Tesi magistrale in Scienze Storiche, a.a. 2023-24, relatore prof. Massimo Baioni, correlatrice prof.ssa Simona Turbanti
La tesi si occupa di figurine. E quando si nomina la parola figurine viene immediato pensare alle raccolte dei calciatori, alle Panini, ai bambini che se le scambiano e al mantra “celo celo manca”; in realtà, tra gli album prodotti nel Novecento, solo poco più del 25% ha un soggetto sportivo. Il restante 75% è costituito da raccolte con temi differenti. Questo dato, come altri riportati in questo lavoro, deriva dall’analisi di un data-base originato dal caricamento delle informazioni su circa milleduecento album catalogati in dieci volumi, rivolti al pubblico dei collezionisti, dell’editore Mencaroni.
La figurina ha sicuramente un aspetto ludico ma la si deve considerare a tutti gli effetti un dispositivo comunicazionale. Il suo testo veicola i valori e l’ideologia dell’autore ma ciò accade anche per l’immagine stessa che inoltre costituisce, autonomamente, un potente dispositivo “didattico” poiché nella gran parte dei casi si sostituisce a quello che la nostra immaginazione ha pensato o avrebbe pensato a proposito di un determinato soggetto. Insomma, la figurina “fa vedere” e spiega quella “vista”. Fino ai primi anni Sessanta del Novecento “vedere” non era così scontato: un solo canale televisivo (in bianco e nero), quotidiani (molto scritti, con poche immagini non a colori), qualche periodico (non a caso hanno successo «Oggi» e «L’Europeo» che, ispirandosi al «Life» americano, cambiano la tradizionale gerarchia tra parole e immagini a favore delle seconde), sussidiari scolastici.
La figurina “fa vedere” ma deve “essere vista”, per questo, a integrazione del testo della tesi, è stato realizzato un sito (figurine.omeka.net) dove sono presenti circa trecento immagini, citate nello scritto, consultabili attraverso diverse chiavi di ricerca (il capitolo della tesi, la tipologia dell’album, l’editore, ecc). Bisogna poi tenere in conto che l’editore dell’album, nel costruire la narrazione della raccolta, effettua una selezione dei temi e la loro organizzazione. Le figurine, insieme agli altri mezzi di comunicazione di massa, erano, in quegli anni, l’occasione per scoprire il presente e raccontare il passato; un medium non innocente o ingenuo come si crede, che ha contribuito per qualche generazione alla costruzione della memoria storica.
La tesi indaga sostanzialmente quale memoria sia generata dalle raccolte di figurine, concentrandosi sul racconto del Risorgimento fatto da quelle edite nel dopoguerra, in particolare nella fase corrispondente al boom economico.
Il periodo d’oro delle raccolte a carattere didattico si colloca tra il 1950 e il 1967; le figurine partecipano/approfittano dello sforzo di alfabetizzazione che investe il paese, che ha un livello di istruzione non più compatibile con quello economico (nel 1951 gli analfabeti erano ancora il 13% della popolazione, i possessori di licenza media il 6%, laureati e diplomati il 4%). Sono gli anni della riforma della scuola media unica, delle trasmissioni educative della Rai (Telescuola, Non è mai troppo tardi, Chissà chi lo sa?), della distribuzione in edicola dei capolavori della letteratura (gli «Oscar Mondadori», i «Pocket Longanesi») e delle enciclopedie a dispense, Conoscere in primo luogo, basata anch’essa su un rapporto innovativo tra immagine e testo.
Le raccolte storiche si concentrano sul Risorgimento; fascismo e Seconda guerra mondiale sono eventi ancora troppo vicini temporalmente e politicamente divisivi. Nel 1950 esce Eroi del Risorgimento (edizioni Rinascimento), nel 1955 Vita di Garibaldi (Lampo), nel 1959 Epopea Garibaldina (Ferrero).
C’è poi un secondo motivo per incentivare una cospicua produzione in questo periodo: il 1961 è l’anno del centenario dell’Unità di Italia. Celebrazione che, peraltro, assume una grande importanza perché è su questo tema che il governo e il Presidente della Repubblica Gronchi cercano di ricostruire una memoria storica condivisa (il governo Tambroni appoggiato dal MSI è appena caduto dopo le sanguinose manifestazioni che hanno scosso l’Italia e ci si prepara alla costituzione dei governi di centro sinistra).
Solo nel 1961 vengono editi Centenario Unità d’Italia (BEA), Figure e fatti del triennio 1859-1861 (RAI), le serie Centenario Unità d’Italia della Lavazza, Unità d’Italia (Madre edizioni) e riproposta la Vita di Garibaldi. Negli anni a seguire due album della Imperia, Risorgimento (1965), Storia del Risorgimento Italiano (1973) e altrettanti della Panini: Storia del Risorgimento Italiano (1969) e Risorgimento Italiano (1975).
Analizzando i testi (anche con l’aiuto di software, ma limitando il loro esame in termini di “bags of words”) è evidente con il passare degli anni lo slittamento del racconto da una dimensione mitico-eroica a una più politico-militare; come pure lo è la contrazione della periodizzazione da quella di “lungo Risorgimento” (Congresso di Vienna, I Guerra Mondiale) a una più breve (il termine ad quem diventa la III guerra d’Indipendenza o la breccia di Porta Pia, ma per l’enfasi posta nei testi e nel numero di immagini prevale la proclamazione dell’Unità del 1861). Due fenomeni che si riscontrano anche nelle raccolte dello stesso editore (sia Imperia sia Panini) edite in anni differenti.
Emerge infine un canovaccio su cui, almeno in parte, la generazione dei “baby boomers” ha costruito la propria memoria dell’Unità d’Italia. In tutte le raccolte il personaggio principale è Garibaldi: uomo d’azione, eroe, mito, quasi santo, spesso riproposto nella classica immagine del rivoluzionario “disciplinato” perché sempre pronto a riconoscere la leadership di Vittorio Emanuele II (che diventa così il vero protagonista dell’Unità). Mazzini è presente se la narrazione è mitica, eroica; quando il Risorgimento è fatto di martiri, di caduti, di imprese fallite, Mazzini c’è, apostolo di una religione laica fatta di fede e di sacrifici (ed è sempre rappresentato vestito di nero e tendenzialmente anziano anche quando dovrebbe avere trent’anni). Scompare invece quando il Risorgimento diventa azione politica e di guerra e ha successo. Nel decennio di preparazione emerge ovviamente Cavour, ma non assume mai centralità nella narrazione.
Marco Manuele Paolini