Quando si parla comunemente di economia si ricorre spesso a immagini o metafore (come, ad esempio, una somma di denaro che deve fruttare) per spiegarne dei concetti o dei meccanismi. Ebbene, queste immagini linguistiche deriverebbero dall’età medievale, dove furono sviluppate principalmente dalla Scolastica, e avrebbero in seguito percorso, riconcettualizzate, tutte le fasi dello sviluppo della scienza economica, arrivando ad essere usate ancora oggi. Secondo questa prospettiva, dunque, l’inizio della formazione della lingua economica europea si situerebbe durante il medioevo e la prima età moderna, quando alcune immagini e metafore usate nei discorsi dei teologi Scolastici sarebbero state in grado di trasmettere e diffondere un sistema di concetti di natura economica. Così il carattere visivo di tale sapere economico lo avrebbero reso comprensibile a chiunque, divenendo successivamente un patrimonio comune europeo dell’epoca moderna e contemporanea. Inoltre, avendo un nesso molto forte con la fede cristiana e la sua teologia, tale linguaggio avrebbe instaurato una relazione tra le dinamiche economiche e le emozioni umane, facendo della razionalità economica un sentimento umano e naturale. Questa è la tesi sostenuta in questo libro da Giacomo Todeschini, già professore di storia medievale dell’Università di Trieste e che si è occupato anche della formazione del linguaggio del pensiero economico, come dimostrano altre sue pubblicazioni come Ricchezza francescana (2004)e Come Giuda (2011).
Il libro presenta dodici capitoli suddivisi in quattro parti. La prima illustra le metafore organiche dello sviluppo economico, la seconda si concentra sulle immagini che sono collegate a quella della salute e la crescita del corpo socioeconomico, la terza tratta del corpo economico nell’età moderna e la quarta della teologia economica e degli economisti. Un elemento che tiene unito tale trattazione sono le fonti usate da Todeschini, che si avvale principalmente delle opere dei grandi pensatori della politica e dell’economia, tra cui quelle di Thomas Hobbes, Adam Smith, François Quesnay e Jean-Baptiste Say, ma anche opere di importanti teologi Scolastici e Padri della Chiesa, come ad esempio Pietro di Giovanni Olivi e Sant’Agostino.
Inizialmente Todeschini si concentra sul percorso linguistico compiuto da alcune idee e metafore particolarmente importanti per la lingua economica. Tra queste, troviamo la rappresentazione dell’intera cristianità come un corpo composto di membra organizzato in modo gerarchicamente naturale. L’equiparazione della circolazione del denaro a quella dei fluidi vitali all’interno di un corpo, come elemento importante per la crescita e lo sviluppo economico, e il denaro, inteso come capitale, identificato con uno strumento in grado di far fiorire la ricchezza da chi è capace di usarlo, furono altri concetti basilari della lingua economica. Dalla circolazione del denaro discendeva come effetto l’equilibrio economico. Quest’idea si svilupperà tra XIV e XV secolo fino a raffigurarlo come lo stato di salute del corpo composto dai mercati europei. Successivamente dall’unione di tale tema con quello del dubbio equilibrato, cioè l’equilibrio probabilistico inerente al rischio di un investimento, si arriva all’enunciazione settecentesca che il corpo economico possa raggiungere l’equilibrio se lasciato libero di regolarsi. Infine, l’idea che l’economia migliore nascerebbe sia dalla collaborazione delle diverse membra che compongono il corpo pubblico, sia dall’assorbimento delle regole che determinano questo corpo, così da mantenerlo in salute, trae origine dal pensiero scolastico, secondo il quale l’organizzazione gerarchica della società cristiana sia funzionale alla sua crescita e al suo sviluppo, perché espressione di una razionalità umana e divina. Le diverse capacità e attitudini delle membra si traducevano in una diversa loro capacità di far fluire l’energia vitale, la ricchezza, all’interno del corpo per mantenerlo in vita.
Dopodiché l’autore affronta delle tematiche che sono collegate o discendono da questi concetti linguistici, come quella dell’identificazione di alcune pratiche economiche con le malattie del corpo sociale ed economico o con ostacoli alla sua crescita, derivante dalla rappresentazione medievale sia degli eretici come membra infette del corpo socioeconomico, sia dei non cristiani come animali. Successivamente, soprattutto a partire dalla riforma della Chiesa dell’XI secolo, entrarono a far parte della rappresentazione anche la pratica dell’usura e della simonia. Ciò comportò, dal medioevo all’età moderna, che gli stessi usurai e simoniaci, e le loro pratiche economiche, potessero essere descritti con lo stesso vocabolario usato per gli eretici e i non cristiani. Infatti, i comportamenti economici di queste due tipologie di individui, che si basavano su un desiderio di accumulazione di ricchezza, venivano sempre più identificate con ostacoli alla crescita della società o malattie del corpo sociale ed economico, perché portavano ad una sottrazione della ricchezza circolante nella società che non veniva poi impiegata per la sua crescita, venendo solo accumulata e non reinvestita.
Come sottolinea Todeschini, una possibile cura del corpo economico e sociale veniva individuata nel contratto, orale e scritto, che veniva concepito come una forma giuridica che poteva garantire l’equità negli scambi. Nel medioevo il contratto si legò al concetto di buona fede, che individuava alla base del contratto stesso un’intenzione che possedeva un significato che era possibile verificare in modo morale o teologico. Questo comportò, per il diritto canonico e civile medievale, che chi avesse stipulato un patto era obbligato alla sua osservazione per motivi che erano legati alla sua personalità. Da qui l’attenzione per gli esperti verso l’intenzionalità dei contraenti, che doveva essere individuata ogni volta e che le parole del contratto spesso celava. Inoltre, per individuare correttamente la natura di un contratto bisognava tenere conto anche della reputazione e della appartenenza sociale dei contraenti, viste come chiavi di lettura per giudicare la “qualità” dei contraenti. A tutto ciò seguì l’immagine del contratto, medievale e moderna, come elemento ambiguo, fragile, dovuto al fatto che possedeva una natura interpretabile in maniera arbitraria, da cui la sua rappresentazione come medicina per l’organismo economico che poteva divenire per lui tossica.
Un’altra idea economica di origine medievale, secondo Todeschini, collegata all’immagine del corpo economico come insieme di membra, è quella che individua nell’interesse privato la base della ricchezza collettiva. Partendo da discorsi teologico-morali sulla caritas, che situavano in una gerarchia degli affetti l’amore di sé dopo l’amore per Dio ma prima dell’amore del prossimo, si giunge nel Trecento a parlare dell’interesse privato, funzionale al bene comune. Successivamente si passò dal Quattrocento al Seicento a teorizzare che l’equilibrio economico si fondasse su due momenti distinti: l’impadronirsi della ricchezza da parte del privato e la distribuzione di parte della sua ricchezza agli altri. Infine, da queste concezioni nel Settecento si sviluppò una dottrina economica che indicava nell’avarizia una premessa della ricchezza collettiva.
Un elemento importante dei discorsi economici medievali e moderni, spiega Todeschini, era la relazione gerarchica tra le membra che componevano il corpo dello Stato. Infatti, come il corpo ha bisogno di diversi e disuguali organi per vivere e funzionare, così un regno ha bisogno di persone in grado di praticare vari mestieri di diversa importanza ma che devono comunque essere svolti.
Nel libro viene anche mostrata come alcuni concetti medievali e della prima modernità vengano metabolizzati dai primi economisti e di come altri divengano invece elementi strutturali della scienza economica. Alle prime appartiene la vicenda della metafora del denaro come sangue che deriva dalla rappresentazione negativa e stereotipata degli ebrei, la quale veniva usata anche come elemento linguistico per far risaltare positivamente le pratiche finanziarie cristiane. Invece alle seconde appartengono immagini come l’infezione del contratto, dovuto a un suo difetto di forma che lo annullava, alla personificazione delle nazioni, equiparate a soggetti con un proprio carattere, e la metafora dello sciame delle api e dell’alveare, che da immagine dello stile di vita dei monaci diviene metafora del mercato e delle sue disuguaglianze e squilibri.
L’autore illustra, quindi, il percorso linguistico che portò allo sviluppo dell’idea che le competenze economiche di un individuo derivano dalla sua adesione alla razionalità naturale. Infine, nell’ultimo capitolo affronta il tema della provvidenza intesa come capacità previsionale economica, dominante nella formazione del discorso economico. Infatti, è stata alla base di moltissimi discorsi economici e ha moltiplicato le metafore meccaniche e naturalistiche usate ancora oggi per spiegare e rappresentare i mercati.
Dunque, la lingua economica è riuscita, attraverso l’uso di elementi visivi, a descrivere in maniera chiara e accessibile le dinamiche e i principi economici, ma al tempo stesso questi suoi componenti visivi hanno condizionato, e condizionano, la nostra percezione della realtà economica. La lingua economica ha potuto passare indenne tra le diverse dottrine economiche proprio perché era divenuta con il suo vocabolario visivo e concettuale un patrimonio comune della cultura europea, elemento che perdura ancora oggi, riuscendo ad essere impiegata dalle differenti scuole economiche e ad attraversare le diverse epoche storiche.
Iacopo Giuseppe Pietro Lotti