocato una contaminazione del documento privato con gli elementi normalmente presenti negli atti processuali dando così vita alla nuova forma dello scriptum.
È seguito infine uno spazio per alcune domande, che hanno aiutato a mettere a fuoco altri aspetti, quali le difficoltà nel condurre le ricerche in quest’area, dovute alle problematiche della tradizione archivistica dell’Italia meridionale e campana nello specifico, e le abitudini di scrittura dei giudici beneventani (e non) divergenti rispetto a quelle dei loro notai – come osservate nella documentazione originale mostrata – che è stata occasione per allargare lo sguardo ad altri elementi costitutivi di questo ceto.
Emanuela Fugazza (Università degli Studi di Pavia) è intervenuta per il quarto incontro – tenutosi il 6 marzo 2024 all’Università degli Studi di Pavia – con una presentazione intitolata «Dalla tradizione dei placiti alle ‘dispute informali’. Profili della giustizia nell’XI secolo», con cui ha esposto i primi risultati di un’indagine sul rapporto tra la tradizione dei placiti e le cosiddette ‘dispute informali’ nel caso di Piacenza. Riprendendo le osservazioni dello storico britannico Chris Wickham sulla giustizia toscana, Fugazza ha ripercorso le trasformazioni delle prassi giuridiche e documentarie in area piacentina, partendo appunto da un paio di esempi di placiti della seconda metà del secolo XI – rispettivamente una ostensio chartae del 1065 e una finis intentionis terrae del 1050 – entrambi relativi a procedimenti per controversie sul possesso di beni immobili, nei quali tuttavia viene a mancare il contenzioso e quindi il carattere conflittuale di questo tipo di giustizia. L’analisi del materiale conservato presso l’Archivio Capitolare di S. Antonino (chiesa cattedrale di Piacenza) evidenzia nel medesimo periodo l’emergere di importanti novità nella prassi giudiziaria: due documenti – una charta promissionis del 1070 e una charta transactionis del 1072 – attestano una diversa procedura nel dirimere liti riguardo ai diritti di proprietà, una modalità appunto più ‘informale’ poiché condotta in casa di privati dietro convocazione delle parti, ma al contempo in forte continuità con la tradizione precedente sia per il ruolo centrale mantenuto dal vescovo e dagli aristocratici suoi vassalli, sia per il formulario impiegato dai notai nella documentazione prodotta. L’indagine di documenti inediti ha così permesso di delineare uno strettissimo legame tra le nuove procedure sorte nei secoli centrali del Medioevo e la tradizione precedente e di aprire spunti di riflessione che saranno da approfondire ulteriormente con future ricerche.
Il seminario si è concluso con una discussione durante la quale è intervenuto lo storico del diritto Antonio Padoa Schioppa, richiamando la possibilità di spiegare l’apparente assenza di conflittualità riscontrata nelle forme della giustizia piacentina a fine secolo XI con una certa debolezza caratteristica dei poteri pubblici del tempo, se comparati tanto con la situazione dei secoli precedenti, quanto con gli apparati di giustizia consolari che sarebbero sorti nei decenni successivi.
Il ciclo di seminari è proseguito il 26 marzo presso l’Università degli Studi di Milano con l’intervento di Marianna Spano (Regesta Imperii – Akademie der Wissenschaften und der Literatur, Mainz) su «Il frammento di Dresda: un esempio di registro imperiale del XIV secolo» ovvero su uno di quei prodotti documentari con cui si provvedeva a registrare la documentazione emessa dalla cancelleria regia ed imperiale. Se infatti questi registri si sono conservati con una certa continuità solo a partire dal XV secolo – in particolare dal regno di Roberto di Germania (1400-1410) – ed anzi sembra che proprio tra XV e XVI secolo abbiano ricevuto una vera sistematizzazione con la creazione, ad esempio, di serie separate per gli affari imperiali e per quelli boemo-austriaci, si sono tuttavia preservati alcuni frammenti ed esemplari già per il XIV secolo. Dopo brevi cenni ai registri di Enrico VII di Lussemburgo (1308-1313) e di Ludovico IV il Bavaro (1314-1347), focus del seminario è stato il periodo di Carlo IV (1347-1378) e il suo apparato di cancelleria che sembra presentare una maggiore attenzione rispetto ai precedenti proprio verso le pratiche di registrazione degli atti grazie alla presenza di personale appositamente dedicato a tale compito e all’attestazione per lo più per via indiretta – di molteplici registri. Per il suo periodo si conservano in realtà solo due frammenti, il secondo dei quali rappresenta tra l’altro il primo frammento che riesca a coprire un anno completo di attività andando infatti dal gennaio 1360 all’aprile 1361. Il registro, conservato presso l’Archivio di Stato di Dresda, rappresenta una fonte fondamentale se si considera che secondo le ultime stime tre quarti dei documenti del 1360 a noi oggi pervenuti sono traditi esclusivamente dal registro stesso. Al contempo, esso costituisce anche la base per interessanti spunti di riflessione dal problema dei criteri con cui si procedeva a scegliere quali atti andavano registrati e come (in forma completa o riassuntiva), alle difficoltà in sede di studio ed edizione che solleva la presenza di discrepanze tra registrazione e originale qualora si siano conservati entrambi – come ha efficacemente illustrato l’osservazione di alcune casistiche di documenti indirizzati a destinatari nel Regnum Italiae.
A chiusura dell’incontro ha avuto luogo un vivace dialogo con il pubblico che ha sollevato curiosità su alcuni aspetti strutturali del registro – la presenza di mani diverse, le funzionalità di rimandi interni ed esterni – e sulle criticità che una fonte del genere pone in fase di edizione, soprattutto per la gestione della sua tradizione, dove lo scoglio principale rimane l’attuale impossibilità di stabilire quando i documenti siano stati registrati dalla minuta e quando invece dall’originale.
Per il sesto incontro, ospitato il 23 aprile 2024 dall’Università degli Studi di Bologna, Edward Loss (Università degli Studi di Bologna) ha presentato una relazione su «Transkribus e i Memoriali bolognesi: esperienze nell’applicazione di Handwritten Text Recognition software su un imponente fondo notarile tardomedievale», ovvero sull’uso di tecnologie di intelligenza artificiale sperimentate nel corso del progetto MemoBo. Centro del progetto è infatti la schedatura e la possibilità di rendere ricercabili in open access le informazioni ricavate dalla serie di 322 registri redatti dall’ufficio dei Memoriali di Bologna tra il 1265 ed il 1452, un immane quantitativo di materiale che ha portato i ricercatori coinvolti a testare la possibilità di impiegare recenti software per l’Handwritten Tex Recognition (HTR) che mirano a trasformare le immagini in testo digitale codificato e ricercabile – medesimo obiettivo delle tecnologie OCR (Optical Character Recognition) ma con il vantaggio di un possibile continuo miglioramento e adattamento grazie all’impiego del deep neural network approach. L’intervento è stata l’occasione per illustrare le complesse fasi di sviluppo del progetto e in particolare le scelte compiute nell’applicazione del software HTR selezionato, Transkribus: la possibilità di optare per una trascrizione di tipo diplomatico con l’aggiunta di “tags” per lo scioglimento delle abbreviazioni oppure per una più rapida trascrizione diretta (la scelta definitiva), le problematiche nella creazione dei modelli – base necessaria per operare la trascrizione del materiale –, l’importanza di una precisa individuazione delle regioni di testi e del layout delle pagine per il corretto funzionamento dei modelli e infine lo sviluppo di modelli “puri” (utilizzabili su una mano sola), “misti” e perfino il tentativo di creare mega-modelli per la trascrizione di interi memoriali.
Vi è stato poi spazio per un dialogo tra il pubblico e il relatore, che ha consentito di precisare alcuni aspetti del funzionamento del software e di sollevare varie questioni, tra le quali l’effettiva applicabilità di questa tecnologia nel contesto di un’edizione critica di documentazione medievale e la conseguente riflessione sull’utilità di sperimentare le nuove potenzialità di questi strumenti sempre però valutando la loro efficacia in base alla specifica situazione (obiettivi, quantità e tipologia di materiale, grado di complessità).
Per l’incontro conclusivo del 21 maggio sono intervenuti all’Università degli Studi di Torino Carlo Baderna (Università degli Studi di Trento) e Stefano Talamini (Università degli Studi di Trento) con la relazione «Notai e archivi tra medioevo ed età moderna». L’intervento si è strutturato in due parti, una prima dedicata all’area di Vercelli, per la quale Carlo Baderna ha fornito una panoramica sull’evoluzione delle strategie amministrative e delle pratiche notarili tra XIII e XIV secolo tramite l’analisi dei libri iurium cittadini. Questi dossier documentari realizzati dal comune per attestare i propri diritti fondamentali sono fonti preziose e ricche di informazioni, soprattutto a Vercelli, dove la presenza di due raccolte diverse – la prima degli anni Venti del Duecento, la seconda (i cosiddetti Biscioni) redatta tra 1337 e 1345 – consente di osservare il cambiamento dei meccanismi autenticatori e dell’impianto stesso delle raccolte, frutto di contesti notarili e politici decisamente differenti.
La seconda parte, a cura di Stefano Talamini, è stata invece incentrata sul territorio della Repubblica di Venezia e sulla gestione delle pratiche di scrittura notarile. A partire dall’analisi del manuale De arte cancellarie – prodotto di un notaio padovano della metà del Quattrocento – e dal confronto tra esso ed alcuni materiali documentari (atti amministrativi, finanziari e giudiziari) si è potuto offrire una prospettiva tanto sull’effettiva applicazione dei principi teorici nella prassi quotidiana, quanto sull’articolazione del sistema di controllo dell’entroterra e dell’apparato scritturale che ne accompagnava il funzionamento. L’indagine ha rivelato un quadro caratterizzato da un lato da una spinta verso una struttura amministrativa omogenea nei territori soggetti a Venezia, dall’altro dalla permanenza tuttavia di “regioni documentarie” con specifiche peculiarità.
Ludovica Invernizzi