L. Blum, Il discorso di Tours (27 dicembre 1920), M. G. Meriggi (a cura di), Biblion, Milano, 2021
A distanza di un secolo dal Congresso della Section Française de l’internationale ouvrière (SFIO), tenutosi a Tours nel dicembre del 1920, viene pubblicato in Italia, in un volume curato da Maria Grazia Meriggi, il discorso pronunciato da Leon Blum contro l’adesione del partito alla Terza internazionale e a difesa della «vecchia casa socialista».
Come osservato nella prefazione da Michel Dreyfus, la scissione prodotta dalla maggioranza, che diede vita al Partito Comunista Francese, ebbe conseguenze importanti anche per gli altri due elementi del trépied (così definito nel 1913 da Adéodate Compère-Morel) su cui si fondava l’azione del socialismo francese, ovvero la Confédération Générale du Travail (CGT) e la Federazione Nazionale della Cooperative di Consumo. In campo sindacale i comunisti formarono un’organizzazione autonoma, la CGTU (Confédération Générale du Travail Unitaire), contestando l’atteggiamento conciliante assunto dalla CGT allo scoppio della Grande Guerra, in antitesi ai dettami del sindacalismo rivoluzionario da cui era stata fino a quel momento influenzata. Al contrario, essi non riuscirono a fare altrettanto in campo cooperativo a causa della debolezza del movimento dissidente. I rapporti con i socialisti rimasero comunque tesi per alcuni anni.
Nel suo discorso, pubblicato il 28 dicembre sulle pagine de “L’Humanité”, Blum respinse in toto i 21 punti stilati in estate a Mosca nel corso del II Congresso del Comintern, ritenendo la nuova dottrina non solo in contrasto con ciò che era stato storicamente il movimento socialista, ma anche con quanto affermato all’interno del Manifest da Engels e Marx. Ad essere messa sotto accusa era in particolare la concezione del partito come avanguardia, gerarchicamente organizzato, verticistico e capace di manovrare le grandi masse. Egli vi contrapponeva un partito esteso all’intera classe operaia, in grado di registrare la volontà popolare attraverso un processo di selezione degli organi direttivi fondato sulla rappresentanza proporzionale e di garantire la massima libertà di pensiero.
Secondo Blum, tutto ciò si legava a un’errata interpretazione del significato della rivoluzione socialista, che per Lenin e i bolscevichi si traduceva nella immediata conquista del potere, vista come un fine e non più come il mezzo per raggiungere un regime economico fondato sulla proprietà collettiva. In questo modo la dittatura del proletariato diveniva, piuttosto che una fase transitoria, il momento finale di un processo di trasformazione sociale, un sistema stabile di governo. Al contrario, senza per questo tradire la natura rivoluzionaria del partito, Blum difendeva il lavoro di propaganda svolto dalla SFIO presso le masse operaie e le riforme rese possibili dall’azione del gruppo parlamentare socialista, di cui era divenuto presidente nel 1919, guardando positivamente alla competizione elettorale come mezzo per la conquista del potere.
Tali orientamenti erano già stati sostenuti da Blum il 21 aprile 1919 al Congresso nazionale straordinario della SFIO. In questa circostanza la rivoluzione sociale veniva posta come orizzonte ultimo del movimento operaio e messa in relazione con l’eredità della Rivoluzione francese, subordinando il raggiungimento di una piena democrazia, fondata sull’eguaglianza politica di tutti i cittadini, alla realizzazione di un’effettiva eguaglianza sociale. Per il momento, la crisi del capitalismo, resa evidente dal conflitto mondiale appena conclusosi, rendeva urgente un rinnovamento politico, teso a una democratizzazione delle strutture di governo e alla concessione di spazi più ampi agli organismi di rappresentanza del movimento operaio. A ciò si univa la necessità di un rinnovamento economico, che salvaguardasse le funzioni assunte dallo Stato nel corso della guerra, così da garantire non solo l’aumento delle capacità produttive del sistema industriale, ma anche una maggiore giustizia sociale.
Come sottolineato nell’introduzione da Maria Grazia Meriggi, l’opposizione di Blum nei confronti del bolscevismo va osservata in parallelo all’azione svolta da uomini politici di lungo corso come Julij Martov e Filippo Turati, rispettivamente in Germania e in Italia. Eppure, secondo la storica, nonostante esistano delle similitudini tra le vicende dei partiti socialisti dei tre Paesi nel primo dopoguerra, che rendono possibile guardare alla dimensione internazionale della crisi innescata nel mondo socialista dalla Rivoluzione russa, la scissione della SFIO risulta essere il prodotto della peculiare situazione venutasi a creare in Francia. Soltanto qui i socialisti erano andati al governo nel corso del conflitto, percepito essenzialmente come una «guerra difensiva». Le elezioni del 1919 avevano portato a una pesante sconfitta elettorale, dovuta anche alla decisione di non presentare liste comuni con i radicali, decretando la vittoria del Blocco nazionale. Contemporaneamente le speranze riposte dal sindacato nel nuovo Consiglio economico del lavoro, non si tradussero in una sua istituzionalizzazione. Di fatto la SFIO e soprattutto la CGT non erano più in grado di interpretare e dare rappresentanza all’ondata di conflittualità che si era diffusa in quegli anni nel Paese.
Accettando la scissione ormai come un dato di fatto, il discorso di Tours assume per Maria Grazia Meriggi piuttosto la dimensione di un’apertura verso il futuro. D’altronde Blum, sebbene avesse aderito al partito fin dalla sua fondazione nel 1905, ne era diventato un esponente politico di primo piano solo dopo essere stato eletto deputato proprio alle elezioni del 1919. In precedenza era stato un alto funzionario del Conseil d’état e capo di gabinetto del ministro dei Lavori Pubblici Marcel Sembat dal 1914 al 1916. La sua biografia si sarebbe poi intrecciata con le vicende della Terza Repubblica, la vittoria del Front Populaire nel 1936, l’opposizione alla concessione dei pieni poteri a Pétain nel 1940 e la successiva prigionia.
Maria Grazia Meriggi legge il discorso di Tours come il tentativo di gettare le basi per un rinnovamento politico della tradizione socialista, che vedeva nel partito lo strumento per organizzare, e non creare, le pulsioni provenienti dal basso, traducendole alle istituzioni, a seconda del grado di autocoscienza acquisita dalla classe operaia nei confronti dell’obiettivo finale, che rimaneva la rivoluzione sociale. Secondo questa interpretazione il nucleo centrale della lezione di Blum consisterebbe, quindi, nel «richiamo alle soggettività, che pure devono trovare una forma politica per essere ascoltate e non schiacciate “in un fulgor di gloria”».
Tommaso Cerutti