Filippo Focardi, Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe, Viella, Roma, 2020.
Il lavoro svolto da Filippo Focardi, docente di storia contemporanea presso l’università di Padova, inaugura la collana dell’Istituto Parri, di cui Focardi stesso è direttore scientifico. In questo libro ha presentato i risultati principali dei suoi lavori unendo insieme saggi precedentemente pubblicati, aggiornati e rielaborati. Il volume analizza criticamente i meccanismi della memoria, l’uso pubblico del passato, i falsi stereotipi e mette in luce il delicato rapporto tra storia e memoria in Italia. Viene evidenziato come sia necessario oltrepassare l’idea di una memoria condivisa unica, cercando invece di intraprendere una più scrupolosa conoscenza della storia, in una dimensione europea e globale.
Nell’analisi di Focardi emerge quindi l’importanza dello storico nel dibattito pubblico e la missione che gli viene affidata: analizzare criticamente le memorie, i ricordi, ricostruire i meccanismi identitari delle politiche della memoria con la consapevolezza della battaglia e, a volte della strumentalizzazione, che ne sta dietro. Un uso pubblico del passato che diventa spesso abuso e che lo storico è tenuto ad analizzare e a far conoscere all’opinione pubblica, con tutte le implicazioni che comporta. L’autore si è avvalso di un’ampia bibliografia, sitografia, di articoli e discorsi istituzionali: ne sono un esempio quelli del presidente della repubblica Ciampi, nella sua azione di «pedagogia civile» finalizzata a un progetto di «rifondazione del patriottismo istituzionale» (p. 239).
Il volume, suddiviso in due parti, si sofferma inizialmente sulla memoria italiana del fascismo e della Seconda guerra mondiale, connotata da un continuo giudicare il fascismo con il metro del nazismo. Questo ha comportato una destoricizzazione del regime fascista e la creazione di una memoria autoassolutoria e vittimistica incentrata sullo stereotipo del “bravo italiano” che si distingueva per i suoi meriti umanitari, in particolare la protezione degli ebrei, contrapposto al “cattivo tedesco”. Questa visione è stata sostenuta da tutte le forze politiche e, nonostante la storiografia abbia dimostrato le responsabilità italiane e che l’antisemitismo non fu imposto da Berlino, il mito del “bravo italiano” trova ancora oggi difficoltà a “sradicarsi” dalla memoria collettiva. Nella seconda parte, invece, si affronta il cambiamento della memoria pubblica nazionale dopo la crisi della prima repubblica, la fine della guerra fredda e la nascita di nuovi soggetti politici. L’ascesa in campo di nuovi protagonisti ha innestato una «guerra della memoria» (p. 204) al fine di legittimarsi e di creare una «memoria condivisa» non più incentrata sull’antifascismo ma sull’anti-totalitarismo. La sinistra si è mostrata disponibile al compromesso sulle memorie che si è tradotto in una «lottizzazione della memoria basata su una intrinseca logica di scambio» (p. 223).
In questo contesto si inserisce l’azione svolta dal presidente Ciampi il quale ha legato insieme Risorgimento, Resistenza, Repubblica italiana, Unione Europea e il suo contributo, insieme a quello dei suoi successori, ha posto argine al revisionismo di destra: le due memorie, quella antifascista e quella anti-antifascista, non sono mai state riconosciute uguali. Viene affrontato anche il processo di crisi del ruolo della memoria resistenziale che negli ultimi anni, nonostante rimanga la sua importanza nella memoria nazionale, ha un nuovo nemico da affrontare: l’indifferenza.
Un altro aspetto approfondito è la nuova centralità assunta dalla Shoah, con l’istituzionalizzazione della Giornata della Memoria nel 2000; in rapporto a questa memoria si è svolto da fine anni Novanta «il percorso di legittimazione democratica» (p. 208) di Gianfranco Fini. Sul piano del dibattito pubblico ciò è stato percepito come una sorta di «rito di purificazione del fascismo» con l’effetto di riabilitare l’immagine edulcorata del regime, diffusa nel corso degli anni Ottanta (p. 208). Anche l’istituzionalizzazione nel 2004, voluta dalla destra, della Giornata del Ricordo, con tutte le polemiche che ha comportato, (pp. 213-215) si inserisce nel panorama di creazione di una «memoria corale». Il contesto italiano appare quindi «connotato da una pluralità di memorie di segno diverso» (p. 232) nate post ’89 e «dal tentativo di fondare una memoria condivisa nazionale» (p. 232) promossa con energia dalle istituzioni.
In Italia, come in Europa, si è mostrata una tendenza alla polarizzazione delle culture della memoria: da un lato una nazionalista, incentrata sulle foibe e, dall’altro, una cultura del ricordo «articolata sui pilastri principali della Resistenza e della Shoah, segnata dalla persistenza dell’immagine autoassolutoria del bravo italiano» (p. 336).
L’Italia si inserisce nel quadro dell’Unione Europa che dopo l’89 ha sviluppato una propria politica della memora incentrata sulla Shoah e sul paradigma antitotalitario. Più che una memoria condivisa di tutti i membri dell’Unione, sembra essere necessaria la nascita di «una cultura europea del ricordo» da realizzare «investendo sulla storia prima ancora che sulla memoria» mediante la promozione a livello dei singoli stati di «una rielaborazione del passato in senso critico»; questa deve saper «leggere anche le pagine più scomode della storia nazionale» (p. 326). Attualmente dietro la contrapposizione delle memorie vi è sempre in palio la prospettiva futura della democrazia in Italia e in Europa. Nel delicato rapporto tra storia e memoria, spesso confuse nell’opinione pubblica, lo storico ha il compito di promuovere un uso del passato critico e non strumentalizzato.
Il contributo di Focardi espone molti spunti di riflessione, anche sulla realtà odierna e lascia aperte nuove prospettive sulla strada che l’Unione Europea dovrà intraprendere nella politica della memoria, con gli scenari politici e le società in continuo mutamento.
Silvia Eleonora Brera