Il 6 novembre 2023, nell’aula Elena Brambilla del Dipartimento di Studi Storici, è stato presentato il libro di Daniele Menozzi Tra mito della nazionalità e mito della cristianità. L’immagine di san Francesco dai “lumi” a Pio XII (Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2022). L’incontro, inserito nell’ambito del Seminario permanente di studi storico-religiosi Letture di Storia del Cristianesimo, è stato introdotto dalla professoressa Marina Benedetti e dal professor Francesco Mores, cui hanno fatto seguito gli interventi dei professori Paolo Zanini e Massimo Baioni. Il prof. Menozzi, emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ha chiuso l’incontro rispondendo alle varie sollecitazioni che sono venute dai presentatori e dalle domande del pubblico.
Il professor Zanini ha ripercorso l’immagine di Francesco nella cultura e nella pubblicistica italiana dal XVIII secolo alla seconda guerra mondiale attraverso due prismi: il mito della cristianità e il mito della nazionalità. Con il pontificato di Leone XIII si assiste all’interpretazione del Santo come italiano e patrono delle cause sociali, ma con il nuovo secolo la “francescofilia” in Italia si connota di un significato più squisitamente nazionale/nazionalista, declinato in particolar modo nel bacino del Mediterraneo – i vescovi e i vicari apostolici di Tripoli negli anni della guerra di Libia sono tutti frati minori – e al vicino Medio Oriente – nel quale permane il principio della Custodia della Terra Santa. La torsione dell’interpretazione di Francesco viene resa possibile anche con il sostegno di intellettuali quali Gabriele D’Annunzio e Matilde Serao, che offrono un contributo notevole a questo cambio di percezione, ultimato solo alla fine della Grande guerra con il fenomeno della nazionalizzazione delle masse. Negli anni Venti l’Assisiate viene considerato come un segno fondamentale per la pacificazione internazionale, dopo che nel periodo bellico si era assistito a una lettura sostanzialmente combattentistica da parte del regno d’Italia, mentre il pontificato di Benedetto XV puntava, al contrario, a una lettura molto più pacifista di Francesco. Con l’avvento e l’ascesa al potere del fascismo la santità di Francesco continua a essere centrale nella società italiana, così come nel percorso conciliatorio tra il regime e il Vaticano; nel 1926, con la celebrazione del VII Centenario della morte dell’assisiate – alla quale partecipano esponenti sia della Santa Sede che del governo fascista –, si assiste alla collocazione di Francesco nel pantheon dei santi fascisti.
Nel frattempo, nonostante i chiari segnali di riappacificazione nei rapporti tra papato e Regno d’Italia – che sarebbero culminati nei Patti Lateranensi del 1929 –, rimane sottotraccia un contenzioso che stava coinvolgendo anche lo stesso santo di Assisi: se per la Santa Sede Francesco viene considerato come una figura portante del “regno sociale di Cristo” portato avanti da papa Ratti, il fascismo ritiene che il frate sia una figura sostanzialmente nazionalista, grazie alla quale si stanno aprendo opportunità non trascurabili circa un’espansione verso il Medio Oriente (Palestina soprattutto). Inoltre, lo scontro tocca anche la delicata questione legata alla città di Roma, la quale deve essere considerata come città sede del governo regio o città nella quale risiede il Vicario di Cristo (“deve prevalere la Roma dei Papi o la Roma dei Cesari?”): anche in questo caso l’utilizzo della figura di san Francesco risulta cruciale per fare leva sia nel dibattito interno che nella potenziale espansione in Terra Santa.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale e con la dichiarata non belligeranza iniziale dell’Italia, Papa Pio XII ritiene estremamente importante diffondere l’idea di Francesco come figura conciliatrice e pacificatrice a livello internazionale (e nazionale nei rapporti con Mussolini), senza esasperare i rapporti con le potenze coinvolte nel conflitto. Quando, però, l’Italia entra in guerra al fianco della Germania (10 giugno 1940) si delinea l’idea – in particolare negli ambienti francescani e nell’episcopato francescano – di varare una “crociata” per la difesa dei luoghi santi; solo nel 1942-1943 questa proposta si trasforma in un manifesto pacifista, alla guida del quale, ancora una volta, viene posto il Santo di Assisi.
Negli anni successivi alla guerra la figura del Santo rimane ancora centrale, soprattutto per continuare a diffondere la convinzione che Francesco sia un santo tipicamente italiano, mentre in Medio Oriente i francescani – coinvolti direttamente dal 1948 nella prima guerra arabo-israeliana – ritengono sia necessario creare un esercito internazionale per la difesa della Terra Santa.
Infine, il professor Zanini sottolinea come il volume di Menozzi metta efficacemente in luce alcune delle ibridazioni che si sono verificate attorno a san Francesco tra Ottocento e Novecento, ad esempio nell’ambito monumentalistico, nel quale la sacralizzazione di Francesco ha messo in rilievo aspetti anche controversi nei rapporti tra la Santa Sede e lo Stato fascista.
Questo richiamo è servito per introdurre l’intervento del professor Baioni, che si è infatti focalizzato maggiormente sulla dimensione dell’uso pubblico, del mito e del linguaggio legati alla figura di san Francesco, nel momento in cui il volume si presta bene anche a una riflessione sul tema cruciale del rapporto storia-memoria: un rapporto che oggi tende a sovrapporre in modo ambiguo in due termini, con gravi implicazioni rispetto al concetto stesso della storia e alla ricostruzione del passato.
Il volume di Menozzi, secondo il prof. Baioni, è un’importante occasione per leggere il rapporto tra Stato e Chiesa nel periodo che, dall’Unità d’Italia, arriva sino al termine del secondo conflitto mondiale, attraverso l’osservatorio particolare degli usi pubblici della figura di Francesco, che rinviano alla grande varietà di rappresentazioni nel panorama politico e religioso italiano. Francesco diventa un antesignano del riformismo sociale cattolico che era emerso nella Democrazia cristiana di Romolo Murri, secondo schemi e proposte non più intransigenti come quelle avanzate da Pio IX. Inoltre, la fine del XIX secolo ha visto la religione della patria e della nazione rivestirsi di linguaggi e codici mutuati dalla tradizione religiosa verso una rilettura più laica, soprattutto nel concetto di sacralizzazione della Nazione: ne sorgeranno contrapposizioni ma anche premesse per un incontro tra Stato e Chiesa, con Francesco che viene presto rivestito con panni politici che lo assimilano al nazionalismo caratterizzante il processo di unificazione della Penisola. Un’accelerazione del processo di italianizzazione di Francesco si verifica grossomodo nel periodo della guerra di Libia, in una dimensione coloniale e civilizzatrice che lo identifica come “il più italiano dei Santi”, in un contesto neoguelfo dal notevole impatto negli anni del governo fascista. Proprio in quegli anni, in particolare nel 1926, si assiste all’inaugurazione del monumento dedicato al santo di Assisi in Piazza del Risorgimento a Milano, in occasione del VII Centenario della morte del frate, a cui parteciperà anche l’Arcivescovo della città lombarda, il Cardinale Eugenio Tosi: si tratta di un evento che consente di dare grande visibilità al santo italiano, soprattutto in vista di un suo utilizzo nell’ambito di una potenziale espansione verso l’Oriente. Anche nei rapporti tra Stato e Chiesa Francesco viene largamente impiegato in quanto pedina fondamentale per la rappresentazione dell’italianità – un tema che Mussolini vuole trasmettere per sottolineare il “grande Genio italiano”.
Nel volume di Menozzi si evidenzia anche l’oscillazione continua che tende a considerare Francesco come precursore del patriottismo, soprattutto nel 1939 (anno in cui viene proclamato Patrono d’Italia): in questo caso le posizioni di vertice nella Chiesa si spaccano, poiché da un lato si cerca di tutelare l’eredità francescana dalle pulsioni ultranazionaliste, mentre dall’altro la collusione clerico-fascista tende a prevalere nel contesto del bellicismo promosso dal regime. In questo ambito ha luogo la militarizzazione della cultura, un processo che investe l’intera storia d’Italia per legittimare le scelte del regime (il prof. Baioni richiama ad esempio la collana La centuria di ferro, nella quale vengono inseriti anche figure religiose poiché percepite come spiriti guida alla preparazione dello Stato fascista); anche le cartoline raffiguranti il Santo risultano essere strumenti di diffusione dell’italianità a partire dalla Grande Guerra e fino al secondo conflitto: queste cartoline continueranno a circolare anche nei mesi della Repubblica Sociale Italiana, la quale continua a considerare Francesco come Patrono d’Italia.
Nella parte conclusiva dell’intervento, Baioni evidenzia come la tensione interpretativa della figura dell’assisiate non sia solo interna alla Chiesa, ma anche nello stesso regime fascista: si fa riferimento alla rivista “Vita Nova”, espressione delle voci laiche interne al fascismo e fondata a Bologna da Leandro Arpinati: gli articoli dedicati al Santo, citati nel volume di Menozzi, fanno trasparire un forte timore circa il cedimento del fascismo alla religione cattolica. Tale timore si concretizza con la stipula dei Patti Lateranensi del 1929, i quali avviano la crisi dell’egemonia gentiliana e creano le premesse della fine della stessa rivista di Arpinati, chiusa dal regime nel 1933.
Nel suo intervento, il prof. Menozzi non solo risponde ai quesiti dei relatori, ma vuole richiamare l’attenzione sulla ricostruzione storica di Francesco, dato che, a suo avviso, vi sono molti studiosi che vogliono decifrare il frate anche attraverso le incrostazioni inserite nella sua memoria.
Con riferimento al primo dei quattro capitoli – dedicato all’età dei Lumi – Menozzi riflette sull’immagine di Francesco ereditata dalla Controriforma e utilizzata dagli illuministi, i quali intendevano ricostruire quello che era stato Francesco attraverso il metodo storico-critico: lo studio delle predicazioni, lette in relazione al concilio tridentino, aveva spinto, infatti, verso l’analisi delle fonti più vicine al Francesco “storico”. Da parte della Chiesa, nel periodo della Controriforma il Santo viene utilizzato per giustificare la presenza del divino, del soprannaturale nella vita dell’uomo, anche attraverso i miti: prende corpo, dunque, una visione miracolistica del Santo. Inoltre, si esalta la figura del frate come colui che ha negato la vita mondana e intrapreso una vita ascetica: si tratta di un tema che diventa oggetto di studio a partire dagli anni Ottanta del Novecento, al quale Menozzi ha prestato attenzione anche alla luce dei contributi offerti da storici come Pietro Stella, in particolare sul rapporto tra i santi e il fascismo (caso emblematico la fascistizzazione e l’italianizzazione di San Giovanni Bosco).
In merito al quesito posto dal professor Baioni al termine del suo intervento sulla evoluzione dell’immagine di Francesco dopo la seconda guerra mondiale, Menozzi sottolinea come ci sia ancora molto lavoro da fare in merito, anche se al momento sembra percepibile una visione sostanzialmente mitica del Santo di Assisi, soprattutto alla luce degli interventi del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio in occasione delle celebrazioni del 4 ottobre scorso.
Samuele Vanoni