Nell’ambito dell’iniziativa culturale BookCity Università 2023 alla Statale ha avuto luogo, in data 17 novembre 2023, la presentazione del nuovo libro del dott. Elia Zaru e la discussione intorno ad esso, inquadrata in Sognare un’altra modernità. Storia di una battaglia intellettuale alla fine del Novecento. Tale incontro è stato inserito anche all’interno del corso di Elementi di Storiografia.
Il testo di Zaru, edito da ETS e dal titolo Crisi della modernità. Storia, teorie e dibattiti (1979-2020), presenta una ricostruzione storiografica inedita sulla discussione avviata da Jean-François Lyotard nel 1979, mentre sul piano teorico ne analizza i presupposti e gli sviluppi, con l’obiettivo di illuminarne le origini, la genesi e la logica sottesa.
La presentazione del volume è stata un’occasione per la discussione su modernità e postmodernità, approcciando la tematica da un punto di vista multidisciplinare, analizzandola dal punto di vista sociologico, filosofico e, soprattutto, storiografico. Hanno partecipato a tale discussione, oltre che l’autore, anche il prof. Davide Cadeddu, il prof. Roberto Mordacci, Prorettore per le Scienze umane e sociali dell’Università Vita-Salute San Raffaele e il prof. Elio Franzini, Rettore dell’Università degli Studi di Milano.
Nell’introduzione all’evento fatta da Davide Cadeddu, moderatore dell’incontro, si è sottolineata l’importanza del dibattito su postmoderno e postmodernità, per cogliere come si colloca il testo del dott. Zaru all’interno del dibattito accademico attuale sul tema
All’introduzione di Cadeddu è seguito l’intervento dell’autore, il quale ha spiegato che il suo scritto nasce dall’esigenza scientifica e teorica di elaborare i traumi, come scritto dell’introduzione, che hanno significato il concetto di postmoderno e postmodernità all’interno del contesto politico e filosofico del secondo Novecento. Questo perché vi era la percezione che vi fosse un nodo irrisolto intorno a tali questioni e che, a distanza di quarant’anni, tale nodo potesse provare a essere sciolto tramite un approccio storiografico. Zaru ha ricostruito la storia di un dibattito muovendosi, dal punto di vista metodologico, col fine di far dialogare due approcci come quello dell’analisi del discorso e della storia concettuale tedesca. Per fare tutto ciò ha scelto di dividere la storia di questo dibattito su tre assi tematico-disciplinari che, fino a questo momento, erano forse rimasti un po’ ai margini rispetto alla discussione su tali tematiche. Gli assi in questione sono quello sociologico, quello epistemologico e quello storico e a ciascuno di essi è dedicato uno dei tre capitoli principali del testo. La tesi di tutto questo lavoro è che questo dibattito, in tutte queste discipline, nel modo in cui si è prodotto e riprodotto ha dato vita a un dilemma che ha visto la contrapposizione tra moderni e postmoderni. Questa contrapposizione ha portato alla creazione di una concezione del concetto di modernità monolitica e idealizzata. Il problema principale rilevato da Zaru è che i due concetti quali crisi della modernità e postmoderno, e la crisi sviluppatasi intorno, hanno alle loro spalle una filosofia della storia che concepisce le epoche in maniera lineare: l’obiettivo era quindi riguardare al rapporto tra le epoche attraverso una lente che considerasse continuità e discontinuità in modo sovrapposto e interattivo. Quello che di fatto emerge dentro questi capitoli e questi campi disciplinari, rispetto alla contrapposizione tra moderni e postmoderni, è che in molti casi si produce una dicotomia che è tra elementi particolari. Ad esempio, il discorso sociologico legge la questione della crisi della modernità e la contrapposizione tra moderni e postmoderni come una contrapposizione tra ordine (modernità) e disordine (postmodernità). O ancora, nell’ambito epistemologico-politico la contrapposizione che si è prodotta è quella tra universalismo e relativismo, una contrapposizione problematica perché non permette di vedere una via d’uscita. Infine, nel discorso storico e nel dibattito storiografico la contrapposizione che si è prodotta è quella tra verità e rappresentazione.
Zaru continua evidenziando che la storiografia, come disciplina, è stata pienamente investita dalla questione del postmoderno negli anni ’70 e ’80: si tratta di una questione che non è completamente nuova in quanto chiama in causa delle problematiche già note alla storiografia, come ad esempio il quesito sul fatto che la storia sia una scienza o meno o quello sul rapporto tra narrazione e soggettività dello storico. Le risposte a tali problematiche sono state radicalizzate talmente tanto da riprodurre di nuovo quella dicotomia a cui si faceva riferimento prima. Nella storiografia del Novecento ci sono tre paradigmi epistemologici: il primo è lo storicismo classico, sviluppatosi tra fino Ottocento e inizio Novecento che persegue la professionalizzazione della disciplina storiografica, il secondo si sviluppa tra gli anni ’40 e ’70 del Novecento, periodo in cui la storiografia si interseca fortemente con le scienze sociali, il terzo paradigma si sviluppa dopo gli anni ’70 con l’emergere delle tematiche del postmoderno che in qualche modo determinano una crisi della stessa storiografia, nel senso che ad un certo punto la storiografia postmoderna mette in dubbio l’esistenza stessa della storiografia in quanto disciplina, mettendo in dubbio la possibilità di comprendere il passato. Ci sono due casi emblematici della contrapposizione storiografica tra moderno e postmoderno: il primo è quello sviluppatosi alla fine degli anni ’80 sulla rivista History and Theory, che contrappone F. Smith e P. Zagorin, i quali discutono della possibilità dell’esistenza della storiografia postmoderna. Il secondo esempio è rappresentato dal testo del 2014 di Hayden White, The Practical Past, in cui egli afferma che ogni spiegazione storica è frutto di una serie di presupposti meta-storici quali lingua, cultura e tutto ciò che forma l’esperienza soggettiva di chi fa storia, facendo crollare la possibilità di costruire oggettivamente quanto, tendenzialmente, un lavoro storico farebbe. Egli inoltre parla di “passato pratico”, unico passato su cui oramai si può fare storiografia perché è l’unico che va pensato mediante la percezione dello storico.
La parola è passata poi al prof. Mordacci, il quale ha sottolineato l’importanza e l’utilità del testo in questione. Un testo importante creato e scritto attingendo a una letteratura vastissima che si smarca da quella precedente, rea di focalizzarsi e analizzare la diatriba tra moderno e postmoderno solo da un unico punto di vista. Mordacci si interroga poi sul perché sia importante il dibattito tra moderno e postmoderno oggi, nonostante il fatto che tale dibattito in realtà si sia concluso da più di un decennio. Proprio però a causa della chiusura del dibattito vero e proprio ora si può guardare ad esso, con la giusta distanza, riuscendo a trarne delle conclusioni. Nel testo si evidenzia come la dicotomia che tende a contrapporre modernisti e postmodernisti possa essere formulabile in alcuni modi. Uno dei modi che ricorre spesso nello scritto è la dicotomia continuità-discontinuità, ovvero se il tempo presente si possa leggere in continuità con l’età moderna – iniziata della seconda metà del secolo XV – o invece vi sia un salto e una cesura come dicono invece i postmoderni. A seconda del tipo di letteratura – sociologica, epistemologica o storiografica – il tema cambia così come il modo in cui si vede questa continuità-discontinuità. Ci si chiede che cosa effettivamente venga meno, come ad esempio la possibilità di descrivere la socialità come un tutto (punto di vista sociologico), o come la questione si tramuti in oggettività-non oggettività (punto di vista filosofico) secondo il pensiero di Nietzsche, o ancora come vi sia oggettività nella narrazione e nel rapporto tra narrazione e fatti storici (punto di vista storiografico). L’obiettivo, ad oggi, è quello di riuscire a superare il problema moderno-postmoderno: cosa importa a noi ora, dal punto di vista dei tre assi, del dibattito in sé? Attualmente diventa rilevante invece come si possa svolgere una analisi critica del contemporaneo in assenza di ingenue certezze su cosa sia il vero, ma anche in presenza della necessità insuperabile e ineludibile di prendere posizione e di dire la propria. Da un lato è evidente che la modernità non sia costituita dalla pretesa di aver raggiunto il criterio ultimo della verità, della validità sociologica o di quella storia, e ciò si evince ad esempio se si guarda la modernità che va da Cinquecento a Ottocento, in cui c’è il tentativo di provare a porre qualche base in una ipotesi di conoscenze non assolute, ma ragionevolmente certe. Il ruolo della postmodernità nella registrazione delle possibilità di tracciare una visione totalizzante apre sul fatto che occorre spalancare una finestra di dubbio sulla storia e, in particolare, sulla sua linearità, ponendo la questione di come funzioni la storia medesima.
Alla base di tale questione, dice Mordacci, vi è ancora una volta Nietzsche, il quale permette di pensare nuovamente che la storia sia abitata da un criterio di valutazione e critica. Il rischio del postmodernismo è che, smantellando la pretesa idealistica di incasellare lo sviluppo storico secondo stadi progressivi fino al compimento, si prenda la strada di dire che la storia sia racconto locale, soggettiva interpretazione del significato degli eventi e che si giunga all’impossibilità di una critica oggettiva. È su questo punto qui che, ad esempio, si innesta il dibattito tra J. Habermas e M. Foucault. Il tema del rapporto critico con la storia è un rapporto che nasce col moderno e che è ripartito nuovamente dopo le giuste osservazioni del postmoderno, ma non è una semplice continuità. Il tema vero è quindi quello della critica. La sfida oggi è esercitare una critica del presente che sappia stare sul fronte del “rendere ragione” delle proprie intuizioni in un modo che sia comprensibile e potenzialmente giustificabile. Ciò è sottolineato nel libro di Zaru grazie a un richiamo a R. Koselleck, ideatore della teoria degli “strati storici”; teoria secondo cui ci sono molteplici movimenti della storia e che ciascuno di essi non può essere affrontato con una vista totalizzante ma che, per frammenti, ciascuno di essi contiene una pretesa e quindi l’indicazione di una possibile critica interna.
Si inserisce nel dibattito quindi Franzini, sollevando la complessità non solo del dibattito tra moderno e postmoderno, ma anche del concetto di critica. Sottolinea inoltre come sia un gesto coraggioso l’entrare nell’analisi di tali tematiche da un punto di vista storiografico e non filosofico, come ha fatto l’autore. Per semplificare il tema Franzini fa una considerazione che all’apparenza, secondo le sue parole, non c’entra con il tema del libro, ma che in realtà portano alla conclusione a chi hanno già portato sia Zaru che Mordacci, ovvero: si può ancora parlare di moderno e postmoderno? Ha ancora senso questo dibattito anche se lo si storicizza? Franzini ci porta a considerare come uno dei problemi del dibattito tra moderno e postmoderno sia come la globalizzazione ha ucciso entrambi i concetti, non soltanto il moderno. Questo perché, di fatto, non ci sono più differenze. Ciò che accomunava la cultura della modernità e della postmodernità era il fatto che vi erano delle differenze: nel caso della modernità le differenze possono essere assorbite all’interno di una dimensione storica, nel caso della postmodernità esse sono appianate dalla fine delle grandi narrazioni. Non a caso la cultura del postmoderno è nata assieme ad un’altra cultura filosofica, quella del pensero della differenza. Il primo momento in cui muoiono moderno e postmoderno è il momento in cui la globalizzazione ne uccide le differenze. Una delle soluzioni, dice Franzini, per reintrodurre le differenze è il pensiero critico. Ci si deve chiedere quale sia, però, la globalizzazione filosofica che ha ucciso moderno e postmoderno. Esiste un momento in cui il pensiero della differenza si manifesta? Questo momento, secondo il Rettore, è individuabile nel trionfo di una filosofia che non è né moderna, né postmoderna, di un pensiero che non è moderno né postmoderno, perché tutto è stato ucciso quando la filosofia continentale è stata ridotta a un retaggio del passato, quando ha preso piede la filosofia analitica. Franzini giunge alla sua conclusione spiegando come non esista un singolo postmoderno e che, uno dei mali nato tutte le correnti postmoderne, è quello di aver reso possibile concettualmente il trionfo della filosofia analitica, una filosofia senza metafisica e senza storia.
Concludendo il dibattito, Zaru riprende la parola spiegando perché ha scelto come limite temporale il 2010, evidenziando come dopo tale anno le questioni che si sono riproposte sul tema erano comunque ascrivibili al dibattito precedente e non vi aggiungevano di nuovo. Chiudendo l’incontro, ribadisce l’importanza del mantenere vivo lo studio di dibattiti che, anche se conclusi, possono dare sempre nuove occasioni di riflessione, anche grazie ad un’analisi che parte da nuovi e originali punti di vista.
Ariel Giuliano