G. Schininà, A Schininà (a cura di), 1918. Crolli, rivoluzioni e trasformazioni nell’Europa Centrale tra Storia e Letteratura, Milano, Mimesis, 2020.
Il 1918 si configura come anno cardine nella storia degli Imperi Centrali. Questo è infatti l’anno che ne determina la caduta, aprendo così nuovi scenari di dibattito, instabilità e sperimentazione politica che si inscrive nel vuoto di potere lasciato dalla fine delle monarchie continentali e dal trauma dell’esperienza della Prima Guerra Mondiale. Come fanno notare Alessandra e Giovanni Schininà nella prefazione, per l’Europa Centrale il 1918 inaugura una lunga stagione di instabilità politica e violenza che caratterizzerà tutto il periodo tra le due guerre. I saggi contenuti nella curatela sono stati presentati durante la VI edizione delle “Giornate iblee della germanistica”, tenutasi a Ragusa Ibla dal 24 al 26 ottobre 2018, in occasione del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. Filo conduttore del volume è il tema del 1918 come punto di cesura nella storia degli Imperi (prussiano, asburgico e in minima parte anche quello Ottomano). Gli studiosi attivamente coinvolti nel progetto delineano un quadro in cui è possibile cogliere non soltanto la profonda crisi politica e sociale generata dall’avvento di nuove forme di potere, ma anche la continuità sociale e generazionale nelle repubbliche nate dopo la caduta degli imperi, sopravvivenze e crisi dell’ordine costituito, l’estraniamento generazionale dovuto all’esperienza traumatica della Prima Guerra Mondiale e concetti come nazionalismo, violenza politica e pulizia etnica. Particolarmente sentito è anche il tema dell’utopia politica, presente in alcuni autori trattati: cosa può nascere dallo sfaldamento degli apparati imperiali? Come includere la traumatica esperienza bellica nella transizione repubblicana?
La raccolta procede su due binari differenti: la prima parte è dedicata alla riflessione circa il crollo degli imperi propriamente detto, con lo smantellamento delle istituzioni che ne avevano garantito la sopravvivenza, e include l’analisi delle riflessioni e delle soluzioni proposte dalla società civile e dagli intellettuali rispetto al vuoto generato dalla fine delle monarchie. La seconda parte, invece, si concentra sulla rappresentazione nel teatro, nella letteratura e nel cinema dell’esperienza bellica e, conseguentemente, della fine delle monarchie. Un breve saggio relativo alla recente rappresentazione nel teatro contemporaneo del genocidio degli Armeni chiude il volume.
In apertura troviamo un saggio del curatore, G. Schininà, docente di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Catania, che invita il lettore a ripensare le cause del collasso degli Imperi Centrali alla luce di una nuova storiografia che non colloca più gli imperi in una dimensione di inevitabile decadenza dovuta a un’arretratezza intrinseca dell’istituzione monarchica, ma anzi vede nelle ultime fasi della guerra un momento determinante per decretare una fine dovuta soprattutto a impreparazione e disorganizzazione degli apparati dirigenti e militari nella gestione delle fasi più drammatiche del conflitto. Nel breve saggio ritroviamo anche una dissertazione sulla genesi della risistemazione politica e istituzionale nell’Europa centro-orientale, con particolare attenzione al rapporto tra transizione repubblicana e rivoluzione bolscevica nell’Austria post-imperiale. Segue un intervento a cura di P. Fornaro che, sulla scia del precedente, approfondisce il rapporto tra transizione repubblicana e tentativi di rivoluzione bolscevica, in particolare accennando al caso tedesco, a quello ungherese e alla fondazione della socialdemocrazia austriaca, riflettendo sui caratteri originali dell’austromarxismo e della Repubblica dei Consigli di Bela Kùn. Più ampio è lo spazio che il volume dedica all’analisi e alla rappresentazione non solo del 1918 e delle sue conseguenze sul piano politico, sociale ed economico da parte degli intellettuali tedeschi, austriaci, cechi e ungheresi, ma anche alla rappresentazione del trauma generazionale della Grande Guerra e dell’impatto che questa ha avuto non soltanto su coloro che l’avevano vissuta al fronte (ne sono esempio il saggio Danni di guerra permanenti? sulla figura dello scrittore Leo Perutz di Beatrice Talamo dell’Università degli Studi della Tuscia e quello in lingua tedesca di Beatrice Wilke dell’Università degli Studi di Salerno, dedicata all’analisi del diario di guerra di Ernst Koch) ma soprattutto su tutta quella fascia di popolazione che, troppo giovane per prendere attivamente parte al conflitto, l’aveva vissuto da spettatore, in una nazione sconfitta. Di questo si occupa il saggio di Nicoletta Gagliardi, che non solo analizza l’edizione italiana di Jahrgang 1902 di Ernst Gläser, ma si occupa anche dei Kriegsroman tedeschi degli anni ’20 e il rapporto tra questo tipo di letteratura e gli “adolescenti di guerra”. Ancora sul conflitto generazionale e il concetto di virilità prima e dopo la guerra troviamo un significativo saggio di Massimo Bonifazio, professore associato di Letteratura Tedesca presso l’Università degli Studi di Torino, che tratta del rapporto tra la crisi postbellica e l’identità virile, in particolare in relazione alla sconfitta della Germania e alla frustrazione dei reduci, cui segue una breve riflessione sui punti di continuità e discontinuità tra l’educazione virile di epoca guglielmina e quella repubblicana. Anche Nadia Centorbi si occupa di cultura giovanile e conflitto generazionale in un saggio dedicato a Klaus Mann.
Come non dedicare una serie di saggi alla rivoluzione postbellica e al rapporto tra la nascita delle repubbliche dell’Europa Centrale e il bolscevismo? Con uno sguardo prettamente rivolto al mondo della letteratura e del teatro, Antonella Gargano e Lucia Perrone Capano presentano saggi sulla contingenza tra arte e politica in Ernst Toller (Capano) e sulla politicizzazione del teatro tedesco nel corso degli anni ’20 (Gargano). Daniela Nelva e Micaela Latini contribuiscono con la presentazione del punto di vista di Robert Musil riguardo alla rivoluzione nell’ex impero guglielmino ed Ernst Bloch e la sua “Utopia eretica” al panorama delle soluzioni proposte dagli intellettuali coevi al problema della risistemazione post-imperiale. Originali i saggi di Alessandra Schininà (una dissertazione su Joseph Roth e il rapporto nei suoi romanzi tra la transizione postbellica reale e la sua rappresentazione) e Jutta Linder, che esamina il tema del conflitto etnico in un saggio che ricerca nelle Meditazioni Campagnole di Kafka i temi dell’identità nazionale e della dissoluzione dell’impero asburgico.
Naturalmente, viene dedicato spazio anche all’Espressionismo tedesco inteso non soltanto come avanguardia poetica, artistica e teatrale ma anche come movimento che contribuirà a creare il sostrato su cui si impernierà il cinema europeo degli anni ’20. Del rapporto tra Espressionismo e Rivoluzione si occupa Giusi Zanasi con un saggio dedicato alla genesi dell’Espressionismo e al dissenso nell’età guglielmina. Particolarmente interessante risulta essere il saggio di Arturo Larcati (in lingua tedesca) riguardante l’ultimo tratto dell’avanguardia espressionista e la sua transizione verso il Teatro dell’Assurdo, nella sua accezione di critica al sistema capitalista e, più in generale, di voce di dissenso nei confronti della società moderna e dei suoi falsi valori. Sull’Espressionismo cinematografico Margherita Bonomo ci offre una lettura in chiave sociologica del cinema Espressionista come cassa di risonanza per la rappresentazione delle paure e delle nevrosi maturate tra lo scoppio della Grande Guerra, la fine dell’ordine costituito e il dopoguerra repubblicano, carico di conflitti sociali e drammi irrisolti in grado di creare pellicole come Il Gabinetto del Dottor Caligari e il grande cinema di Murnau. Per navigare al meglio lo sfaccettato panorama letterario del Dopoguerra, Giuseppe Dolei ci presenta un excursus sulla letteratura e i generi in Italia, Germania e Austria nel contesto postbellico. Chiude il volume il saggio di Silvia Palermo dedicato alla rappresentazione del genocidio degli armeni nel teatro contemporaneo, in particolare nell’opera Der Träumspiel di Emine Sevgi Özdamar.
Nel suo complesso, il volume offre una sintesi esaustiva rispetto al contesto politico, sociale, intellettuale e culturale dalla fine della Grande Guerra alla genesi del nazionalsocialismo tedesco, senza tralasciare di menzionare quanto degli anni ’10 del Novecento sia rimasto ancora da raccontare e analizzare, in particolare il genocidio degli Armeni e alle cause che hanno portato alla dissoluzione di imperi fiorenti e industrializzati come quello guglielmino o di solidissima tradizione monarchica come quello asburgico. Non viene minimizzato l’impatto che la dissoluzione di un impero plurinazionale come quello austriaco ha avuto sul conflitto etnico nell’Europa Centrale e sulla coscienza di quanti – come Kafka – pur percependo la propria nazionalità boema, morava o ungherese non riuscissero a trovare un contesto solido nel nuovo corso delle repubbliche di stampo nazionale e fede nazionalista. Inoltre, il volume sviscera questioni estremamente interessanti e attuali che poco spazio sembrano trovare all’esterno di una letteratura accademica di stampo prettamente germanistico.