A dispetto del titolo, l’ultima fatica di Irene Piazzoni (docente di Storia Contemporanea e Storia della radio e della televisione presso l’Università degli Studi di Milano) non è solo una vasta ed esauriente panoramica sulla storia del libro e dell’editoria nel corso del Novecento italiano: è anche al contempo l’analisi del complesso intreccio tra cultura, politica, società ed economia che lo ha caratterizzato. Attraverso le alterne vicende di case editrici, scrittori e intellettuali, titoli di successo e volumi censurati, è possibile infatti ripercorrere la storia delle ideologie, il processo di alfabetizzazione ed emancipazione delle masse, l’evoluzione della figura dell’intellettuale, i tentativi di controllo culturale da parte della politica, i mutamenti del mercato, fino ad arrivare alle sfide che la rivoluzione digitale porta con sé.
Apertamente dichiarata fin dall’introduzione, è la scelta dell’autrice di considerare il Novecento dei libri coincidente “con il secolo nella sua interezza”: il volume è dunque suddiviso in sei macro capitoli che individuano altrettante epoche storiche: dalla Belle époque alla prima guerra mondiale, gli anni del regime fascista, il secondo dopoguerra, dal miracolo economico al ’68, gli anni ’70-’80 e l’età postmoderna.
Il “Laboratorio del primo Novecento” mostra come il panorama asfittico (pochi lettori, scarse tirature) che aveva caratterizzato il XIX secolo appaia in evoluzione grazie all’offerta di nuove case editrici (Sonzogno, Treves, Vallardi). Si pone per la prima volta il nodo tra arte e mercato, progetto e commercio, qualità e vendibilità. La metamorfosi del settore prende avvio con il primo attacco alla fortezza del positivismo: il neoidealismo di matrice crociana indirizza il rinnovamento del canone alto. Emerge inoltre a inizio secolo l’impresa editoriale legata a gruppi e partiti in funzione della lotta politica. La Voce di Papini e Prezzolini si fa rappresentante del dibattito sullo stato dell’editoria e della cultura, invocando per le collezioni una direzione autorevole: salgono alla ribalta gli intellettuali, che contribuiscono ad orientare le scelte delle case editrici. La guerra di Libia e poi mondiale sono la prima ragione di crisi per il circuito dell’editoria democratica, repubblicana e socialista.
Negli “Anni del regime, tra lusinghe del mercato e coercizione politica” Piazzoni ricostruisce, attraverso esemplificazioni puntuali e preziose testimonianze anche di prima mano – carteggi, articoli, memorie sono ampiamente utilizzati dall’autrice in ognuno dei capitoli considerati – l’ambivalenza del rapporto tra editori e regime: vario e articolato, presenta innumerevoli opzioni tra i due poli opposti rappresentati da adesione sincera e antifascismo attivo. E’ nella “zona grigia” individuata tra questi due estremi che trovano spazio, nonostante tutto, sperimentazioni e nuovi linguaggi: si diffondono la narrativa di genere, il fumetto, il cinelibro, i romanzi audaci e d’evasione, opere di divulgazione scientifica. La limitatezza del mercato lascia inizialmente all’editoria spazi di manovra più ampi rispetto a cinema e stampa, ma nel ’34 viene istituita la censura preventiva che comporta tagli e sequestri (soprattutto di opere straniere dopo le sanzioni del ’35); dal ’38 la bonifica razziale colpisce tutte le opere di editori e autori ebrei. Nonostante ciò è proprio lì, nel mondo del libro e dell’editoria, che cominciano a germinare i semi di quell’antifascismo che accompagnerà la società alla transizione verso la democrazia.
I “Libri per l’Italia democratica” dopo la caduta del regime arrivano soprattutto da Milano (la piazza più vivace, con Mondadori e Rizzoli che consolidano il connubio libri-periodici) e Torino, dove Einaudi è pronta all’exploit che la collocherà al centro del sistema: la pubblicazione degli scritti gramsciani (tra il ’49 e il ’52 escono i Quaderni del carcere) ha enormi ricadute sul fronte politico, filosofico, economico, letterario e linguistico. Il Pci si appoggia anche su sigle di più stringente militanza (nel 1953 dalla fusione di Edizioni Rinascita con le Edizioni di Cultura Sociale nasce Editori Riuniti), e sorgono contestualmente case editrici cattoliche, socialiste, democristiane. È l’epoca delle collane universali e del “saper tutto”: la più celebre è la BUR Rizzoli che ripropone i grandi classici e gli indispensabili della cultura umanistica. Picchi di vendite per le enciclopedie a dispense distribuite nelle edicole e porta a porta, i fotoromanzi e i romanzi rosa, segno che il mercato si sta ampliando in una direzione interclassista.
Gli anni “Dal miracolo alla contestazione”, con l’aumento generalizzato dei redditi e del tempo libero, sono caratterizzati da una diffusa richiesta di narrativa. Fenomeno rilevante è quello del tascabile: nel ’65 Mondadori lancia gli Oscar, uscite settimanali a prezzi contenuti con risultati di vendita eccezionali; seguono l’esempio Garzanti, Longanesi, Mursia, che inondano le edicole di proposte. Si delinea una nuova figura di lettore più disinvolto nelle scelte culturali: è ormai un “consumatore” di libri. Gli stessi cataloghi dell’epoca testimoniano i processi di secolarizzazione e trasformazione dei valori e delle sensibilità. Questo modello di lettore – consumatore sarà denigrato dai maître à penser della contestazione, in un corpo a corpo tra intellighenzia e industria culturale. Il modello di distribuzione editoriale appare ormai asfittico e richiede nuovi approcci di vendita e strategie di circolazione del prodotto: l’editoria funziona ancora secondo logiche “artigianali”, ma presto il modello entrerà in crisi.
È “Il canto del cigno dell’editoria protagonista”: la contestazione mette in campo una nuova leva di intellettuali che compromettono pratiche assodate e inondano il mercato di pubblicazioni (saggi, opuscoli, pamphlet), ma senza che emerga una proposta letteraria ben identificata e di valore duraturo. Sono presenti novità interessanti nella piccola industria libraria, così come nell’ambito dell’editoria per l’infanzia, che porta avanti la battaglia per una radicale revisione della pedagogia e della didattica. Tuttavia cambiano le dinamiche del mercato: da un lato l’impegno editoriale è visto come un importante servizio sociale; dall’altro la crisi economica degli anni ’70 porta al capolinea strutture come Longanesi e Bompiani (la stessa Einaudi nel 1983 è sull’orlo del fallimento) favorendo l’ascesa delle concentrazioni. Mondadori approda negli anni ’80 a modello di azienda leader nel mercato: il lavoro di scouting lascia spazio all’ovvietà – la “politica del best-seller” – e al successo garantito.
Nell’ultimo capitolo di questa ponderosa perlustrazione storico-culturale, Piazzoni ci riporta al presente: in “Concentrazioni e nuovi soggetti nell’età postmoderna dell’editoria” si considerano l’avvento dei network privati, l’exploit del consumo televisivo e la diffusione dei computer in relazione alle nuove sfide aperte sul mondo del libro, che – con il declino delle categorie ideologiche del ‘900 e la quasi totale estinzione dell’editoria militante – ha subìto negli ultimi anni trasformazioni radicali.
Il principale filo rosso che lega in armonica corrispondenza i sei capitoli del volume è costituito dall’analisi circostanziata di alcuni distinti generi letterari colti nelle loro specificità e soprattutto nella loro evoluzione o involuzione: la saggistica alta, il romanzo “popolare”, la poesia, la letteratura per l’infanzia – solo per citarne alcuni – sono ben descritti da Piazzoni nel loro sviluppo lungo tutto l’arco cronologico considerato. Ne sono posti in evidenza gli snodi periodizzanti, le difficoltà, i punti di forza o di debolezza, in un percorso critico che non dimentica mai di riferirsi con puntualità al contesto storico, politico, sociale ed economico; e che soprattutto suggerisce al lettore interessanti spunti di riflessione meritori di ulteriori ricerche. A supporto di eventuali approfondimenti, Piazzoni fornisce in chiusura di volume un apparato bibliografico esaustivo ed aggiornato, corredato dall’indice dei nomi e da una nota bibliografica che passa in ricognizione le rassegne di studi di storia dell’editoria in età contemporanea.
La prosa elegante e scorrevole dell’autrice, che inserisce sapientemente nel testo aneddoti e testimonianze dirette dei protagonisti delle vicende ricostruite, accompagna il lettore in un excursus tanto impegnativo quanto affascinante, in grado di restituire un affresco a tutto tondo di quel “secolo breve” che possiamo definire, a buon diritto, anche il “secolo del libro”.
Laura Bricchi