Prigionieri della storia, quello che ci insegnano i monumenti
Keith Lowe, Prigionieri della storia. Che cosa ci insegnano i monumenti della seconda guerra mondiale sulla memoria e su noi stessi, traduzione a cura di Chiara Baffa, UTET, Milano, 2021.
Lo studioso britannico Keith Lowe (1970) è autore di importanti lavori sulla Seconda guerra mondiale. Il suo saggio Inferno: The Fiery Devastation of Hamburg, 1943 ha avuto un buon riscontro. The Fear and the freedom è una storia intima delle conseguenze a lungo termine della Seconda guerra mondiale e dell’ombra che ancora oggi getta sulle nostre vite. È stato selezionato per la Historical Writers’ Association Non-fiction Crown, ed è stato adattato come una serie radiofonica in 12 parti nella Repubblica Ceca. In Italia ha pubblicato Il continente selvaggio (Laterza, 2013), vincitore del Premio Internazionale Cherasco Storia e dell’Hessell-Tiltman Prize for History, è divenuto uno dei primi dieci bestseller del Sunday Times. Parla regolarmente in TV e alla radio e spesso tiene conferenze sulla storia del dopoguerra in Europa e Nord America. È stato consulente storico del documentario The Bombing of Germany. Ha scritto e scrive su numerosi giornali e riviste, fra i quali “The Telegraph”, “The Times”, “Wall Street Journal”, “El Pais” e “Neue Zürcher Zeitung”.
Uscito nel gennaio 2020 ma tradotto in italiano da Chiara Baffa nel 2021, questo libro sembra quasi anticipare una questione che è tornata a far parte del dibattito pubblico a seguito della morte di George Floyd, avvenuta negli Stati Uniti nel maggio 2020, e con la nascita del Movimento Blacks Lives Matter. In questa occasione vennero danneggiate, da parte di alcuni manifestanti, o anche rimosse le statue in ricordo di colonizzatori e schiavisti. Essere a conoscenza di quello che viene celebrato e l’impatto che può avere nella popolazione permette di afferrare quello che è il fulcro di questo libro: siamo prigionieri della storia e, se la ignoriamo, tornerà a perseguitarci. In sostanza questo libro permette di confrontarci con noi stessi, con quello che siamo e che siamo stati. Il dibattito sulla memorialistica è sempre molto attuale e vivo, si pensi a quello che frequentemente avviene a Milano alla statua di Indro Montanelli.
In Prigionieri della storia, Keith Lowe compie un’analisi dei monumenti creati in memoria della Seconda guerra mondiale. Offre diverse emozioni che possono emergere alla loro presenza sia che si tratti di monumenti per eroi, per martiri, per mostri, in memoria dell’apocalisse che ha rappresentato la Seconda guerra mondiale o la rinascita che ne è seguita. Appare chiaro, come lo stesso autore afferma nel diciottesimo capitolo, come alcune nazioni abbiano cercato di essere all’altezza di un ideale di magnificenza – nel caso dell’America un esempio è il Marine Corps Memorial di Arlington – altre abbiano faticosamente accettato il proprio passato – in relazione alla Germania alcuni esempi possono essere trovati nella Topografia del terrore di Berlino e nel Monumento alle vittime dei bombardamenti di Amburgo. Altre ancora hanno a loro modo interpretato quanto accadde, in questo caso il riferimento più diretto è al santuario Yasukuni a Tokyo.
Le statue non hanno sempre uno scopo celebrativo. Possiamo vederle sotto una luce diversa come viene raccontato nel capitolo diciassette del libro, quando viene affrontata l’esperienza di Grūtas Park in Lituania e della Statua di Stalin che è qui conservata. Un luogo, questo, in cui l’imprenditore Viliumas Malinauskas ha deciso di radunare alcuni monumenti espressione del comunismo e demonizzarle al posto che distruggerle.
Le statue possono anche lasciare perplessi. Non sempre si afferra subito il motivo preciso per cui si trovano in un determinato luogo e cosa venga celebrato. Possono suscitare in questo modo imbarazzo, come nel caso del Monumento ai caduti di tutte le guerre a Lubiana. Non sempre si capisce perché sono state erette, come nel caso del Memoriale per le vittime dell’occupazione tedesca di Budapest a cui prontamente la popolazione ha risposto con un contro-monumento. Altre volte ancora non si comprende a chi siano dedicate, come nel caso del Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa eretto a Berlino dove non emerge nessun particolare elemento che precisi che l’Olocausto è l’oggetto della celebrazione del monumento. Ulteriore prospettiva, non sempre considerata, è che semplicemente una statua e il luogo in cui essa si trova siano provocazioni, come per esempio la Statua della Pace di Seul posta davanti all’ambasciata giapponese in Corea del Sud per commemorare le donne di conforto, o semplicemente un modo per ricostruire un sentimento collettivo altrimenti danneggiato, come può essere il Katyń Memorial di Jersey City per la popolazione polacco-americana.
In questo libro non vengono solo descritti una serie di monumenti. Vengono fornite anche tutta una serie di motivazioni per cui quello che viene ricordato è importante per la comunità in cui si trova. La presenza di immagini, anche se in bianco e nero, smuove già di per sé sensazioni ed emozioni. Suscita il desiderio di riprendere a viaggiare per poter afferrare con mano anche solo una piccola parte del sentimento trasmesso in questi venticinque capitoli che toccano molti angoli del globo, da Volgograd ad Arlington, da Nanchino a Oradour-sur-Glane, da Bologna a Leyte.
Laura Martucci